Con 20 tonnellate nella stiva, sorse dalla Russia il più potente elicottero mai costruito in serie

In ogni momento della Storia in cui si rende manifesta una particolare necessità operativa, le cronache ricordano uomini e donne dalle doti straordinarie, in vari apprezzabili maniere capaci di dimostrarsi scaltri, ingegnosi o GRANDI sullo sfondo dei propri contemporanei. Qualche volta, tali aspetti possono trovarsi espressi nelle loro gesta. Certe altre, negli oggetti a cui seppero dare un senso ed una logica immanente. Decollo, volo, sollevamento: tre fasi nella pratica espressione di un apparecchio motorizzato, la cui funzione è sempre stata esclusivamente quella: vibrare e roteare a un punto tale, da poter sfuggire alle rigide catene della forza di gravità. Portando al proprio seguito tutti coloro, o quelle cose, che desiderassero elevarsi sopra delle circostanze in qualche modo indesiderabili o avverse.
Così la maggior soddisfazione postuma di Mikhail Leontyevich Mil (1909-1970) l’ingegnere aerospaziale e scienziato russo fondatore dell’omonimo bureau industriale, si sarebbe potuta forse manifestare nel futuribile 2002, con la più importante creatura del suo protegé Marat Tishchenko non soltanto utilizzata con successo nell’intero Nord-America per varie mansioni di tipo civile, ma inviata fino in Afghanistan durante l’Operazione Anaconda, per recuperare un MH-47E Chinook che era stato abbattuto da un lanciarazzi talebano dietro le linee nemiche. Manifestando in questo modo quell’immagine destinata a rimanere impressa nella mente dei presenti, del possente elitrasporto a due rotori sollevato con il lungo cavo, da questo gigante che sembrava a tutti gli effetti un comune elicottero nella sua forma in versione largamente sovradimensionata. Ed è forse proprio questo semplice approccio, l’aspetto maggiormente distintivo del design del Mi-26 “Корова” (Mucca) come fu soprannominato in determinati ambienti dell’Est Europa (mai dai suoi piloti, che lo rispettavano eccessivamente) pochi anni a partire dal suo primo volo nel dicembre del 1977, cui si giunse al fine di risolvere un problema di vecchia data nell’universo logistico dei suoi creatori. Ovvero una risposta alla questione, sempre problematica, di come riuscire a spostare ingenti quantità di materiali, munizioni ed uomini da un lato all’altro del paese più grande la mondo, con molte regioni quasi totalmente prive di strade utilizzabili, soprattutto dal punto di vista di un ponderoso convoglio militare. Ecco dunque spiegata l’esistenza, attraverso le decadi antecedenti di tutti quei giganteschi aerei da trasporto prodotti dai marchi Antonov e Ilyushin, per non parlare dei precedenti elicotteri pesanti della Fabbrica Moscovita Mil, il Mi-6 e il Mi-8. Perché come si dice, chi trova una pista d’atterraggio, trova un tesoro e qualche volta il metodo del decollo verticale è tutto quello che ci resta per riuscire a compiere l’impresa. Come quella di poter dimostrare nuovamente al mondo come nessuno gestisca meglio i trasporti aerei pesanti, che il paese dove l’ingegneria è figlia reiterata di un pragmatismo straordinariamente pratico nei suoi metodi e modalità d’applicazione. L’idea di partenza dunque, commissionata alla Mil verso l’inizio degli anni ’70, partiva dal requisito di poter trasportare con le proprie pale oltre 30.000 Kg ad alta quota e velocità significative, verso località irraggiungibili dagli aerei pesanti utilizzati fino a quel momento. Una finalità sollevata con estrema semplicità e nonchalanche, quando si considera la sua natura totalmente priva di precedenti nella storia della tecnologia elicotteristica creata dall’uomo…

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