In molti più modi di quanto si tenda a considerare, creare vuol dire distruggere. Un’assioma particolarmente facile da evidenziare in molte delle procedure interconnesse col settore pratico della coltivazione agricola, all’interno del quale si persegue l’obiettivo di cambiare le tempistiche ed il tasso di maturazione di una parte significativa di utili presenze vegetali, entro un susseguirsi di fasi e modalità chiaramente iscritte sul calendario. Schema totalmente antropogenico di un’essenziale suddivisione temporale, la cui disciplina è un fondamento di precisione quasi militare, in cui ogni gesto viene calibrato, ciascuna interazione attentamente connotata dal codice dell’operatività evidente. Una tendenza essenzialmente entropica per la natura, che dando spazio alle inerenti prerogative usa i propri agenti terzi come fondamento di un collaterale tipo di ribellione: l’insinuante, insistente, inesorabile venuta delle erbacce. Piante “brutte” in quanto prive di uno scopo superiore, tranne l’infinta replica e trasferimento del proprio codice genetico alla prossima generazione. E quale luogo migliore, per andare dietro a un simile obiettivo, che i campi fertili ed attentamente preparati dalla brava gente del consorzio dei sapienti, detentori del potere e del concime e dell’aratro che ribalta e ossigena gli strati fertili di terra del colore dell’antica corteccia di una quercia… Così un giorno ci si sveglia, andando a controllare l’andamento del raccolto lungamente ricercato di mais o grano, soltanto per vedere una spettacolare quanto florida distesa di trifogli, idrocotile, tarassaco o margheritine. Esteriormente gradevole, senz’altro, persino bucolica nell’apparenza. Ma un contadino potrebbe anche innervosirsi. Potrebbe riempire un grosso serbatoio di gas propano. Eventualmente poi mettendosi, tramite l’impiego di una serie di cannule curvacee, ad espellerne l’aria portata fino a incandescenza di una pletora di fiamme vive, lungo il passaggio che sarebbe stato un tempo l’incontrastata prerogativa di un pacifico e tranquillo bove.
Niente più inquilini impropri dunque e almeno in linea di principio, niente più coltivazioni perseguite sulla base del bisogno evidente. Se non che, in base ad un piano attentamente calibrato, tutto questo sembra avere un metodo preciso ed altrettanto pratico senso procedurale. Tale da permettere l’effettiva sopravvivenza di tutti quei teneri virgulti che dovrebbero vedere la prossima alba, anche mentre annienta i loro caotici e verdeggianti vicini abusivi. La ragione esatta, in ultima analisi, per cui un tale processo prende il nome di pirodiserbo (o flame weeding) come più recente aggiunta all’arsenale variegato inclusivo di mezzi meccanici, manuali e chimici impiegati per l’annientamento delle piante ostili. Senza aggiunte di sostanze potenzialmente cancerogene ma piuttosto la creazione in loco di ottimi presupposti di concimazione. La via dell’equilibrio armonico, perseguita tramite l’impiego di un’arma rigorosamente vietata dalla convenzione di Ginevra…