Giallo e ricoperto d’impossibili piastre rettangolari? Le grosse orecchie da cane o da gatto? La capacità di emettere, con la sua coda articolata, piccoli vortici di sabbia e scampare così alla scossa elettrica del topo giallo più famoso dell’intero Giappone? Nell’ormai leggendaria prima generazione dei mostriciattoli Pokémon, emersi dalla celebre coppia di videogiochi per console Gameboy, c’erano creature fantastiche di vario tipo: alcune bestie mitologiche occidentali, altre ispirate al folklore tipico giapponese, determinate creazioni ibride tra diverse specie animali o in almeno un paio di casi, vegetali. Eppure tra tutti quei colorati personaggi, per qualche ragione quelli che tendevano a rimanere più impressi non erano altro che reinterpretazioni più o meno fedeli, ad opera dell’illustratore Ken Sugimori, di animali realmente facenti parti del patrimonio biologico del nostro pianeta. Soprattutto insetti, qualche creatura marina e un singolo mammifero, il cosiddetto Sandshrew. Nei molti anni intercorsi da quell’ormai remoto 1996, non sarebbe mai più successo: mentre l’estetica del fantastico contemporaneo devia sempre maggiormente dallo stile quasi fiabesco di allora (nelle ultime edizioni, vanno per la maggiore i Pokémon robot, alieni o guerrieri vagamente umanoidi) e ogni possibile spunto educativo naturalistico viene abbandonato, non abbiamo più avuto bestie che fossero collezionabili, allo stesso tempo, nel mondo virtuale e in quello fatto di carne, atomi e sangue. Il che può essere anche inteso come un bene. Visto l’attuale stato dei fatti, almeno per quanto concerne l’ispirazione diretta del suddetto che di sicuro vorrebbe, più di ogni altra cosa, passare inosservato. Si stima in effetti che negli ultimi 10 anni, una quantità di almeno un milione di pangolini sia stata prelevata dal proprio ambiente di appartenenza, per traffici illegali mirati soprattutto al mercato alimentare e quello, più forte che mai in quest’epoca di razionalismo, della cosiddetta medicina tradizionale cinese. In realtà un corpus di confuse credenze dalla provenienza disparata, spesso in conflitto tra loro, che attribuirebbero un valore spirituale e magico alla consumazione di ingredienti rari. Cosa che un tempo, ahimé, il pangolino non era. Ma come cambiano le cose! È dal 2014 che lo IUCN, ente alle origini della lista rossa delle specie a rischio di estinzione, ha inserito nel suo indice anche lo Smutsia temminckii, ultima delle 8 specie esistenti a guadagnarsi il dubbio onore di uno stato di vulnerabilità il quale, nei fatti, farebbe invidia a ciascuno dei suoi più immediati cugini. Tutti quanti a rischio serio, o persino critico, di scomparire del tutto da questo pianeta.
Il caso dei pangolini, sia le quattro specie asiatiche che le quattro africane, è in realtà piuttosto atipico, poiché in assenza di fattori ambientali comuni, come il mutamento climatico o la riduzione di un particolare habitat, il suo nemico più pericoloso è diventato piuttosto un altro: la pura e semplice globalizzazione. Un meccanismo che tra le sue implicazioni più problematiche, pone allo stesso livello i bisogni percepiti da ogni cultura e potenziale fascia di consumatori. Mettendo in moto un meccanismo per cui popolazioni disagiate, ma anche vere e proprie istituzioni dell’avidità commerciale, creano delle filiere mirate alla cattura e spedizione all’estero di queste indifese creature, senza particolari riguardi nei confronti della loro importanza nello schema generale delle cose. Fino a casi eclatanti, come il sequestro di un magazzino nel 2017 a Shenzen in Cina, durante il quale vennero recuperate scaglie appartenenti secondo una stima a 20.000 esemplari di pangolino. Praticamente più della quantità rimasta al mondo di appartenenti alle quattro specie più a rischio, Il pangolino di Sunda, l’indiano, delle Filippine e quello cinese. O quello del 2016, quando nel frigorifero di un uomo indonesiano vennero ritrovati 657 esemplari impacchettati e pronti per essere commercializzati in Estremo Oriente Al che verrebbe immediatamente da chiedersi, che cosa effettivamente possiamo fare singolarmente, nella speranza di assistere a un cambiamento nel modo in cui il mondo tratta e considera questo animale. Sull’immediato purtroppo non c’è moltissimo. Ma possiamo, quanto meno, fare il possibile per conoscere e divulgare la sua storia…