Gli ingredienti che proteggono il gelato turco dai giochi di prestigio dei suoi creatori

È una delle scene che ricorrono su Internet tra un video divertente di animali e il film documentario della storia di un paesaggio particolarmente accattivante. Il susseguirsi di gestualità, espressioni e movimenti che viene notato dallo spettatore con un senso vago di divertimento, mentre gli occhi già si spostano verso la successiva attrazione del parco giochi digitale oltre i magici cancelli del Web: un uomo in abiti tradizionali, dal pregevole fez d’ordinanza, offre del gelato con un lungo cucchiaio al suo cliente, spesso un bambino o una bambina del posto. Qualche volta un turista. Ma la progressione dell’evento riesce ad essere tutt’altro che lineare, mentre la suddetta pietanza viene ripetutamente allontanata, posta sopra un cono e poi rimossa, capovolta, fatta scomparire dalle mani della vittima di turno. Soltanto alla fine, dopo almeno un paio di minuti trascorsi a declinare ogni possibile acrobazia dei gesti consentiti, il gelato si materializza infine in dotazione al suo destinatario, dall’espressione divertita ma anche comprensibilmente prossima all’esasperazione. Così colpiti dall’assurdità e curiosa contestualizzazione di una simile contingenza, raramente pensiamo a interrogarci su come sia possibile che il suddetto fluido semi-solido, dalle nostre parti noto per la sua tendenza a sciogliersi in periodi piuttosto brevi, possa mantenere la sua forma lungo lo svolgimento di questo breve, quanto animato spettacolo di strada fatto d’acrobazie e continue sollecitazioni situazionali. Il che deriva per l’appunto dalla sua collocazione geografica turca e l’utilizzo di specifici componenti, ciascuno valido e contributivo alla creazione di un malloppo dalle caratteristiche tutt’altro che newtoniane. L’appiccicoso, coriaceo, delizioso e compatto dövme dondurma, il cui nome significa per l’appunto “[cosa] congelata allo spiedo”, proprio per l’impiego dell’attrezzo da cucina in questione per perforarlo al termine della preparazione, provvedendo a esporlo come una sorta di kebab presso l’ingresso del proprio negozio o bancarella, nella più totale indifferenza all’impatto diretto dell’energia termica proveniente dall’astro solare. Perché sebbene venga preparato alla temperatura media di -8 gradi, raramente il gelato turco sopravvive fino a raggiungere il suo punto di scioglimento, una caratteristica considerata particolarmente utile nelle caldi estati del Levante. Il che non è d’altronde l’obiettivo ultimo della sua preparazione, bensì una mera risultanza collaterale delle sostanze utilizzate per la sua preparazione, ciascuna egualmente utile a creare un gusto ed un’aroma tanto distintivi e nell’opinione di alcuni, tutt’altro che facili da emulare. A partire dal latte impiegato, che dovrebbe possibilmente provenire esclusivamente da capre allevate sulle montagne di Ahir, in Anatolia presso la città di Kahramanmaraş, nutrite con particolari erbe tra cui il croco, timo e giacinto. Prima di essere accuratamente mescolato con qualcosa di quasi altrettanto difficile da procurarsi, almeno fuori dal suo effettivo paese di provenienza…

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La stella più inaspettata della guida Michelin

Ci sono diversi luoghi affascinanti che un visitatore di Singapore, l’ultima città stato al mondo, non può assolutamente fare a meno d’includere nel suo carnet: gli sfolgoranti orti botanici dei Gardens by the Bay, con i loro enormi alberi artificiali. Il tempio con la reliquia del dente di Buddha nel distretto di Chinatown, notevole esempio di architettura risalente all’epoca Tang. Il parco giochi degli Universal Studios sull’isola di Sentosa, con abbinato acquario dotato di oltre 100.000 animali marini provenienti da tutto il mondo. E il banco del “Pollo brasato alla soia nello stile di Hong Kong, riso e noodles” dello chef Chan Hon Meng, almeno secondo la prestigiosa guida Michelin, che l’anno scorso l’ha insignito, assieme ad un altra location gastronomica di strada, come luogo assolutamente degno di essere sperimentato almeno una volta nella vita. Ma persino rispetto al suo concorrente e co-premiato “Noodles con carne di maiale (da oltre 30 anni) su Hill Street” di Tai Hwa, questo hawker (ambulante) colpisce per la sua modestia, semplicità ed aspetto contestuale del tutto ordinario, qualità tradotte in un prezzo di ammissione che è semplicemente il più basso ad essere mai stato incluso tra i ristoranti degni di questo premio: esattamente un dollaro e cinquanta, praticamente un terzo di quanto costi un panino di McDonalds nella sua città. Detto questo, non c’è assolutamente nulla di comune nella sua sfolgorante attività commerciale. In grado di attirare, già la mattina presto, file di persone talmente lunghe da uscir fuori dall’hawker center in cui opera soltanto dal 2009, pur avendo oltre 35 anni di esperienza nel suo settore. Già soltanto l’insegna del Chinatown Complex, questo luogo gremito di gente in cui è possibile gustare cibi ai massimi livelli della categoria, era un’attrazione in grado di attrarre egualmente visitatori locali e provenienti da fuori. Da quando però gli ispettori, presumibilmente in borghese, dell’istituzione di valutazione dei ristoranti più famosa al mondo, si sono seduti ad uno di questi tavoli ed hanno deciso che meritava l’entry level della loro desiderabile ricompensa (considerate che persino i più importanti chef iniziano con una singola stella) la situazione è nei primi tempi letteralmente sfuggita di mano. Hawker Chan, come hanno iniziato a chiamarlo i suoi clienti più affezionati, aiutato unicamente dai suoi due impiegati, è arrivato a servire anche 180 polli in un giorno, lavorando 17 ore abbondanti e trovandosi costretto, all’ora di tornarsene a casa, a mandare via chi non è riuscito a servire. Finché lo scorso inverno, associandosi con la catena di franchising Hersing, non ha aperto un vero e proprio ristorante di appoggio, dotato anche di aria condizionata, ad affiancare la sua celebre bancarella. Gli estimatori di vecchia data del suo pollo, tuttavia, affermano che il gusto di quello preparato da lui personalmente sia tutta un’altra cosa.
E c’è un’ottima ragione per questo: persino brasare la carne è un’operazione che può nascondere trappole, o vie d’accesso segrete verso l’assoluta eccellenza procedurale. Anni, ed anni nell’uso dello stesso equipaggiamento, con persone che ormai seguono le tue istruzioni in maniera istintiva… Fuori dal Chinatown Complex campeggia una sagoma dell’attore Bruce Lee, che notoriamente disse: “Preferirei affrontare un nemico che conosce 10.000 calci diversi, piuttosto di uno che ha dato lo stesso calcio 10.000 volte” e questo è un motto che potrebbero facilmente adottare anche i proprietari di alcuni dei ristoranti più pregiati di tale zona. Le stelle Michelin, anche nella loro versione più esclusiva a gruppi di tre, sono notoriamente un premio per l’eccellenza gastronomica che non sempre si traduce nella facilità di apprezzamento da parte del pubblico. Essa è anzi un traguardo tra i più difficili, per istituzioni come i ristornati più blasonati che si preoccupano più che altro di servire “un certo tipo” di clientela. Eppure ci sono scuole di pensiero diverse, su quale debba essere il traguardo ultimo di un vero cuoco. Ed è indubbio che Hawker Chan, con il suo capolavoro ripetuto nel quotidiano, sia riuscito a rapire una considerevole percentuale della popolazione di Singapore…

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