Nove piani per emergere dalla pagoda incorporata nella nuda roccia dello Yangtze

Le opere architettoniche del passato possono venire spesso collocate lungo un asse lineare, dove gli edifici di maggior rilievo ed imponenza devono aderire a dei particolari canoni esteriori e funzionali, dettati dal senso comune che determina il flusso di risorse e forza lavoro. Laddove all’altro capo dello spettro, trovano collocazione le opere vernacolari imprevedibili o realmente spontanee, difficilmente in grado di oltrepassare le dimensioni di una residenza di famiglia o il monumento costruito da una piccola comunità rurale. Nel caso in cui il potere assoluto risieda nella visione e il gusto di un singolo individuo, tuttavia, ogni cosa può riuscire a palesarsi, a patto di disporre di maestranze dalle capacità sufficientemente navigate. E nessuno potrebbe dubitare che nella contea cinese di Chongqing, durante il regno dell’Imperatore Xianfeng dei Qing (1831-1861) simili speciali condizioni avessero trovato il modo di convergere a tutti gli effetti. Come reso evidente dall’antico complesso in pietra di Shibaozhai (石宝寨 – Preziosa Fortezza di Pietra) lungo il fiume Yangtze, destinato a ricevere una mistica “pagoda” di nove piani dalle caratteristiche pareti rosse e finestre circolari. Per cui le virgolette appaiono del tutto motivate, giacché una tale classe d’edifici tendono generalmente a prevedere una pianta ottagonale o quadrata, oltre ad uno spazio tutto attorno per riuscire ad ammirarne l’altezza. Laddove qui siamo di fronte ad un costrutto che si appoggia e al tempo stesso fa un sapiente impiego della ripida collina retrostante, un rilievo dell’altezza di 200 metri con in cima il tempio dedicato al bodhisattva Manjusri. Essendo giunta a costituire, nei termini coévi, l’iconica Piccola Penglai (蓬莱山) o Terra Mistica degli Immortali ma anche una versione antesignana con le sue ripide scale degli odierni ascensori montani, largamente utilizzati in epoca contemporanea per permettere ai turisti di apprezzare alcuni dei panorami più eccezionali della Cina. In sostituzione dell’antico metodo secondo cui, per lunghi secoli, i visitatori di tale luogo avrebbero dovuto arrampicarsi su un ripido sentiero aiutandosi con una lunga catena. Nessuno aveva mai pensato, d’altra parte, che un luogo simile al tempo del su primo utilizzo potesse costituire un giorno l’attrazione turistica principale della sua intera regione, nonché un patrimonio classificato al più alto livello del repertorio nazionale…

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La cripta della metropolitana che costituisce l’ultimo ricordo di un impero Universale

Nel romanzo del 1905 di Jules Verne, Kipps: storia di un’anima semplice, il protagonista incontra la sua amica d’infanzia ritrovata, e futura spasimante Ann in presenza di “un Labirintodonte verde e oro, così magnifico sopra le acque del lago”. Non propriamente un ennesimo ritorno alla Preistoria, a cui le precedenti opere di questo antesignano del fantastico di avevano abituato, bensì la fedele descrizione di un punto di riferimento statuario davvero esistente, all’interno del Crystal Palace Park. Ovvero quello spazio designato, presso il rilievo londinese di Sydenham Hill, come punto d’arrivo del trasloco della singola costruzione vittoriana temporanea più incredibile, nonché una delle maggiori costruite al mondo. Se il protagonista provinciale delle tante disavventure della narrazione avesse a questo punto accompagnato la ragazza fino ai margini del parco, oltre la via d’accesso principale che conduce alla zona di Greenwich, i due si sarebbero a questo punto imbattuti in un semi-nacosto ingresso verso i “misteriosi” sotterranei dell’ambiente metropolitano. E proprio qui, al termine di una lunga scalinata, avrebbero potuto fare l’ingreso in una sala degna di essere chiamata fiabesca, da ogni accezione di quel termine liberalmente utilizzato senza vere cognizioni di fatto. Ma chi avrebbe mai creduto che uno spazio tanto simile alla cripta di una cattedrale bizantina potesse trovare la collocazione, sotto il cemento ed il selciato di un comune viale? 18 colonne di mattoni ottagonali, sormontate da una volta a botte dal disegno geometrico di rombi interconnessi. Tratteggiato grazie all’utilizzo di maioliche in alternanza, color crema ed arancione, con rosoni situati nelle vie di fuga, raffiguranti dellle immagini dell’Astro Solare. Quella stessa stella diurna che, secondo un popolare modo di dire, non sarebbe mai realmente tramontata sui possedimenti del grande paese sotto l’egida di Queen Victoria. Così come volutamente ricordato, dalle molte meraviglie tecnologiche, scientifiche ed ingegneristiche, di quello che sarebbe stato ancora per svariate decadi uno dei punti di riferimento londinesi più famosi su scala nazionale e nel mondo, qui raccolte da un esperto comitato nell’equivalenza finemente ornata di una trasparente basilica di 84.000 metri quadri. Ma così come la gloria degli Imperi non può durare per sempre, lo stesso vale per le serre colossali, non importa quanto attenta e puntuale possa essere stata la loro costruzione…

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L’incerta epoca e funzione di duecento torri che sovrastano i tragitti tibetani

L’imprescindibile tendenza a diversificare, che deriva dalla fantasia fattiva degli umani, non può prescindere da certi crismi ripetuti che compaiono immutati anche tra contesti culturali particolarmente distanti. Così la necessità di certi popoli di far emergere, se stessi, la propria famiglia e percezioni, al di sopra delle prospettive di chi ascende o trasferisca i propri avere da un ciglio montano all’altro, ha in più momenti e situazioni ricreato la presenza di quel tipo d’edificio preminente ma compatto, sostanziale equivalenza abitativa di un albero o antica colonna. Vedi le fortezze georgiane dei clan dei Vainachi, come anche le torri circolari costruite dagli Irlandesi. Eppure ciò in tanti sembrano voler dimenticare, nei trascorsi secoli come l’epoca corrente, è che anche in prossimità del tetto del mondo, l’elevato e tormentato Tibet, sia vissuta una categoria di grandi costruttori. Che nel tentativo di proteggere il proprio territorio avito, ma anche o soprattutto primeggiare tra i propri vicini, scelsero di mettere una pietra sopra l’altra. E poi uno strato successivo, ancora e ripetutamente raggiungendo varie volte l’altezza massima di 60 metri. Finché i propri interessi ed i domini territoriali non fossero salvaguardati, per quanto possibile, da una delle forme primordiali del concetto di fortezza. Senza l’uso d’ingombranti mura, barbacani o fossati, poiché dopotutto siamo in luoghi dove la conformazione stessa del terreno risultava successivamente accidentata da ostacolare un’armata. Ma di chi fosse quest’ultima, ai tempi della prima costruzione, possiamo unicamente tentare ipotesi del tutto prive di riferimenti adeguati.
Ciò perché le torri himalayane, in quantità complessiva pari a circa 250, per quanto diffuse nelle regioni oggi cinesi di Kham, Qiang, Kongpo e Danba, appaiono essere state dimenticate per lungo tempo dagli stessi discendenti di coloro che le hanno create, in assenza di fonti scritte in grado di fornire un chiarimento sul come, cosa e perché di tali ponderose installazioni ancestrali. Per la poca affinità di questi popoli con la parola scritta, ma anche un possibile e potenziale progetto di sovrascrittura culturale, iniziato nel XVIII secolo a seguito delle dispendiose campagne di espansione territoriale messe in atto dall’imperatore Qianlong (r. 1735-1796). Durante cui oltre 600.000 uomini furono fatti avanzare fino al cuore dell’antico regno montano di Gyalrong alias “Valle della Regina” ove si diceva che fin dai tempi remoti governassero esclusivamente le donne. Ma non prima di aver fatto costruire, poco fuori Pechino, delle repliche fedeli delle torri virtualmente inespugnabili che i suoi soldati si sarebbero trovati ad espugnare…

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L’ultimo castello colonnare che troneggia sotto l’isola scozzese dei giganti

Prima degli articoli sulle riviste, i documentari televisivi, gli influencer di TikTok, le destinazioni turistiche nascevano e guadagnavano la loro fama tramite gli strumenti propriamente interconnessi al mondo della cultura. Così che la citazione da parte dello scrittore James Macpherson di un’isola remota nell’arcipelago delle Ebridi un tempo denominata Staffa (“colonna”) lunga appena 1,2 Km e larga 400 metri, come luogo di nascita di Ossian, il leggendario poeta da lui citato come ispiratore del suo corpus di opere narrative sulla mitologia dei popoli del Nord, avrebbe suscitato a partire dal 1761 l’interesse collettivo dei romantici, incapaci di resistere al sito caratteristico ove sorgeva un antico castello. Personaggi come il compositore Felix Mendelssohn, che ancora nel 1829, durante un’escursione presso l’arcipelago d’isole scozzesi noto come le Ebridi, fu famosamente sorpreso di non trovare sopra le alte coste nessun tipo di rovina, ma al di sotto di queste, lo spazio vuoto di una grande sala simile alla volta di una cattedrale, la cui altezza dalle acque lambenti dell’Atlantico sembrava superare i 22 metri d’altitudine dallo scafo della sua minuta imbarcazione. Dovete considerare a tal proposito come a quell’epoca, persino dopo l’introduzione del metodo scientifico e la nascita dell’archeologia, l’origine naturale di una simile struttura non sarebbe stata particolarmente evidente, questione già all’origine di una disputa mezzo secolo prima tra il geografo del regno Joseph Banks ed F. Cope Whitehouse, egittologo, nonché studioso delle cosiddette civiltà perdute. Ciò detto il musicista Mendelssohn, che aveva differenti sensibilità, senza soffermarsi troppo sulla questione si lasciò trasportare da un diverso scorcio sensoriale, quello garantito dal particolare suono che le onde producevano all’interno di una simile struttura basaltica, costituito da un’innumerevole susseguirsi di formazioni di basalto verticale geometricamente ripetute, simili a quelle dell’ancor più famoso Selciato del Gigante (“Clochán an Aifir“) situato all’altro lato del braccio di mare che separa Scozia ed Irlanda. Un rimbalzare riecheggiante di tonalità melodiose, che egli avrebbe trasformato e riproposto l’anno successivo come tema principale di quello che potrebbe essere chiamato il suo capolavoro, l’ouverture privo di un’opera Die Hebriden, dedicato al sublime senso di solitudine e la natura selvaggia dell’eponimo gruppo d’isole inglesi. Entro cui lo spazio cavo sotto Staffa era stato detto in lingua gaelica, prima del passaggio e della trattazione ad opera di J. Banks, Uamh Bhin ovvero Grotta Melodiosa, finché le associazioni letterarie di cui sopra non l’avrebbero vista ribattezzare con l’attuale qualifica di Fingal’s Cave, dal nome del personaggio ossianico, più o meno basato sulla figura mitologica di Finn/Fionn mac Cumhaill, il condottiero dell’eroica banda di avventurieri noti come Fianna, possibilmente collegato alla creazione stessa di questo luogo senza pari nel mondo…

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