Visibile soltanto raramente oltre i confini dell’Oceano Atlantico, attraverso le regioni geografiche del più Vecchio (e stanco) dei continenti, la vivace farfalla monarca (Danaus plexippus) rappresenta d’altro canto una presenza pressoché costante nel territorio degli Stati Uniti, dove per anni si è pensato fosse solita sparire, misteriosamente, durante l’intero corso dei mesi invernali. Tutto questo, almeno, finché negli anni ’30 dello scorso secolo all’entomologo Fred Urquhart non venne in mente un metodo ingegnoso per applicare una targhetta adesiva sulle ali di un grande numero d’esemplari, cominciando quindi ad annotarne gli spostamenti nel corso di un giro completo delle stagioni. Scoprendo, grazie a questo, come le suddette volatrici riuscissero ricomparire, a giorni o settimane di distanza, in luoghi estremamente lontani l’uno dall’altro, con una progressione verso la parte meridionale del Nord-America e destinazioni largamente incerte. Raggiunto quindi il confine messicano, i figli dei figli delle prime viaggiatrici (raramente, una volta compiuta la metamorfosi, questi insetti raggiungono i 20 giorni di vita) furono di nuovo tracciati con l’aiuto dei due abitanti locali Catalina Trail e Kenneth C. Brugger, che riuscirono a localizzare la loro destinazione finale presso alcune foreste dello stato di Michoacán, presso cui effettivamente, trova oggi lo svolgimento questo video, dal contenuto visuale ed auditivo assolutamente degni di essere commentati.
L’azione viene documentata e descritta dal naturalista Phil Torres, in tale occasione investito del ruolo di capo spedizione per il portale scientifico e divulgativo Atlas Obscura, che nelle presenti circostanze sembrerebbe trovarsi pienamente a suo agio. Questione non propriamente facile da dare per scontata, vista l’impressionante quantità d’insetti, vivi e morti, che sembrano inconsapevolmente minacciare il suo diritto ad uno spazio personale in cui muoversi senza schiacciarne o urtarne svariate dozzine. Benché l’effetto, nel suo complesso, risulti essere innegabilmente ed esteticamente affascinante: non per niente alla lepidottera Monarca, il cui nome deriva da niente meno che il re Guglielmo III d’Inghilterra (detto per l’appunto in funzione del suo stemma, d’Orange) viene anche assegnato il termine maggiormente generico di farfalla tigre, in funzione delle quattro ali caratterizzate da una notevole livrea a strisce arancioni e nere, coronate da una striscia di puntini bianchi alle estremità. Motivo, questo, ripetuto apparentemente all’infinito qui nel santuario di Sierra Chincua, dove come ogni anno svariati milioni di queste piccole creature discendenti dall’intera popolazione della parte occidentale degli Stati Uniti, e persino il Canada, si stanno risvegliando per compiere il loro avventuroso ed epico viaggio verso i luoghi di un’estate maggiormente ricca di risorse alimentari e in funzione di ciò, propedeutica alla riproduzione. Ma è in funzione di uno stato delle cose tanto insolito ed appassionante, che all’esperto documentarista viene in mente un’idea, largamente priva di precedenti nel suo settore. “E se provassimo…” Suggerisce “…Soltanto per un attimo, a restare completamente in silenzio, impiegando un microfono ad alta sensibilità per registrare e in funzione di questo, farvi finalmente sperimentare a distanza, l’incredibile esperienza auditiva di questo luogo? Avete mai sentito il suono che deriva non da una, né 50 ali di farfalle, bensì dozzine di migliaia delle stesse, solennemente unite in un concerto privo di termini di paragone nell’intero vasto regno della Natura?”
registrazione
La collana di Samsung per riprendere il mondo a 360 gradi
Ripensando a determinati momenti della vita, la realtà tende a fondersi con la fantasia. Situazioni come la giornata autunnale, a coronamento di una carriera universitaria, in cui vi siete trovati dinnanzi a una commissione di esimi docenti per esporre la vostra tesi di laurea. Di fronte a molti dei vostri compagni di corso, ai parenti, agli amici e a qualche visitatore indesiderato, come i fotografi speranzosi di vendervi la loro testimonianza per immagini di quel memorabile evento. Così vi ritornerà in mente, quel lungo discorso, preparato accuratamente, lo sguardo come attratto da un magnete verso la collettività cortese ed interessata di costoro, sospinti innanzi dallo sguardo di un’invisibile pubblico “amico”. Girarsi? Impossibile. Come per Orfeo disceso all’Inferno, in cerca di un modo per salvare la sua amata. Completamente soli, nell’attimo della verità. Ed anche se potrete disporre in seguito del video-racconto girato da uno dei presenti, o persino una pluralità di questi, è altamente probabile che gli obiettivi siano rimasti puntati per tutto il tempo su di voi, con soltanto un paio di carrellate sul pubblico, onde rilevare l’atmosfera corrente. Chi guardava voi durante lo svolgersi dell’esposizione? Chi fuori dalla finestra? Sorridevano, i vostri genitori? Erano seduti? Oppure in piedi?
Potreste obiettare che simili dettagli non abbiano un’importanza particolarmente rilevante. Eppure la mente umana funziona in un modo per cui, normalmente, i fattori di contesto possono restare impressi a distanza di molti anni. Formare, persino, il carattere di una persona. C’è stato un lungo periodo, dall’invenzione della prima cinepresa, in cui nessuno semplicemente si è chiesto se fosse possibile, o in qualche maniera utile, riprendere contemporaneamente l’intero spazio circostante un determinato punto, ovvero il 100% degli eventi in un dato momento X. Pensate, di contro, alla quantità d’informazioni che si possono desumere da una semplice fotografia di Google Street View: interi quartieri, immortalati dal passaggio della famosa macchina con gli obiettivi globulari sul tetto, con passanti, automobili, vetrine dei negozi, i manifesti elettorali. La telecamera a 360 gradi è uno strumento dalle potenzialità di registrazione eccellenti perché superiore, nel suo campo visivo, persino agli occhi umani. Ma si tratta anche di… Un sistema ingombrante. Non tanto di per se stesso, visto come esistano ormai dei prodotti, vedi ad esempio la Ricoh Theta S o la LG 360 Cam, consistenti in poco più che un paio di obiettivi rivolti in direzioni contrapposte, con lenti speciali per permettergli di coprire 180 gradi ciascuno, poco più grandi e sensibilmente meno costosi di un cellulare. Quanto per la necessità di posizionare le suddette telecamere, al fine di ottenere un video effettivamente funzionale allo scopo, in posizione priva di ostruzioni di alcun tipo, come al di sopra di un casco o su un treppiede, posto in maniera specifica lontano dalla gente o il soggetto che s’intende immortalare. Il primo prodotto che ci viene proposto dalla startup Linkflow, nata dall’incubatore di nuove realtà imprenditoriali gestito dalla colossale multinazionale Samsung, si propone di rispondere a una simile problematica con la più sorprendente, ed innovativa delle idee: una versione sempre pronta all’uso di simili dispositivi, pensata per offrire una ripresa che sembrerà essere in prima persona. Posizionata, in maniera molto semplice e funzionale, in corrispondenza del collo umano. Un’idea geniale, se ci pensate. Quale altra parte del nostro corpo resta ragionevolmente stabile in ogni momento, indipendentemente dai movimenti effettuati e dal contesto, in maniera sufficiente da offrire una piattaforma di registrazione efficace? Inoltre, il concetto stesso d’indossare un gadget che poggia sopra le proprie spalle è concettualmente un’attività familiare, vista la frequenza con cui le persone scelgono di poggiarvi le cuffie per di ascolto delle più svariate fogge e dimensioni. Con una significativa differenza, tuttavia: questa volta, piuttosto che una coppia d’altoparlanti, l’archetto di riferimento conterrà non due, bensì tre fotocamere, posizionate rispettivamente ai lati sul retro e sulla punta anteriore sinistra, con una collocazione studiata per essere sufficiente a coprire l’intero spazio sferico dell’unico tipo di testimonianza videografica che possa dirsi realmente “completa”. Le possibilità sono letteralmente infinite…
Le insospettate doti acustiche dei vostri asciugamani
Magari amate fare pratica con gli strumenti musicali. Forse avete un hobby che comporta la registrazione della vostra voce, come la realizzazione di un programma radiofonico via web, oppure lo streaming in diretta via Twitch e/o YouTube. Oppure ancora e molto più semplicemente, siete degli estimatori della buona musica, con un impianto di cui andate fieri, ma non avete ancora pensato d’investire nell’approntamento di un ambiente d’ascolto realmente adeguato. Si, si può capire: l’isolamento adeguato di una stanza della casa da influenze esterne, parallelamente alla riduzione del rimbalzo delle onde sonore sui muri (causa del fastidioso effetto del riverbero acustico) presuppongono non soltanto l’acquisto di un certo numero di appositi pannelli, più o meno costosi a seconda della casa produttrice e prestazioni, ma anche la complessa disposizione di questi ultimi secondo specifiche progettuali attentamente definite, avendo cura di non danneggiare la delicata gommapiuma permeabile in cui essi sono fabbricati. E ciò senza considerare il proverbiale pachiderma nella stanza: il risultato estetico di queste dozzine di quadrati neri o grigi, esteticamente simili a cartoni delle uova. Mostri oscuri che dovranno diventare parte inscindibile dell’arredo della vostra abitazione, come una sorta di tappezzeria dell’era spaziale. Certo, non a tutti piace vivere nell’approssimazione visuale di una camera anecoica incompleta! E ciò può diventare tanto più problematico per chi vive con moglie, figli, coinquilini o genitori. La proposta fatta dal qui presente artista del fai-da-te, Matt di DIY Perks, diventa tanto più interessante con il ruolo di una sorta di mezza misura, molto più accessibile di tutte le alternative normalmente prese in considerazione, e che soprattutto ha un costo che, a seconda dei materiali di cui già disponete, potrebbe avvicinarsi vertiginosamente allo zero.
Il tutto prende l’origine, in maniera piuttosto scientifica anche se non esattamente inconfutabile, con l’approntamento da parte del nostro eroe di un apparato in giardino, consistente in un altoparlante posto parallelo al terreno, un sostegno di fili in nylon e sopra di esso, un microfono sospeso ad una sorta di teepee. Il ragionamento che lo ha portato ad approntare un ambiente di prova all’esterno, piuttosto che nella camera oggetto della sua necessità, va probabilmente ricercato nel bisogno di eliminare dall’equazione il possibile rimbalzo del suono sulle pareti circostanti, che aveva la potenzialità d’invalidare i risultati della sua registrazione. Non che il passaggio delle automobili distanti, il canto degli uccelli e gli altri innumerevoli rumori del suo quartiere siano tanto meglio, ma che cosa ci vuoi fare… Autoprodotto il sistema, autoprodotto il video, e così pure l’approccio sperimentale alla risoluzione del problema. Ciò è semplicemente endemico nella presente classe di tutorial. Matt ha quindi impiegato il suo smartphone per far produrre all’altoparlante alcune frequenze scelte arbitrariamente, e nello specifico quelle andanti dai 5 ai 17 Khz, con l’obiettivo di eleggerle a campione del tipo di suoni che intendeva mettere alla prova. Ciò che ha fatto quindi successivamente, è stato interporre tra cassa e microfono una serie di oggetti di facile reperibilità, per scoprire quali avessero le doti migliori di fonoassorbenza. I risultati sono stati a volte prevedibili, altre sorprendenti: la gommapiuma da pacchi, esteriormente non dissimile da quella creata esplicitamente a tale scopo, si è invece rivelata come portatrice di un effetto trascurabile, del tutto inadeguato. Nel frattempo la schiuma espansa dei cartoni delle uova americane, un altro mito del settore purtroppo assai diffuso tra gli studi di registrazione dalla poca professionalità, non ha ottenuto risultati in alcun modo superiori. Con l’impiego di un cuscino, invece, è andata molto meglio: ma in quel particolare caso, assai probabilmente, è stata la massa stessa dell’oggetto a fare la differenza. Ciò che invece nessuno si sarebbe assai probabilmente mai aspettato, è l’ottimo risultato ottenuto alla fine con l’impiego di un comune asciugamano da bagno ripiegato su se stesso. Che si dimostra in grado di assorbire, per lo meno nella strana configurazione sperimentale di Matt, una quantità di suono superiore di quasi il doppio alle alternative. Dico, vi rendete conto di che epoca stiamo vivendo? Perché mai succede questo? Prima di fare delle ipotesi, analizziamo per un attimo le implicazioni.
Ipertempo: il potere degli elicotteri sulla realtà
Di questi tempi in cui tornano di moda macchine del tempo ed astronavi stellari dei ruggenti anni della cellulosa, è facile tornare coi ricordi a quella scena magica e fondamentale, l’attimo in cui i protagonisti, saldamente assicurati sul sedile, decidono che si è palesata la necessità di fare quella “cosa”. Si spinge la leva, si preme il bottone. In un lampo di luce, l’energia repressa che trova l’attimo di sfogo attentamente definito, la liberazione di una forza incredibile ed impressionate. Ma non puoi rappresentare coerentemente, se non attraverso ciò che ne risulta, il concetto vago ed aleatorio del teletrasporto. Non senza una conoscenza approfondita del funzionamento di questo processo che effettivamente, non esiste. Così, su pellicola, si disegnano una serie di linee convergenti, verso un punto di fuga che costituisce l’obiettivo. Ed a questo, fino ad oggi, si era dato un solo nome: l’iper(sopra)spazio. Quello che non sapevamo tuttavia, perché oggettivamente non era possibile immaginarlo, è che un semplice elicottero radiocomandato, come questo dell’hobbista Marcel Guwang, potesse generare i presupposti di una simile apoteosi visuale. Dimostrando davvero, finalmente, quanto fossimo distanti dalla verità. Perché per spostare la propria esistenza da un luogo all’altro del sensibile, a quanto pare, il metodo più rapido non è percorrere una linea retta. Ma piuttosto un’onda sinusoidale spiraleggiante… Immaginate una corda di chitarra, colpita con il plettro nel punto centrale della sua estensione, poi sfiorata con il pollice di quella stessa mano. Ciò che normalmente avrebbe oscillato da una parte all’altra, producendo una nota limpida e perfetta, a questo punto è stato suddiviso in due segmenti, diventando l’equivalente di altrettante corde poste in serie. La tonalità è la stessa, eppure le frequenze sono differenti e parallele; un effetto che viene chiamato, niente affatto casualmente, dell’iper(sopra)tono. Ordunque, qual’è il suono “reale”? Quale, invece, la sua riflessione armonica, corrispondente a un multiplo della fondamentale? Distinguere tra le due voci è in effetti altrettanto facile per un orecchio esperto, quanto inutile ai fini di acquisire una profonda comprensione musicale. Come avviene per la particella subatomica media, la cui posizione è per definizione inesatta e inconoscibile, la vibrazione di un corpo acustico è uno stato continuativo, che presuppone un inizio e una fine della sua corsa, ma non tanto definiti nello spazio. Bensì, nel tempo.
Il fatto è largamente noto, persino accettato dai più: siamo pulviscolo sperduto in mezzo ai venti dell’Esistenza, puntini insignificanti tra innumerevoli universi paralleli. Ciascun minimo evento della nostra giornata, col suo verificarsi passibile di alternative, genera innumerevoli continuum, talvolta inimmaginabili, altri del tutto simili alle situazioni che viviamo quotidianamente. Tranne che per qualche piccolo, inquietante dettaglio. E tutte le realtà sono imprescindibilmente collegate, ma non sempre si influenzano a vicenda. Si potrebbe anzi dire che ai fini di una presa di coscienza della nostra reale condizione umana, di universi dobbiamo considerarne solamente due: ciò che palesemente siamo, quello che si trova dritto innanzi a noi. Ovvero il suo opposto speculare, geometricamente ribaltato, come un’immagine allo specchio della nostra stessa vita. Ora, naturalmente, poter acquisire una simile visione non è semplice, né viene naturale neanche allo strumento illimitato della mente. Sull’apertura del terzo Occhio, nella storia del mondo, sono state spese innumerevoli parole: chi giurerebbe che il modo migliore e dormire, per sognare, passando la vita in posizione orizzontale. Altri assumono sostanze, più o meno psicotropiche, al fine di strappare con violenza quel pesante velo che nasconde la suprema verità. Mentre gli estremi ottimisti, dal canto loro, altro non fanno che vivere la propria vita, certi che la comprensione un giorno arriverà. Se pure, deve farlo. Ma l’approccio più diretto eppure bistrattato, per quanto naturalmente chiaro ai bambini e molte anime innocenti, è un altro: girare vorticosamente su se stessi. Piazzatevi a gambe incrociate nella posizione del mezzo loto, sopra una solida sedia da ufficio. Fate il vuoto intorno a voi, nella stanza. Quindi, con un braccio puntellato saldamente sul bracciolo, allungate l’altro fino alla parete, datevi una spinta. Cosa sta succedendo? Al primo, secondo, terzo giro, sapete ancora cosa siete? Dove andate? Da dove…