L’oggetto antiquato che previene lo scontro dei treni sul tragitto di un solo binario

Lungo l’angusto binario di Bangalore, un addetto del capostazione tende il braccio destro verso il cielo senza una logica né palese ragione. Stretto in mano, tenuto diagonalmente, un anello di cuoio facente parte di quella che sembra essere una compatta borsa con all’interno un pegno metallico di forma o natura non del tutto definita. D’un tratto, si sente giungere il rumore sferragliante di un treno. Lungi dal muoversi a distanza di sicurezza, l’uomo tende ad alzare ulteriormente il suo misterioso “dono”. Nel mentre una mano similmente protesa compare, con chiara fermezza, dal finestrino laterale della locomotiva. Un lampo, un secco suono, un refolo di vento tra foglie scomposte: il contenitore è sparito. Il treno procede per la sua prossima, remota destinazione.
Diventò presto chiaro, nello spostamento dei convogli attraverso l’energia del vapore, che l’equivalenza univoca di un binario=un treno risultava essere straordinariamente restrittiva, al punto da condizionare ogni tipo di operazione per quel nuovo tipo d’impresa logistica, la ferrovia. Poiché non era sempre praticabile, sia dal punto di vista economico che degli spazi a disposizione, installare sempre ed ovunque al minimo una coppia di binari, affinché le locomotive in direzioni opposte potessero occupare degli spazi paralleli, analogamente a quanto avviene per le automobili sui moderni viali di scorrimento. Il che tendeva a significare, nella maggior parte delle circostanze, un tipo difficile di condivisione, dove un singolo errore commesso dai macchinisti poteva dimostrarsi straordinariamente dispendioso in termini di denaro, continuità del servizio, incolumità dei passeggeri. Il primo inventore a tentare di circoscrivere il problema fu dunque un tale Mr. Henry Woodhouse, incaricato nel 1849 di supervisionare la sicurezza dei tunnel inglesi di Standedge, tra lo Yorkshire e la città di Manchester. Allorché gli sembrò del tutto logico, persino risolutivo, controllare personalmente ogni accesso a quel delicato e singolo passaggio sotterraneo, mettendolo virtualmente sotto chiave mediante l’impiego di un singolare quanto pratico espediente. “Sia dunque spiegato ai macchinisti della compagnia che per poter transitare oltre la mia strettoia, essi dovranno fisicamente stringere in mano un token (pegno) del tutto simile alla staffetta di un corridore. Chiunque si avventuri con il proprio convoglio oltre l’ingresso della galleria senza essere dotato dell’oggetto in questione, verrà personalmente ritenuto responsabile di ogni danno, incedente o ferita risultante dalla sua condotta impropria.” Ecco dunque palesarsi, in altri termini, l’introduzione storica del sistema di blocco a bastone pilota, una soluzione destinata a trovare un dilagante impiego nel secolo successivo e che continua tutt’ora ad essere praticato entro determinati ambiti geografici, in Asia ed altrove, soprattutto se facenti parte dello storico Impero di coloro che vennero governati dalla grande Queen Victoria. Non c’è nulla del resto d’inerentemente britannico, o arduo da replicare, che avrebbe prevenuto l’impiego di tale espediente pratico anche in nazioni di matrice culturale differente, inclusa una larga percentuale dei paesi europei…

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Può un doppio stendardo compromettere l’aerodinamica del succiacapre africano?

Sul frinir della sera al compimento di un chiassoso meriggio africano, nel biodiverso Senegal e parte d’Etiopia, l’ideale scrutatore dei cieli può essere abbastanza fortunato da scorgere l’inconfondibile forma tripartita. Come un triangolo perfettamente regolare, flessuoso e mai invariabile, l’ombreggiata comunione di creature volanti; screziate di un marrone a strisce bianche, il becco piccolo, gli occhi tondi e scuri. IL becco, uno soltanto; giacche i corrispondenti vertici di ciascun fluttuante triangolo, uccelliformi meramente nell’aspetto, seguono da presso quello che costituisce alfine il “corpo” principale. Essendo questi ultimi delle corpose piume, e nulla più. Fluttuanti e liberi ornamenti, nulla più. Oh, Caprimulgide di un tipo vessillario, che scientificamente fu chiamato C. longipennis! (con sempiterno e furi luogo ironica reazione degli anglofoni, per l’assonanza del latino al termine evocante l’organo della metà maschile) Quale torturante, accidentato e del tutto imprevedibile tragitto evolutivo, ci ha portato all’esistenza esagerata di un simile “tratto” fenotipico? L’eccezione che conferma alcuna regola, giacché mai figura l’evidente o necessaria esistenza, di un simile bagaglio destinato ad alterare i flussi dell’aria che sovrasta i territori del Mondo. Guardatelo, come si muove, d’altronde: con la doppia piuma alare che figura in dimensioni pari o superiori ai 20 cm del resto dell’uccello, per di più essendo questi orpelli collocati al termine di lunghe aste, proprio come l’ornamento identitario da cui prendono il nome. Ma non c’è nazione cui egli voglia dare una rappresentanza, né particolari ideali politici o ideologici, bensì la singola e immancabile ambizione degli uccelli, far sapere al mondo che lui è qui, esiste e stoicamente riesce a fare quel che deve. Meritando al pari di chiunque altro di poter trovare, un giorno, la sua compagna.
Nonostante il persistente dubbio sulla serie di atipiche situazioni pregresse che hanno portato taluni succiacapre in giro per il mondo ad assumere siffatta configurazione somatica, possiamo facilmente trarre le evidenti conclusioni dal fatto che soltanto i maschi, ed unicamente nella stagione degli amori, sviluppino l’immenso strascico volante capace di renderli dei veri e piccoli pavoni volanti. Si tratta di selezione naturale attraverso l’ammirazione implicita della bellezza; poiché la partner potenziale ben conosce il modo in cui, a chiunque riesca di portare in giro tali ed ingombranti simboli di riconoscimento, non potrà di certo venir meno la forza. Un tratto genetico destinato, in modo imprescindibile, a trasmettersi alla sua prole notturna. Poiché nessuno capisce ed interpreta la genetica in maniera più efficace, di colei o coloro che ne ricevono il funzionamento come parte dell’eredità istintiva di cui sono i leggiadri depositari. Con il treno di eccellenti piume, e tutto il resto…

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Gatti sacri che reagiscono alle radiazioni e l’arduo scopo della semiotica nucleare

Gli onorevoli dignitari del potentato di Xracalithub si avvicinarono con pompa magna al sito della 3° civiltà umana. Generazioni di archeologi avevano studiato le pianure desertificate della vecchia Ue-ropa, nella cerca reiterata di artefatti degni di essere portati nella Stanza delle Meraviglie del supremo Primo Ministro. Wunderkammer: una tradizione risalente, per quanto ci è dato sapere, all’Era rinascimentale della 2° civiltà, quando ancora gli uccelli nuotavano nel cielo, ed i pesci volavano negli oceani del pianeta Terra. Alzato il vessillo della grande ed indivisa 23° civiltà, essi giunsero al campo di spine indifferenti alle proteste del Clero, consapevoli di come Usanze o Tradizioni avessero più volte in precedenza ostacolato la fondamentale progressione della specie. Dato l’ordine, il droide di scavo cominciò dunque a smuovere il terreno tra misteriose masse di cemento. Tre giorni furono richiesti, affinché la sua trivella raggiungesse la camera segreta del tesoro a 400 metri di distanza dalla luce vermiglia della stella Solare. Ricavando un buco da cui, un poco alla volta, numerosi cilindri vennero laboriosamente trasportati in superficie. Ciascuno sigillato e ad a quanto era possibile presumere, ricolmo di tesori ed antichissimi dobloni dato il simbolo del teschio e delle ossa incrociate, rappresentativo della mitica figura del Pirata. Nel giro di 6 ore, i servitori della squadra archeologica iniziarono ad aver ragione dei rigidi sigilli di copertura. Ce ne sarebbero volute 37, affinché perdessero i capelli ed iniziassero, l’uno dopo l’altro, a morire.
“Oh, uomo del remoto futuro. Sappi che: nessun atto onorevole è stato compiuto in questo luogo. Niente di valore si trova qui. C’è soltanto un pericolo per il corpo. Questo messaggio costituisce un avviso. Non ignorarlo. Fuggi dai felini* che cambiano il proprio colore!” Se potesse esistere una lingua universale, ininterrotta, capace di mantenere le proprie regole sintattiche ed il lessico a distanza di 5.000, 10.000, 15.000 anni, simili cartelli rappresenterebbero la soluzione ideale ad un problema lungamente trascurato, tuttavia direttamente risultante da una delle fonti energetiche più significative dei nostri giorni. Ma siamo sicuri, anche in tal caso, che ciò basterebbe veramente a fare la differenza? Gli architetti dei faraoni egizi, cinque millenni a questa parte, lasciarono avvisi similari al fine di scongiurare l’apertura dei loro sarcofaghi e l’esposizione museale dei loro tesori al pubblico ludibrio della posterità. E sappiamo fin troppo bene come tale storia, ed altri simili, siano ripetutamente andate a finire. Non è semplicemente possibile riuscire a scoraggiare colui o colei che opera in “buona” fede, ovvero la suprema convinzione che un qualcosa di prezioso risieda Là Sotto, volutamente lontano da occhi indiscreti per comprensibile volere dei nostri remoti predecessori. Con la sostanziale differenza che ogni tipo di maledizione immaginabile nel caso dei depositi di scorie radioattive, inevitabile conseguenza del corrente livello di progresso tecnologico e fino all’invenzione di fonti alternative di energia, potrebbe un giorno dimostrarsi fin troppo dolorosamente reale…

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Nove piani per emergere dalla pagoda incorporata nella nuda roccia dello Yangtze

Le opere architettoniche del passato possono venire spesso collocate lungo un asse lineare, dove gli edifici di maggior rilievo ed imponenza devono aderire a dei particolari canoni esteriori e funzionali, dettati dal senso comune che determina il flusso di risorse e forza lavoro. Laddove all’altro capo dello spettro, trovano collocazione le opere vernacolari imprevedibili o realmente spontanee, difficilmente in grado di oltrepassare le dimensioni di una residenza di famiglia o il monumento costruito da una piccola comunità rurale. Nel caso in cui il potere assoluto risieda nella visione e il gusto di un singolo individuo, tuttavia, ogni cosa può riuscire a palesarsi, a patto di disporre di maestranze dalle capacità sufficientemente navigate. E nessuno potrebbe dubitare che nella contea cinese di Chongqing, durante il regno dell’Imperatore Xianfeng dei Qing (1831-1861) simili speciali condizioni avessero trovato il modo di convergere a tutti gli effetti. Come reso evidente dall’antico complesso in pietra di Shibaozhai (石宝寨 – Preziosa Fortezza di Pietra) lungo il fiume Yangtze, destinato a ricevere una mistica “pagoda” di nove piani dalle caratteristiche pareti rosse e finestre circolari. Per cui le virgolette appaiono del tutto motivate, giacché una tale classe d’edifici tendono generalmente a prevedere una pianta ottagonale o quadrata, oltre ad uno spazio tutto attorno per riuscire ad ammirarne l’altezza. Laddove qui siamo di fronte ad un costrutto che si appoggia e al tempo stesso fa un sapiente impiego della ripida collina retrostante, un rilievo dell’altezza di 200 metri con in cima il tempio dedicato al bodhisattva Manjusri. Essendo giunta a costituire, nei termini coévi, l’iconica Piccola Penglai (蓬莱山) o Terra Mistica degli Immortali ma anche una versione antesignana con le sue ripide scale degli odierni ascensori montani, largamente utilizzati in epoca contemporanea per permettere ai turisti di apprezzare alcuni dei panorami più eccezionali della Cina. In sostituzione dell’antico metodo secondo cui, per lunghi secoli, i visitatori di tale luogo avrebbero dovuto arrampicarsi su un ripido sentiero aiutandosi con una lunga catena. Nessuno aveva mai pensato, d’altra parte, che un luogo simile al tempo del su primo utilizzo potesse costituire un giorno l’attrazione turistica principale della sua intera regione, nonché un patrimonio classificato al più alto livello del repertorio nazionale…

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