Galvanica è la musica dei fungo-sintetizzatori, nella sinfonia della foresta boreale nordamericana

Immobile è l’idea che manteniamo, nel diversificato repertorio delle analogie, di un luogo dove imperano le piante, stolide e imponenti e ombrose sotto l’arco della stella diurna, unica ragione che determina la loro crescita con modi vagamente dilatati nel tempo. Poiché i vegetali non hanno un cervello e da ciò deriva, in un modo che impossibile da confutare, la totale assenza di pensieri, aspirazioni o comunicazione tra individui reciprocamente antistanti… A stemperare questa presunzione giunge l’opera del musicista canadese Tarun Nayar! Che a tali esseri assieme all’infiorescenza del micelio, collega elettrodi facenti parte di un assemblaggio complesso. Da lui chiamato [l’organo] della Moderna Biologia ma che per ogni spettatore sufficientemente informato, potrà naturalmente apparire un perfetto incrocio tra un poligrafo ed un sintetizzatore. Idea tecnologica relativamente semplice e non del tutto priva di predecessori, ma che al tempo stesso qui sembra essere stata portata fino alle estreme conseguenze: perché non dare una voce a simili creature stolide, che non ne hanno mai davvero posseduta una? Finché da questo possa scaturire l’istintiva opera creativa che è una voce occulta della Terra stessa. Ovvero il canto senza inizio e senza fine della Natura.
Il termine, per dare un nome a tutto questo, è “sonificazione”. In questo campo usato al fine di riuscire a trasformare una serie di input numerici in note di un prolungato concerto, modulato ed ascoltabile a tutti gli effetti dall’orecchio dell’uomo. Processo dalle molte applicazioni pratiche, tra cui figura il contatore Geiger (il cui ticchettio può offrire approcci alla sopravvivenza in situazioni radioattive) ma che in questo campo alternativo, la botanica, ha una storia derivante da un’opera letteraria pseudo-scientifica del 1973: La vita segreta delle piante, di Peter Tompkins e Christopher Bird, i quali per primi pensarono che collegando un rilevatore di campi elettrici a qualsiasi essere vivente, inclusi per l’appunto i gambi, fusti e fiori a noi più o meno familiari, sarebbe diventato possibile estrarre una continuità eminente d’armonie sonore. Molte decadi più tardi, questo vago postulato è diventato un’arte. Di cui costui, senza nessun tipo di esitazione residua, può essere definito un maestro…

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Zimoun e l’indeterminazione acustica di una sinfonia di oggetti del quotidiano

Non è particolarmente insolito decidere di mantenere al centro dei propri pensieri condizioni o circostanze memorabili della propria infanzia. Incluso il soprannome scelto, in questo caso dai coetanei con cui trascorreva liete giornate a Berna, Svizzera, per colui che in seguito sarebbe diventato il più encomiabile, citato demiurgo delle sinfonie corali prodotte dalla chincaglieria del mondo. Non possiamo dire di conoscere d’altronde quale sia il significato di quel termine, Zimoun, mentre molto più condivisibile risulta essere l’altro residuo di quell’epoca, così frequentemente citato da costui in occasione delle plurime interviste rilasciate nel corso degli ultimi vent’anni: la grande stufa che lo affascinò all’interno della casa dei suoi genitori. Oggetto oblungo di metallo lucido, il cui rombo sostenuto, ed il ticchettio prodotto al cambio di temperatura, diventarono per lui l’equivalenza di un potente sentimento, ovvero la profonda risultanza di trovarsi avvolto da uno spazio, la sua musica, l’odore e l’imponenza dei mutamenti. Così che, crescendo, pur senza posizionarsi come il ricevente di un’educazione artistica formale, egli avrebbe elaborato nella propria mente un metodo per scorporare e interpretare il mondo. Forse il più difficile tra i molti, questa costruzione di complesse installazioni artistiche, destinate a diventare benvolute dalle mostre, gallerie e spazi museali di ben oltre la metà del mondo. Attraverso l’evoluzione progressiva di una tale tecnica, difficile da ricostruire nonostante la pesante complessità delle disquisizioni pseudo-biografiche che lui stesso, o altri, si sono preoccupati d’inserire su Wikipedia, tali opere si sarebbero così guadagnate alcuni fattori estetici ricorrenti: l’utilizzo privilegiato di materiali di recupero o similari, la modularità ripetuta in grado di portare solamente in apparenza alla monotonia, la produzione auditiva di un chiacchiericcio di suoni stocastici, inerentemente difficili da prevedere. Ancorché lo stesso Zimoun ami ripetere che la sua arte non produce meramente musica, costituendo più che altro l’effettiva comunione delle percezioni sensoriali sovrapposte, perciò quello che si sente, assieme a quelle immagini tracciate dalle luci ed ombre, costituiscono elementi a pari merito importanti di un processo la cui complessità trascende il singolo momento. Evolvendosi attraverso profusioni caotiche soltanto in apparenza…

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L’arcaico suono del cornu e gli altri utili strumenti delle battaglie romane

E fu allora che nel fragore e l’impeto delle uccisioni, nel caotico incidente prolungato all’infinito, mentre uomini uccidevano uomini ed il vento soffiava della melodia dell’odio contrapposto tra gli schieramenti, alcuni cominciarono e cercare l’ordine, riuscendo a trarne imperitura soddisfazione. Poiché tutti possono combattere, nell’ipotetica ricerca di una condizione migliore per se stessi o le proprie famiglie, sotto la suddivisione di una classe dirigente disinteressata nei confronti del bene assoluto; ma è una vera scienza, intesa come la tangibile derivazione della matematica, quella necessaria a trasformare il membro di una milizia cittadina in soldato di professione. Ed il più antico ritmo artificiale, che abbia mai trovato un senso pratico attraverso i gesti delle moltitudini, è la musica. Tra tutte le espressioni di un qualsiasi tipo di creatività, quella maggiormente utile ad accompagnare i gesti, certe volte assolutamente distanti dal suo contenuto. In altri casi, cadenzati e addirittura migliorati dal susseguirsi delle note calibrate ad uno scopo evidente. Chi può davvero garantire d’altra parte, nel fragore coincidente a un luogo simile, che la voce e direttive dell’ufficiale supremo, possano effettivamente essere udite dai suoi sottoposti? Chi se non l’aeneator, soldato veterano esperto suonatore di strumenti a fiato, esonerato dalle mansioni o i compiti eccessivamente rischiosi. Proprio perché sua, era la responsabilità di prolungare e ottimizzare l’opportuna ricezione della mente al comando. Figura nella fattispecie non dissimile, all’interno delle presenti circostanze, da quella del suonatore sperimentale Abraham Cupeiro, famoso in Spagna soprattutto per aver ricreato e portato in tour il corna o “corno di mucca”, desueto attrezzo sonoro utilizzato dai pastori della Galizia medievale. Ed ancor più di ciò, anche nel resto del mondo, grazie alla sua lunga passione nel dimostrare l’utilizzo specifico di taluni storici strumenti musicali tipici dell’Antica Roma, utilizzati in maniera continuativa almeno dall’introduzione della legione mariana (fine II sec. a.C.) fino alla caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.). Come questo eccezionale cornu o grande tuba a forma di lettera G con asta di sostegno lignea centrale, qui utilizzato nel museo archeologico della provincia di Hispaniola per creare un’atmosfera unica capace di portare la mente ad antichi conflitti e le specifiche metodologie impiegate per risolverli a vantaggio della maggior gloria dell’Eterna capitale del mondo. Una prospettiva che val bene ricordare, in qualsivoglia tentativo di comprendere le circostanze in cui simili suoni rimbombavano sulla testa delle persone…

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Entrate pure, disse lo scultore policromo del Microverso

“L’ora del rintocco, l’ora del rintocco è giunta.” Disse l’invisibile creatura del pertugio, mentre i funghi pulsavano nell’espressione di un senso d’aspettativa latente. La grande tromba del giardino di campanule suonò due note grazie all’energia del vento, mentre la ruota elettrica iniziava a veicolare l’energia tangibile del flusso. “L’assedio è terminato, miei cari. Liberate il krakkon” L’estrusione periambulatoria, allora, si allungò fuori dall’implicito confine perimetrale, sfociando nell’iperbole celeste senza neanche l’assistenza di una pratica colomba della Pace. Certo, non c’è dubbio, amici pietre variopinte delle circostanze manifeste: il gran portone della cassaforte è ormai prossimo ad aprirsi. Affinché il bagliore immaginifico possa incontrare, così come profetizzato, quello di uno spazio privo d’interpretazioni alternative della mente. L’essenzialmente grigia, eppure spesso sorprendente, inconcludente ed altrettanto illusoria Verità. Ma c’è davvero bisogno, per quest’ultima, di occupare uno spazio talmente vasto?
Tra le capacità di un abile critico, o esperto fruitore dell’Arte, figura quella di osservare un’opera dipinta non come uno stato dei fatti completo ed immutabile, bensì un susseguirsi di pregressi eventi. Uno strato dopo l’altro, un colpo di pennello alla volta, la creazione in divenire si dipana progressivamente nella loro mente. Permettendo di ricostruire a ritroso, minuto per minuto, l’evolversi dell’apprezzabile messaggio di partenza. Ma cosa succede se al depositarsi progressivo dei colori, l’uomo al comando del progetto semplicemente sembra incapace di raggiungere un qualche tipo di soddisfazione creativa? E continuando a sovrapporre sui livelli già deposti, per ore, giorni e settimane, permette alla vernice di superare il dipanarsi delle semplici due dimensioni… Sfociando nella terza e al tempo stesso, innumerevoli ulteriori luoghi della mente del tutto inesplorati allo stato dei fatti correnti. Posti come quelli visitati e al tempo stesso riprodotti dalla mano eclettica di Chris Millar, artista canadese originario di Claresholm, Alberta, per cui l’unico limite alla comunicazione di un messaggio incerto sembrerebbe essere quello meramente fisico imposto dalla necessità di creare un singolo “mondo” alla volta. Riproduzione in miniatura dell’ambiente visitabile in un passaggio onirico della nostra esistenza, pur premurandosi di restare del tutto conforme ad una serie di regole non del tutto prive di coerenza. Poiché è soltanto in tal senso che può andare incontro a un qualche tipo di precipua classificazione psicanalitica, il suo metodo espressivo nato in modo progressivo dopo l’ottenimento del titolo di studio presso l’Università di Arte e Design di Calgary (ACAD) nel 2000. Quando assieme all’amico e collega Patrick Lundeen decise di rifiutare il canone espressivo imposto per il tramite dei metodi d’insegnamento della pittura. Andando decisamente oltre, nei rispettivi metodi ed intenti procedurali…

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