Su un pianeta del braccio esterno della Galassia, all’interno di un oscuro crepaccio vasto quanto il Grand Canyon… Piccole creature, dalle multiple braccia planano nei pressi delle pareti di roccia dalla rada vegetazione, alla ricerca di un luogo tranquillo presso cui poggiare il proprio corpo sferoidale. O come preferiscono chiamarlo gli scienziati, il mantello, sacca in cui trovano collocazione tutti gli organi principali, tra cui occhi, bocca, stomaco, osphradium, nefridiopori e gonopori. Soltanto uno di questi esseri dal colorito rosa pallido parrebbe totalmente immobile, facendo pensare per un breve momento che possa essere passato a miglior vita. Ma la telecamera direzionabile, montata sul vascello radiocomandato inviato fin qui dagli umani, non ci mette molto a cogliere un leggero movimento, il guizzo laterale del suo sguardo, che indica uno stato intenzionalmente letargico, benché attento a ciò che accade tutto attorno a lui/lei. E con ottima ragione, si può ben capirlo, quando da un’angolazione laterale si capisce finalmente cosa stia facendo. Sotto quei tentacoli, semi-nascosto dallo sguardo dei suoi molti nemici, c’è il più notevole ammasso di 165 uova candide, un’intera prossima generazione. Scattate le opportune foto, registrato un dettagliato video, la sonda tecnologica decide quindi di fare ritorno da dove è venuta. Soltanto molti mesi dopo, ritornando nello stesso luogo, avrà modo di scorgere una scena sostanzialmente immutata, tranne per la madre un po’ più pallida, e le uova leggermente più grandi. E così di nuovo, a distanza di anni, fino alla nascita tanto lungamente attesa di quel mondo così lontano…
Negli studi antecedenti all’anno duemila della specie di polpo abissale Graneledone boreopacifica, gli oceanografi ebbero perciò un’occasione di restare perplessi particolarmente duratura nel tempo: in quale modo tale cefalopode della grandezza non maggiore ai 9-10 cm poteva riuscire a mettere al mondo, in effetti, figli già grandi oltre un terzo della sua misura complessiva e perfettamente capaci di sopravvivere in solitudine? Sistema niente meno che necessario, visto l’infelice destino di colei che si occupava di metterli al mondo, per la programmazione genetica ad autodistruggersi nel momento stesso in cui la sua missione riproduttiva avrà finalmente raggiunto il coronamento. Una caratteristica apprezzabile in varie misure per molte specie di polpo, ma particolarmente degna di nota in questa piccola specie predatoria, che si riteneva tra l’altro vivere per un periodo di tempo di poco superiore ad un anno. Questo almeno, finché una serie di spedizioni esplorative guidata dal Prof. Bruce H. Robison dello MBARI (L’Istituto di Ricerca dell’Acquario di Monterey) non raggiunsero le profondità della profonda fessura omonima a largo della costa californiana, per scorgere un qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la percezione di questo notevole animale abissale. Una visione progressivamente sempre più sorprendente, nonché memorabile, ogni volta che si dimostrava capace di estendersi nel tempo presso quella scoscesa formazione a circa 1.400 metri di profondità. Al punto che l’unico modo possibile per narrarla, tra i diversi approcci disponibili, diventa elencare semplicemente i fatti con la modalità e nell’ordine in cui sono stati annotati dalla scienza. Così la piccola madre, diventata geneticamente incapace di nutrirsi per l’intrinseca predisposizione che si ritiene concepita al fine di evitare il sovrappopolamento a vantaggio delle nuove leve, continuava non soltanto a sopravvivere, bensì fare fedelmente la guardia alle sue uova senza mai raggiungere il limite ultimo del proprio resiliente organismo. Fino al giorno in cui lo sguardo delle telecamere non si trovò a riprendere una parete rimasta ormai disabitata, con soltanto le uova schiuse ed ormai prive dei propri occupanti a offrire l’evidente prova di non aver sbagliato direzione. Soltanto che, a quel punto, era ormai trascorso un periodo trascurabile di “appena” 52 mesi!