Nel 1872 la cittadina di Meredith nello stato del New Hampshire, come del resto l’intera regione del New England, aveva già una certa familiarità con il concetto di misteriosi volti scolpiti nella pietra. Risale ad oltre 70 anni anteriormente a quella data, per l’appunto, la prima menzione del Vecchio della Montagna, forse scultura creata dagli umani oppure un semplice caso di pareidolia, frutto di un’erosione particolarmente suggestiva ad opera del vento e delle intemperie, per cui un profilo chiaramente riconducibile a quello di un enorme individuo barbuto faceva capolino dalla cima del promontorio granitico di Cannon Mountain, tra i picchi delle Montagne Bianche. Eppure il facoltoso uomo d’affari Seneca A. Ladd, che aveva fondato la sua banca esattamente tre anni prima, dopo aver fatto la sua fortuna commerciando in carri e strumenti musicali, non stava probabilmente pensando a tale luogo quando venne chiamato improvvisamente dal gruppo di lavoratori locali impegnati nell’infiggere il palo di una recinzione nei dintorni del più grande lago del suo stato, dal nome ereditato di Winnipesaukee: “Signore, venga a vedere. Abbiamo trovato una strana pietra!” In base ad altre versioni della storia, invece, egli stava passando casualmente di lì, quando vide la concrezione d’argilla, probabilmente contenente un fossile o reperto archeologico di qualche tipo, gettata con disattenzione presso il cumulo di terra derivante dalle opere infrastrutturali in corso. Nulla, ad ogni modo, avrebbe potuto prepararlo a quanto stava per fare la sua comparsa sul suo tavolo da lavoro, usato nella pratica amatoriale di hobbista archeologo, che l’aveva portato negli anni a collezionare un grande numero di artefatti creati dalle antiche popolazioni dei Nativi Americani. Quando si trovò improvvisamente a fissare, direttamente negli occhi, una stranissima figura: faccia dai lineamenti stilizzati, nell’ovale inciso al centro di una pietra levigata con la forma e le dimensioni di un uovo di gallina (100×64 mm in totale). E immaginate la sua sorpresa quando, voltandola attentamene tra le mani, scorse ai lati e dietro di essa una serie di simboli misteriosi: una pannocchia, la luna, una spirale, un teepee indiano, alcune frecce disposte a formare una sorta di lettera “M” ed altri disegni geometrici apparentemente privi di un palese significato. Ritrovamento fuori dal contesto destinato forse a scomparire tra le pagine della storia, se non fosse per la peculiare abitudine, da parte di quest’uomo, ad esporre nell’anticamera della sua banca i pezzi migliori della collezione, avendo trasformato tale ambiente, sostanzialmente, in un piccolo museo. Diventata ben presto una delle attrazioni preferite dagli abitanti del territorio rurale attorno a Meredith, l’uovo di pietra venne quindi notato nell’estate di quello stesso anno dal celebre scienziato ed inventore Daniel J. Tapley di Danvers, Massachusetts, che dopo aver parlato con entusiasmo del reperto in una lezione presso l’Istituto Essex di Storia Naturale, scrisse entro pochi mesi un articolo pubblicato sulla rivista The American Naturalist in cui ne descriveva a fondo l’aspetto chiamandolo “Una misteriosa reliquia degli Indiani”. In breve tempo, in tutto il paese e persino in Europa le varie interpretazioni del mondo accademico iniziarono a sovrapporsi. In quegli anni le popolazioni native americane, ormai ammansite al cosiddetto “destino manifesto” degli uomini venuti da Oltremare erano state riconsiderate dall’opinione pubblica e della scienza, assumendo le fondamentali caratteristiche di genti mistiche in profonda comunione con la natura, in qualche modo depositarie di una conoscenza che tutti gli altri sembravano da tempo aver dimenticato. L’uovo di Ladd, tuttavia, come un vero oggetto fuori dal contesto, non accennava a schiudersi mostrando i suoi segreti, data l’assoluta assenza di alcuna riconducibilità a tradizioni note di tribù locali, assomigliando per certi versi a iconografia e figure mitologiche di una matrice culturale totalmente distinta. Entro una paio di decadi, inevitabilmente, giunsero le prime ipotesi extra-terrestri, mentre i più scettici iniziarono a dire apertamente che potesse trattarsi di uno scherzo creato intenzionalmente da un banchiere eccessivamente annoiato…
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L’appiccicosa ondata che devastò la città di Boston
Nient’altro che un ulteriore sacrificio, di spontaneità e senso di ragionevolezza, verso una ricerca spregiudicata dell’opulenza totalmente fine a se stessa: ciò persegue la scurissima formica, all’occhio e nella mente del Rynchota cicadidae, cantatore alato delle notti di prive di preoccupazioni in merito al futuro. Chi ha mai detto che gli insetti siano poi così diversi da noi? Come nel proverbio e nelle fiabe, nell’infinita varietà di attitudini previste dalla mente umana, esistono i due distinti approcci alle necessità del sopravvivere: accumulare, consumare. Ovvero, essenzialmente, il gesto di coloro che si preoccupano e quello degli altri, invece, che non pensano al domani. Ma in tutto ciò permane una saggezza innata nel regno della Natura, che soltanto a coloro dotati della prima inclinazione, offre la possibilità di costruire un qualcosa di grande e persistente, come la rete sotterranea di un profondo e fresco formicaio. Mentre le frequenti e malcapitate volte in cui le cicale UMANE si mettono ad accumulare…Le conseguenze…Sono…
Arthur Gell è il nome del personaggio responsabile introdotto dal video d’apertura di The Folklorist, citato anche da Wikipedia come principale imputato al processo che venne portato a termine successivamente alla data dell’orribile disastro; un individuo con tuba e piglio dickensiano, per lo meno nella fantasia della succitata ricostruzione dalle forti influenze teatrali, che commise in modo pienamente verificabile, nel corso della sua vita, almeno un grave e deleterio errore: dimenticare la sicurezza, in un contesto in cui l’assenza di quest’ultima avrebbe potuto mettere in modo i presupposti di una grave strage. Cosa che puntualmente e per voler del Fato, di lì a poco capitò. Chi l’avrebbe mai detto! Suo era il mestiere di contabile, per il conto della Purity Distilling Company che l’aveva fatto tesoriere, negli anni immediatamente successivi alla liquidazione dell’azienda ed al suo acquisto da parte della United States Industrial Alcohol Company di Boston, detta generalmente in breve USIA Co. Un passo effettuato, secondo teorie create a posteriori, in previsione dell’imminente entrata in vigore del proibizionismo, un passo legale che ormai in molti si attendevano da parte del Congresso degli Stati Uniti, chiesto a gran voce da intere comunità ecclesiastiche e corposi comitati. Era il 1917, e la prima grande guerra entrava nella sua fase critica, mentre anche i soldati d’America s’imbarcavano infine per i distanti territori degli Imperi Centrali. Ciò, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è molto rilevante al nostro racconto. Perché la principale attività curata dalla Purity, in aggiunta alla distillazione dell’etanolo, era l’importazione di grandi quantità di una particolare sostanza dalle distanti terre d’India, il derivato secondario della lavorazione della canna da zucchero: la melassa. Un liquido marrone, appiccicoso e denso, che trovava collocazione non soltanto nei dolci, nel tè e nel caffè, come ingrediente più salutare e lievemente amarognolo della nostra tipica polverina bianca, o nella bevanda alcolica più rappresentativa dell’intero New England, il caro vecchio Rum, ma anche e soprattutto in qualità d’ingrediente per il munizionamento militare di fanteria, aviazione e marina. Ebbene si: con lo sciroppo estratto dai vegetali oggetto di lavorazione all’interno degli zuccherifici, tramite bollitura e successiva cristallizzazione, può essere utilizzato per creare degli esplosivi. Come avrebbe scoperto suo malgrado la gente di Boston, esattamente due anni dopo la gioiosa acquisizione della Purity da parte della USIA Co.