Analizzare le imprese tecnologiche di una nazione risalente al decimo secolo a.C. è un proposito che incontra spesso difficoltà in funzione dell’assenza di testimonianze, frammenti letterari o testi di riferimento giunti totalmente integri fino all’epoca contemporanea. Il fatto che quel popolo, d’altronde, possa essere l’originale fondatore di una delle principali e più antiche religioni umane, come ampiamente spiegato nel suo Libro mantenuto gelosamente integro attraverso le generazioni, può d’altra parte presentare il problema opposto. Dove apporre la divisione tra reale e simbolico, tra materia e metafora, tra cronaca e leggenda? La ricerca di un simile punto di cesura, negli studi rabbinici del canone ebraico, prende per l’appunto il nome di Midrash, costituendo un importante campo di studi per gli storici interessati all’aspetto teologico dei fatti narrati all’interno del Talmud. Tra i testi tramandati in cui il popolo eletto, durante il proprio esilio babilonese successivamente alla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, mise per iscritto l’ampia collezioni di credenze, leggi e discipline filosofiche costituenti il repertorio un tempo orale delle originali 12 tribù di Israele. Ove si narra, tra le altre cose, della fondazione e successione dinastica del Regno Unito, che avrebbe dominato Israele, Cisgiordania e Giordania tra il 1030 e il 930 a.C, quando raggiunse l’apice durante l’egemonia del suo terzo sovrano, Salomone figlio di Davide, profondamente devoto all’insegnamento dell’unico Dio. Ora senza entrare nella complessa questione politica, relativa all’esistenza mai verificata archeologicamente di tale identità territoriale, ciò che ha lungamente gettato ombre sull’interpretazione letterale dei fatti narrati è l’effettiva costruzione del più importante monumento di quell’epoca, l’imponente luogo di culto costruito con pietre monolitiche al fine di rendere omaggio al Creatore; un edificio alto 25 metri, largo 20 e lungo 60, la cui edificazione in base alle nozioni di cui disponiamo apparirebbe materialmente più probabile cinque o sei secoli dopo, durante l’epoca del regno di Judah diventato una provincia del vasto impero persiano, per poi essere retrodatata al fine di aumentare la nobiltà ed antichità percepita dei suoi creatori. A meno di poter ricorrere, s’intende, ad un qualche tipo di assistenza sovrannaturale, così come specificato dai previdenti cronisti del Talmud, qualcosa di ricevuto, s’intende, direttamente da Colui che può. Se ne spiega estensivamente la natura, successivamente ad alcune menzioni oblique nel Vecchio Testamento, nel capitolo Gittin 68a, in cui Salomone stesso si rivolge ai giuristi del Sanhedrin per chiarire una rivelazione ricevuta in sogno, secondo cui l’edificio di culto che intendeva erigere adiacente al suo palazzo non doveva essere costruito con attrezzi di ferro, in quanto “strumenti in grado di uccidere” mentre le liturgie praticate all’interno avrebbero dovuto celebrare unicamente la pace. Allorché i sapienti, facendo riferimento alla storia di Mosé, provvederanno a raccontargli dell’esistenza di una misteriosa creatura…
vicende
Fulgida è la spada che ha trascorso due millenni nel suo fodero senza invecchiare
L’attribuzione di cose mai effettivamente dette a Confucio, attraverso la limitata percezione internazionale della Cina, ha una lunga e problematica tradizione. Quasi come se la percezione dell’antico filosofo come prototipo dell’uomo saggio avesse concentrato gradualmente su di se le limitate cognizioni sull’antico Oriente possedute dall’odierna civiltà globalizzata. Vedi il caso del famoso detto “Attendi lungo il fiume il passaggio del corpo del tuo nemico” (in realtà un proverbio moderno) o in misura minore l’espressione “Dormire sulla legna ed assaggiare il gusto della bile”, una presunta metodologia quotidiana, considerata l’ideale per mantenere vivo il rancore nel confronto di un torto subito. Così meditando, nel corso della propria rabbiosa esistenza, l’ora di un’attesa rivalsa. Un’associazione che pur essendo anche in questo secondo caso scorretta, centra se non altro l’aspetto cronologico, essendo stata effettivamente pronunciata da un personaggio del periodo storico delle Primavere ed Autunni (771-476 a.C.) Sebbene, alquanto prevedibilmente, NON il fondatore di una disciplina basata sul rispetto reciproco e la serenità che viene dalla meritocrazia civile. Bensì un rabbioso dinasta portatore della propria faida generazionale, il cui simbolo per eccellenza del potere ereditato fu trovato dagli archeologi in una tomba nella regione di Jiangling, nell’ormai remoto 1965, ancora perfettamente integro e del tutto efficace nello scopo di uccisione per cui era stato creato.
Una scena mantenuta vivida nell’immaginazione della gente, giacché straordinaria e al tempo stesso ricca di un involontario simbolismo. Del completamento di uno scavo presso l’acquedotto del fiume Zhang, quando un gruppo di studiosi rintraccio l’ennesima camera funeraria di quel sito storicamente fondamentale. Per scovare al suo interno, preziosi gioielli, ornamenti ed accessori, nonché una coppia di spade in bronzo ingioiellate, della lunghezza rispettiva di 60 e 55 cm. Considerate entrambe parimenti rilevanti, finché all’interno di un laboratorio non si andò necessariamente a sfoderarle e l’incaricato, con sua estrema sorpresa, notò di stare sanguinando; giacché uno dei due manufatti era non soltanto perfettamente integro, nella manifattura variegata della propria lama ricoperta da un pattern romboidale geometricamente insolita. Ma addirittura tagliente. Oggi come allora, quando il Re Goujian di Yue (V sec. a.C.) l’aveva riposta dopo l’uso presumibilmente alla testa dei suoi eserciti, sconfiggendo ed annientando il proprio atavico nemico, l’odiato re di Wu. Non stiamo qui parlando di un oggetto ricoperto dalla ruggine vagamente riconducibile alla forma di una spada, come avviene per taluni oggetti di epoca medievale ritrovati nelle tombe europee. Trattasi, piuttosto, dell’odio di un potente trasformato in cosa tangibile e forse anche per questo, immortale…
La convincente possibilità che il Sacro Graal sovrasti la navata da 625 anni
Una singola vetrina nella più vasta chiesa gotica della città di Valencia, posta in alto in una delle cappelle che fiancheggiano la navata centrale. Nient’altro che uno spazio espositivo, ove campeggia quell’oggetto che potremmo definire alquanto ponderoso e poco pratico all’impiego ideale. Una coppa di pregevole pietra corniola lavorata al tornio, con manici e una base in oro puro. Quest’ultimo elemento, a sua volta ornato da una serie d’imponenti perle candide come la Luna stessa. Tanto che se qualcuno l’avesse mai effettivamente utilizzata per bere, difficilmente egli avrebbe potuto essere un umile falegname della terra di Galilea. Ma forse è proprio questo il punto…
L’umiltà e il principio di magnificenza coesistono da sempre nella rappresentazione iconografica della sacralità cristiana, come un’idiosincrasia alla base del concetto stesso di fede nella Provvidenza e tutto ciò che questo comporta. Poiché se un’intelletto universale governa ogni faccenda e la presunta evoluzione degli eventi, come può essere giustificata la deriva verso l’entropia di colui o coloro che hanno dato un senso alle parole della personificazione stessa di tale Principio? Così preservato, spesse volte, fino all’esagerazione, se è vero che le schegge o chiodi della “vera croce” sono sparse in giro per il mondo in quantità bastante per la costruzione di un intero galeone; che vi sono almeno quattro lance di Longino; tre possibili corone di spine; una mezza dozzina di sudari che riporterebbero l’impronta del corpo del Salvatore. Eppure nulla, in tale ambito, ha raggiunto le vette quantitative di quello che potremmo definire senza ombra di dubbio il singolo oggetto più famoso della religione romana: il sacro calice impiegato, in base alle scritture, dal Figlio in persona durante la storica cena prima del fatale tradimento che l’avrebbe condotto alla crocifissione finale. Quel Graal connesso ad una pletora di miti, che potrebbe essere secondo le divergenti teorie in undici luoghi diversi soltanto in Italia, quattro in Francia, due nel Regno Unito e finanche anche province improbabili come il deserto patagonico dell’Argentina. Per opera di ordini cavallereschi, gruppi di monaci, personaggi leggendari per qualche ragioni trovatosi a colloquio con San Pietro in varie circostanze, che secondo la tradizione avrebbe custodito e trasportato fino al suo rifugio peninsulare questo importante simbolo del suo fondamentale ispiratore. Ed è lì, nel primo secolo, che se ne persero irrimediabilmente le tracce a causa delle persecuzioni ad opera dei Romani, delle generazioni di guerre e conflitti, a causa del rumore di fondo d’innumerevoli miti e leggende popolari che si avvicendarono nel moto senza posa dei secoli intercorsi. Eppure sussistono diverse valide ragioni, per dare credito alla pretesa valenciana più di molte altre precedentemente intercorse…
Ritrovato dopo 80 anni il relitto del cacciatorpediniere che cambiò bandiera due volte
Prove pratiche dell’eccezionale immensità del mare: ogni spiaggia è differente, c’è sempre un pesce più grande, le migrazioni della procellaria difficilmente riescono ad anticipare il ciclo delle stagioni. E lo storico vascello della seconda guerra mondiale USS Stewart (DD-224) almeno fino all’altro giorno, non era stato ancora ritrovato. Stiamo parlando per inciso di uno scafo d’importanza storica innegabile, lungamente ambìto dai ricercatori come valida testimonianza del singolo conflitto più importante della storia umana, affondato di proposito, mediante l’uso di aeroplani e bombe americane, al termine di quella che fu giudicata la sua vita utile secondo i crismi ritenuti necessari dallo Zio Sam. Un cacciatorpediniere di classe Clemson costruito a Philadelphia lungo 95 metri, per inciso, e del peso complessivo di 1.234 tonnellate. Quindi non propriamente un soprammobile, nonostante quello che si potrebbe tendere a pensare sulla base dei presupposti. Creato in base alla necessità, ormai lungamente acclarata verso la metà del secolo passato, di poter difendere una flotta da minacce più agili e sfuggenti, come imbarcazioni siluranti, aeroplani e naturalmente, i temuti sottomarini della Marina Imperiale Giapponese. Punto di svolta fondamentale nella sua vicenda operativa, in effetti, sarebbe stata proprio la missione consistente nell’invio in Asia Orientale come parte di un corpo di spedizione nel 1922, per l’inizio di una missione che all’insaputa del suo stesso equipaggio, sarebbe durata i successivi 23 anni. Molti dei quali trascorsi senza eventi particolarmente degni di nota, tranne qualche piccolo incidente di manovra e l’opportunità di fornire aiuti ai colpiti dal grave terremoto del Kantō, facendo per la prima volta conoscenza con quel popolo dei Giapponesi che sarebbero stati, al tempo stesso la sua condanna, e la salvezza del suo destino. Come conseguenza del frangente in cui, dopo l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor del 7 dicembre del 1941, assieme a molte altre navi di stanza nella regione la DD-224/Stewart venne integrata nel comando ABDA (American-British-Dutch-Australian) con il compito di resistere, e per quanto possibile arginare la minaccia nipponica nei confronti degli interessi occidentali nel grande Oriente. Il che avrebbe presto portato a due importanti battaglie, mirate a ritardare i movimenti di conquista del nemico, cui questa solida risorsa nautica avrebbe ricevuto il compito di prendere parte: quella fallimentare, non disastrosa, per il passaggio di Macassar verso l’asset strategico che allora chiamavano “muraglia malese”, del 30 gennaio 1942. E la sonora sconfitta subita nello stretto di Badung, punto di volta nelle operazioni delle Indie Orientali, culminante con l’affondamento dell’incrociatore di comando e conseguente dipartita dell’ammiraglio olandese Karel Doorman. Nonché il serio danneggiamento del cacciatorpediniere Clemson a causa della migliore abilità dei giapponesi nelle operazioni notturne, che imbarcando acqua venne ricondotta a mala pena fino al bacino di carenaggio nel porto di Surabaya. Dove per un errore logistico, rovinò su un fianco venendo ulteriormente danneggiata, poi fu colpita da una bomba nemica. E poco prima che gli Americani si ritirassero da quel luogo diventato indifendibile dopo gli eventi tra il 19 e 20 febbraio, fu intenzionalmente affondata mediante l’uso di cariche esplosive. Fine della storia? Non proprio…