L’anacronistica tecnica afghana della fotografia nella scatola oscura

Nei recessi oscuri di un vicolo di Kabul, un uomo siede su una sedia con le spalle al muro. Accanto a lui un secchio e di fronte, l’attento operatore di quella che sembra essere, sotto qualsiasi punto di vista rilevante, una cassetta della frutta messa in bilico su un treppiede. Implemento per il trasporto agricolo il quale tuttavia, presenta alcuni significativi tratti di distinzione: il più evidente una manica nera sul che pende sul fianco destro, evidentemente concepita come principale veicolo d’accesso per il corrispondente braccio umano. L’asticella metallica fissata con una molletta da disegno. E soprattutto, un piccolo foro frontale, con all’interno l’unico elemento tecnologico di una lente di vetro dalla forma circolare, che potenzialmente tradisce il vero significato di una tanto insolita contingenza. Trattasi in effetti, qualora non fosse per voi già evidente, dell’obiettivo di una foto-camera, intesa come versione portatile del letterale ambiente architettonico all’interno di un edificio, con un singolo pertugio d’ingresso per la luce, all’interno del quale gli antichi prima, e alcuni pittori del Rinascimento oltre un millennio dopo, studiarono il fenomeno della luce che ri-proietta, magicamente, l’immagine del paesaggio in posizione invertita sull’intonaco candido dell’antistante muro. E in effetti una versione concettualmente non molto dissimile, di questo concetto, da quelle originariamente concepite attorno alla metà del XIX secolo da figure pionieristiche come l’inglese Henry Fox Talbot (inventore della dagotipia) o il francese Alphonse Giroux (creatore del dagherrotipo). Eppure sarà importante notare che potremmo trovarci cronologicamente, in simili circostanze così fuori dal tempo, in uno spazio d’anni che si estende soltanto dai giorni nostri fino alla decade del 1950, epoca in cui una simile tecnica giunse, per il tramite dell’India, fino al paese a maggioranza islamica dei tanti conflitti etnici e guerre civili.
E kamra-e-faoree, viene chiamata da queste parti, il che significa letteralmente “macchina per la fotografia istantanea” benché l’aggettivo usato risulti essere, nei fatti, estremamente soggettivo. Il procedimento che vede i nostri due personaggi egualmente coinvolti ai due lati dello strumento può infatti richiedere una serie di minuti piuttosto lunga e talvolta anche più di mezz’ora, riuscendo a confermare il concetto universale secondo cui per fare le cose bene, ci vuole tempo. Dal momento in cui il fotografo versa i due composti chimici nelle altrettante bacinelle necessarie ad agevolare la procedura: una soluzione rivelatoria del bagno di sviluppo mirata a trasformare l’alogenuro d’argento contenuto nella carta fotosensibile e uno speciale liquido di fissaggio, preparato in casa secondo ricette tramandate di padre in figlio, con diverse possibili combinazioni di metol, carbonato e solfato di sodio. Subito inserite, quindi, tramite lo sportello anteriore all’interno della scatola, prima di passare a quella fase che attraverso i secoli, non è mai cambiati: la precisa disposizione dell’inquadratura rispetto al suo specifico soggetto, ovvero il cliente interessato a risolvere il problema particolarmente pratico di avere una foto da mettere sui documenti…

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Gli anziani custodi di un bosco nel cuore del deserto

“Quando andrò in pensione, potrò finalmente godere del meritato riposo.” Ecco qualcosa che l’abitante della Mongolia Interna ed ex-burocrate Toto Bartle, o sua moglie Taoshen, potrebbero aver detto in un momento lontano. Finendo poi per dimenticare un così estemporaneo proposito, dinnanzi al richiamo estremamente soggettivo della Necessità. Ovvero quell’idea estremamente chiara nei loro pensieri, fondata sull’immagine ormai quasi dimenticata, in cui una figura umana emerge dal mare vegetativo, sembrando fluttuare nell’aria per un qualche tipo di arcana stregoneria. Questo perché stretti tra le sue gambe, integralmente coperte dai tronchi, le fronde e le contorte diramazioni, si trovano i fianchi invisibili di un fidato cammello, grosso animale talvolta chiamato anche “la nave del deserto”. Ma un vascello non dovrà mai seguire un sentiero, per schivare l’ingombro alla navigazione di alberi o cespugli, elementi immoti ed inamovibili, durante il corso d’incalcolabili contingenze o generazioni. Tutto ciò, per lo meno, fino all’insorgere di un mutamento climatico di fondo, in grado di estrarre l’ultimo residuo contenuto d’umidità dall’atmosfera di questi luoghi, rendendoli inospitali persino per il leggendario albero del deserto, il saxaul. Haloxylon ammodendron, saksaul (саксау́л) o suo suo (梭梭) come viene tutt’ora chiamato nei più vasti paesi facenti parte del suo bioma d’appartenenza, benché nel corso degli ultimi anni abbia finito per costituire una vista ben più rara di quanto fosse mai stato in precedenza. Il che, in ultima analisi, costituisce un problema estremamente significativo, quando si considera il ruolo primario di questo albero nel bloccare l’avanzata delle dune di sabbia con il suo complesso e stratificato sistema di radici, agendo in conseguenza di questo come unico baluardo naturale contro il continuo espandersi dei deserti.
“Ovunque, ma non qui” sembra quasi, quindi, di sentir echeggiare nel grande vuoto del deserto di Badain Jaran, terzo più grande della Cina ma primo per l’altezza dei suoi dislivelli sabbiosi, ove i due succitati giardinieri, consorti amorevoli, hanno deciso di spendere fino all’ultimo quantum d’energia residua. Trascorrendo tra queste sabbie, da un periodo che ormai si estende per 15 anni, circa 300 giorni a ogni volgere del grande ciclo, indipendentemente da acciacchi, stanchezza e le veementi preghiere dei loro tre figli metropolitani, comprensibilmente incapaci di anteporre l’aleatorio concetto del “bene collettivo” ai loro beneamati genitori, che ormai riescono a vedere assai raramente. Contrariamente a quanto sarebbe possibile affermare per i loro più statici e vegetativi beniamini, i circa 60.000 arbusti piantati nel corso di una simile Odissea, tra le alterne fortune di una tanto ardua e ambiziosa missione. E quando dico ciò, intendo riferirmi a ostacoli davvero significativi…

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