Profondamente odiate nella maggior parte dei casi, e con ottima ragione, le zanzare continuano a costituire una costante nel procedere delle nostre giornate primaverili ed estive. Creature la cui sopravvivenza sembra essere legata in modo considerevole alla pratica del parassitismo umano, esse hanno d’altronde fatto tutto ciò che potevano per massimizzare il proprio accesso al fluido che costituisce la vita, il vermiglio, tiepido, prezioso sangue prelevato tramite l’impiego di proboscidi invadenti e totalmente prive di pregiudizi. Gli stessi sprazzi di coscienza, in verità, che avrebbero dovuto legare ciascun singolo insetto a gruppi di persone o animali chiaramente definiti, pena il trasferimento di agenti patogeni capaci di accorciare statisticamente l’aspettativa di sopravvivenza delle loro vittime di volta in volta selezionate. Aggiungete a tutto ciò un aspetto, se non proprio anti-estetico in linea di principio, quanto meno privo di caratteristiche degne di nota, riuscendo a costituire al massimo l’apostrofo grigio scuro tra le parole “puntino” e “fastidio”. In tutte le regioni del mondo tranne il Sudamerica, dove lo straordinario potere biologicamente operativo degli ambienti umidi e tropicali sembrerebbe aver creato, attraverso i secoli e millenni pregressi, l’ideale contraddizione in termini degna della qui presente trattazione: una tipologia di zanzare… Attraenti. Il genere delle ronzanti abitatrici della canopia, o zanzare sul tetto della giungla Sabethes, il cui esponente maggiormente noto S. cyaneus compare spesso nei cataloghi divulgativi dello strano mondo degli insetti ed occasionalmente nelle competizioni di foto d’argomento naturale degne di ricevere premi annuali ed essere ripubblicate dalle principali testate giornalistiche al mondo. Non capita frequentemente d’altra parte, che un dittero presenti una colorazione blu e verde metallica ed un dorso bianco, degni del più affascinante scarabeo, per non parlare della caratteristica più distintiva che corona ed accresce il suo magnifico look: le due piume sovradimensionate a forma di pagaia, situate all’estremità delle due zampe mediane, simili ad una versione in miniatura della coda del pavone o stivali vintage alla moda da indossare in una serata musicale retrò. Non che ciò dovrebbe rendere questa creatura in alcun modo più piacevole o attraente, visto il suo contributo niente affatto trascurabile alle terribili statistiche di morti come vettore della febbre gialla e l’ancor più terribile encefalite di St. Louis, per cui non esiste alcun vaccino e che può facilmente uccidere o danneggiare gravemente un umano adulto nel giro di pochi giorni. Pur essendo molto probabilmente collegato, nella maniera osservata per la prima volta nel 1990 da un team di scienziati dell’Università dell’Ohio (Robert G. Hancock et al.) ad un particolare schema comportamentale che sembra elevarsi dalla semplice modalità d’accoppiamento posseduta dalle sue cugine più comuni, consistente semplicemente nell’incontro tra i nugoli di maschi e femmine capaci d’identificarsi vicendevolmente dal suono delle rispettive ali. Laddove i maschi della splendida cyaneus, di contro, sono soliti guadagnarsi l’attenzione delle partner, anch’esse ornate con le stesse piumette, soltanto mediante una sofisticata danza che consiste nell’atterrargli accanto, posare una zampa sulle sue ali per impedirgli forse di volare via e iniziare a compiere una serie di rotazioni, culminanti col sollevamento ritmico delle diverse zampe, incluse ovviamente quelle recanti il fondamentale segno di riconoscimento della specie. Una fase durante la quale non è affatto raro, come avviene in molte specie di uccelli, che lei riesca a divincolarsi e scappare via, presumibilmente al fine di trovare un compagno maggiormente rispondente alle sue aspettative…
zanzare
Ricercatore propone un metodo per annientare le zanzare
E tutto quello che serve, per costruirlo, non è nient’altro che un copertone d’automobile? Più o meno. Ci sono degli altri elementi: un tubo in PVC dotato di rubinetto, del silicone, qualche ritaglio di carta sufficientemente resistente all’acqua. E poi, ovviamente, un po’ del prezioso fluido trasparente che fuoriesce dai nostri comuni rubinetti, possibilmente mescolato ad una speciale soluzione a base di latte. Ma poco, pochissimo e facoltativo, ad un tal punto che il nuovo approccio è stato originariamente implementato dal Dr. Gerardo Ulibarri della Laurentian University in Ontario, Canada, con la finalità principale di portare assistenza a tutti quei paesi in via di sviluppo, in cui i servizi moderni del vivere civile, per non parlare delle spedizioni logistiche con la finalità di distribuire del materiale, sono ancora dei lussi ben lontani dall’essere a disposizione della collettività. Sia chiaro, a questo punto, che non c’è un singolo motivo per cui l’utile risorsa delle ovillantas, tale il nome dell’oggetto di cui stiamo parlando, non possa portare un qualche tipo di sollievo anche alle nostre notti primaverili ed estive, contribuendo ad eliminare almeno in parte quel sinistro ronzio, segno rivelatore di alcune delle più fastidiose ed ansiogene creature parassite a questo mondo. Nonché soprattutto, prolifiche. Ed è proprio attaccandole in prossimità di questo loro aspetto, che ci stiamo qui prefigurando di giungere ad un mondo, forse…Meno biologicamente vario. Eppur di certo, migliore, più sicuro! soprattutto per bambini, anziani ed altri esponenti di categorie a rischio, che a seguito di un episodio di attacco dell’insetto succhia-sangue per definizione, potrebbero dover temere ben più che un semplice prurito verso l’ora del risveglio. Insomma, è un dato certo è dimostrato: le zanzariere salvano le vite. Però ancora meglio, sarebbe non averne neanche la necessità.
Il termine usato per definire l’innovazione tecnica in questione, questa strana parola ovillanta, è in realtà la combinazione di due vocaboli: oviposition, termine inglese usato per riferirsi alla metodologia riproduttiva di tutte le appartenenti alla famiglia delle Culicidae (dalla nostra odiata Culex domestica, fino alla temuta Aedes aegypti, portatrice della febbre gialla e del virus Zika) e l’espressione spagnola llanta, che significa semplicemente copertone. La scelta di questa seconda lingua deriva dalla collaborazione intercorsa tra il team canadese di Ulibarri e il Dipartimento della Salute Pubblica Messicano, nel corso di un periodo di prova del metodo in una regione particolarmente disagiata del Guatemala centroamericano, abitata da circa 15.000 persone. Impiego sistematico durante il quale 84 di queste trappole, assieme ad un corso intensivo fatto alla popolazione sul loro utilizzo, hanno portato all’eliminazione di 180.000 uova di zanzara contro le 27.000 normalmente distrutte tramite l’impiego di metodi convenzionali. È stato inoltre verificato un evidente calo dei casi di patologie legate alla loro presenza, in un periodo dell’anno in cui di solito i malati si aggirano sulle due o tre dozzine. Il risultato della ricerca, dunque, pubblicato giusto il 7 aprile sul sito Internet divulgativo F1000 Research, sta già avendo una risonanza e visibilità notevole sui molti canali del web.
Il fatto stesso che una semplice figura retorica come il portmanteau (unione di parole) riesca già a spiegare in buona parte di cosa stiamo parlando, è la dimostrazione acclarata della semplicità di realizzazione e d’impiego del sistema. Tanto che se avrete visto il video soprastante, di certo ne avrete già acquisito i princìpi operativi di base. Passiamo, dunque, ad una descrizione maggiormente approfondita.
Estate 2016: la lunga stagione delle zanzare robot
Molte parole sono state spese sulla presunta inutilità del dittero succhiasangue, che disturba le nostre notti, si riproduce con estrema efficacia e talvolta finisce per diffondere problematiche malattie. Piccole forme saettanti, appena visibili nella luce del Sole al tramonto; creature ronzanti (persino il rumore dà fastidio!) che ben pochi esitano ad uccidere, persino tra coloro che si dicono amanti degli insetti. Perché in fondo, cos’ha di paragonabile, la vicina genetica del pappatacio o del flebotomo comune, con un utile e benamata ape, o persino una feroce vespa predatrice, che per lo meno elimina la diffusione di altre piccole creature invasive… Esse semplicemente sono, e attraverso quel fitto e insistente svolazzare, mettono alla prova l’umana pazienza? Certo. Eppure, a volerla comprendere, c’è anche un’utile lezione che possiamo apprendere dalla vicenda esistenziale di simili creature. Se c’è qualcosa di cui sarebbe difficile dubitare, in effetti, è proprio la sua efficacia nel portare a termine quello che fa. Un animale parassita, naturalmente, dovrebbe essere del tutto incapace di sopravvivere sulle sue forze, totalmente incapace di procacciarsi il cibo sulle sue forze. Mentre la forma della zanzara, per invertire una famosa citazione del web sul calabrone, attribuita, a seconda dei casi a personalità del calibro di Albert Einstein o Marilyn Monroe, è perfettamente adatta a volare. E lei lo sa benissimo. Come anche il qui presente robotista, parte del gruppo di ricercatori del laboratorio BDML dell’Università di Stanford (Biomimetics and Dextrous Manipulation Lab) il quale ne ha ripreso le caratteristiche assieme ai suoi colleghi, per creare un dispositivo volante che non solo rivoluziona il concetto di drone, ma apre la strada a numerose innovazioni tecnologiche che di qui a pochi mesi potremmo anche ritrovare nei campi più diversi, incluso quello militare.
C’è un che di lievemente inquietante, in effetti, nel vedere il gesto disinvolto con cui il giovane lascia decollare il suo SCAMP, questo l’acronimo del robo-quadricottero, dal palmo aperto di una mano, soltanto per vederlo fluttuare verso il muro ed attaccarvisi, iniziando la sua inesorabile scalata verso la cima. La suggestione è un po’ la stessa creata a suo tempo dalla scena del film Dracula di Bram Stoker, con l’attore Gary Oldman nel ruolo dell’improbabile Conte, che risaliva la torre del castello aggrappandosi come una sorta di gigantesco ragno umano. Ed anche l’utilità, sostanzialmente è quella: giacché possiamo presumere, nell’analisi scientifica di quell’altro goloso d’emoglobina, che la “modalità pipistrello”, per così dire, comporti un dispendio di energie vampiresche relativamente congruo. Mentre possiamo presumere che sfruttare la propria agilità e forza sovrumane, per aggrapparsi alle asperità di un vecchio maniero e fare ritorno alla propria bara (rigorosamente prima dell’alba) sia un’impresa assolutamente da nulla, per il signore delle tenebre perennemente redivivo. Lo SCAMP ad ogni modo, nonostante il suggestivo acronimo, che sta per Stanford Climbing and Aerial Maneuvering Platform ma significa anche un qualcosa di affine a “simpatico malandrino”, è uno strumento creato rigorosamente al servizio del bene. Come già altri progetti comparabili fuoriusciti dallo stesso ambito accademico, la sua presunta finalità in tale forma sarà l’assistere in caso di disastri naturali, volando sulla scena per effettuare rilevamenti e trovare i sopravvissuti. Con in più il vantaggio aggiunto, come dicevamo, di poter risparmiare la limitata energia a disposizione nelle sue piccole batterie, posandosi a riposare sulle superfici verticali, prima di spiccare nuovamente il volo verso località maggiormente accoglienti. Così facendo, inoltre, potrà aggrapparsi e salire verso l’alto, guadagnando quota senza ricorrere alla dispendiosa accensione continuativa delle sue quattro pale. Ed è una visione certamente inaspettata, questa di un essere così evidentemente artificiale, che tuttavia si comporta in maniera del tutto paragonabile a quella dell’insetto più odiato del mondo! Che di sicuro, mentre risaliva gli edifici dell’università, deve aver fatto voltare parecchie teste, dando adito a un senso diffuso d’entusiasmo misto a sorpresa. Quest’ultima, tuttavia, soltanto per le matricole, o tutti coloro che si trovavano lì in via occasionale. Questo perché in effetti, il robot in questione non è un’invenzione che viene dal nulla, ma soltanto l’ennesima, e forse più affascinante applicazione di un vasto ventaglio di concetti, che il laboratorio BDML sta prendendo in analisi da ormai diversi anni, portandoli fino alle loro conseguenze più estreme. Un progetto trasversale, che mira a dimostrare, reimpiegandola, l’utile capacità di certi animali ad aderire alle superfici, trovandosi quindi avvantaggiati nella loro locomozione, o dotati di una forza di molto superiore al dovuto. Pensate, ad esempio, a una formica che trascina un qualcosa di molto superiore al suo peso. Potrebbe davvero farlo, se non avesse l’innata dote di “aggrapparsi” al suolo, prima di ciascun singolo oh, issa! Seguito da un singolo passo e poi di nuovo, piedi ben saldi e tirare? Un’impresa che la camminatrice può compiere, unicamente grazie a una cuticola flessibile presente sotto ciascuna delle sue sei zampe. Mentre la zanzara robot di Stanford, in effetti, sfrutta un sistema notevolmente diverso…