Aladino del parkour all’epoca dei ninja uzbekistani

Una figura con la giacca rossa corre lungo i vicoli di una città di cupole, minareti, alte mura e stretti vicoli labirintini. Quando nel giro di pochi attimi, tre individui si palesano all’inseguimento, brandendo le pericolose shamshir, normalmente note come sciabole persiane del Medio Oriente. Egli corre, quindi, cade, inciampa, rotola di lato. Schiva i colpi ed alla fine in qualche modo, riesce a seminarli sopra i tetti tra i recessi di quel mistico consesso urbano. Per trovare, in qualche modo, il tempo di rubare il naan, pane cotto nei forni d’argilla, da donare a un paio di bambini senza nulla da mangiare. Gesto a sèguito del quale viene nuovamente raggiunto, così che non ha altra scelta che riprendere a fuggire…
Ha un certo stile riconoscibile, quel vero e proprio “flusso” se vogliamo, che tende a caratterizzare normalmente le metodologie di montaggio di un film. Così mentre l’impressione offerta da quel semplice cortometraggio, gradualmente, si amplia per offrire scorci di un intero filo narrativo a noi già noto, all’improvviso comprendiamo di trovarci dentro a un video di Devin “Supertramp” Graham, il regista e produttore di Salt Lake City (Utah) che attraverso gli anni si è riuscito a confermare la propria immagine come un sinonimo di sport d’azione e d’avventura su YouTube, in questo caso girato assieme alla celebrità dell’acrobatismo urbano Calen Chan, nostra vecchia conoscenza per le molte partecipazioni a brevi opere del post-moderno internettiano. Sempre attorno alla disciplina di origini francesi del parkour, incentrata sulla filosofia e lo stile di vita della continua ricerca del movimento e l’efficienza dei gesti, come proposto originariamente dall’addestratore militare Georges Hébert ed istintivamente messo in pratica da incalcolabili generazioni d’eroi ed antieroi. Personaggi che l’autore letterario o cinematografico di turno, ogni volta, metteva a diretto contatto con le contingenze più difficoltose e i casi avversi della vita, come pirati, banditi, agenti speciali e gli altri “diamanti grezzi”, per usare una terminologia più prettamente disneyana. Quella, per l’appunto, di Aladino.
Ora è interessante, a tal proposito, notare come il luogo dell’azione non sia propriamente quello che in origine dovette immaginare Antoine Galland, l’autore francese della prima edizione occidentale del testo, celebre raccolta contestualizzata di novelle di origine indo-iranica, arabo-abbaside-irachena, arabo-egiziana. Poiché siamo, come desumibile dal particolare charme soltanto vagamente “arabesco” dell’architettura in mostra, in terra d’Uzbekistan poco al di là del Caspio, tra il lago d’Aral e Samarcanda, e per essere precisi in due specifiche città: Khiva e Bukhara. E del resto, poco male per gli amanti delle ambientazioni storicamente corrette, visto come qui la fonte usata come ispirazione sia piuttosto quella del cartone animato degli anni ’90, in cui il regista dei Walt Disney Studios Ron Clements esplorava gli aspetti più validi per l’intrattenimento di questa particolare vicenda narrativa dall’origine relativamente incerta. E poco basta, dunque, per donargli un’estetica superficialmente “corretta”, soprattutto con le ottime capacità di produzione e montaggio di Devinsupertramp aiutato dai rappresentanti dell’ente del turismo uzbekistano, che l’avevano chiamato in quella splendida occasione a visitare, assieme ad altre celebri personalità ed influencer di YouTube, alcuni dei luoghi più riconoscibili di quel notevole paese. Vedi ad esempio lo straordinario quartiere storico di Itchan Kala a Khiva, dove si svolge la prima parte dell’inseguimento, con le sue mura merlate e la moschea di Djuma dalle 218 colonne in legno. Ma, potrebbe sorprendervi dopo aver visto il video, nessun bazaar…

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La fuga rocambolesca di un trasportatore ubriaco

Russian Truck

C’è un solo paese tra la Finlandia e la Corea del Nord. E i suoi territori, che superano per estensione la superficie del pianeta Plutone, sono uniti dalle strisce di un asfalto che ne ha viste molte, pure troppe. Sono strade estremamente forti e lunghe, queste, come testimoniato quasi quotidianamente da dozzine di registrazioni video, messe a conoscenza del grande pubblico internazionale. Forse, assai probabilmente, nessuna pari a questa, appena rilasciata dal dipartimento di polizia di Grodno, nel Belarus, come esempio didascalico di un pericolo scampato, solo per un pelo, esclusivamente grazie all’abile intervento degli agenti in uniforme. Siamo, per usare il termine italiano, nella nazione della Bielorussia. E questa è una delle Avtomobil’nye dorogi federal’nogo znacheniya Rossiyskoy Federatsii (Strade d’importanza federale nell’Unione Russa) tanto simili alle vene ormai cristallizzate di un antico dinosauro, titanico e indefesso, lo spettro di un’epoca dimenticata. Eppure assai vicina, nella coscienza culturale di chi l’ha vissuta.
Tanto che, ad oggi, non esiste un’immagine in Occidente di quel vasto mondo operoso, dei suoi campi coltivati, delle industrie e degli ingenti sforzi necessari per tenere collegate le sue città, assai remote. Circondati dalle visioni ammirevoli dei colossali 18-wheeler statunitensi o dei loro corrispettivi canadesi, splendidi e cromati, siamo pronti a trascurare la figura dell’autotrasportatore slavo, che senza mai stancarsi viaggia fino alle propaggini della Mongolia. Come un tempo fecero all’inverso le orde del temuto Gengis Khan; finché non succede, all’improvviso, questo. L’aberrazione di un tremendo rischio o l’impossibile follia di un tardo pomeriggio, certamente meno che ordinario, all’apparenza. Comunque valido ad aprirci gli occhi sulla verità. Tutto inizia alle ore 20:15 dello scorso 27 luglio, presso un’area di parcheggio della Baranovichi – Vaŭkavysk. Un camionista, alla guida di un articolato Scania per il trasporto di autoveicoli, urta un furgoncino Mercedes Sprinter. Aveva 1.9 ppm di alcol nella vene, contro la soglia nazionale permessa di  0.3 parti per milione. Tanto è bastato, incredibilmente, a scatenare la follia. Inizia così una fuga senza criterio, nel corso della quale l’uomo viola ogni regola del codice della strada, guidando anche contro mano, sfiorando numerosi autoveicoli e con essi la tragedia. A fargli da scorta indesiderata alcune coraggiose auto della polizia, che presto aumentano di numero in maniera esponenziale. Verso le ore 20:37, il dipartimento di Grodno chiede aiuto al distretto di Baranovichi, mentre già vengono sparati i primi colpi in aria, senza nessun tipo di risposta dal fuggiasco. Ciò che succede dopo…Va detto: le proporzioni, a volte, fanno la differenza. 

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Fuga ninja dalla scuola media superiore

Ninja girls

Come quando fuori ninja, così, d’un tratto. La vita è piena di rimpianti? Non in questo caso, di Fuka Yoshino, kickboxer professionista, e Muneomi Senju, la batterista del gruppo d’avanguardia dei Boredoms. Due ragazze giapponesi, nella compunta uniforme detta sailor fuku, che si lanciano dal terzo piano senza farsi male. Si arrampicano sui templi. Gettano in giro pericolosi chiodi a tre punte, pardon, makibishi. Si trasformano in pezzi di legno (!) Poi si rincorrono per la città di Atami, ridendo e scherzando, nella ragionevole approssimazione di un combattimento, senza posa, tra i guerrieri con il volto sempre in ombra, lame occulte nella notte, piedi lievi e grande agilità. Un principio di evasione da imitare.
Dopo le lunghe ore consumate sopra i banchi, dietro a materie sempre meno rilevanti, sotto a una campanella che non suona mai; la noia! Una faticosa sensazione di espletata rilevanza, che ti coglie senza presupposti di coinvolgimento. Mentre la mente vaga e si costruisce roboanti vie di fuga, tra l’ora di geometria, la ricreazione e quella di ginnastica. Perché il corpo freme nell’attesa. Di tornare all’aria aperta, per fuggire da una tale impenetrabile apparenza. Corri, salta, calcia e rotola per terra. Più ci pensi, meno riesci a farlo. Troppo complesso è liberarsi dalle imposizioni del contesto, trascendere il bisogno di quell’arbitrario voto, un triste numero tracciato a penna. Mancano le vie di sfogo. Ci si dedica, dunque, a collaterali attività. Le due protagoniste sono qui coinvolte in quello che, ai nostri occhi d’internauti, si presenta in modo molto chiaro. Parrebbe infatti una versione alternativa del concetto di parkour, la disciplina di origini francesi, che consiste nel prodursi in pazzeschi acrobatismi urbani, spesso rischiando infortuni…Di variabile natura. Un ambito sportivo d’azione, se tale si può definire, che da tempo trova interessanti associazioni con il contesto culturale giapponese. Per l’evidente analogia con certi antichi personaggi, associati allo spionaggio, l’assassinio e la furtività. Li conosciamo molto bene, grazie ai fumetti e ai cartoni animati. Anche il PK dei nostri giorni, del resto, nasceva in ambito militare, dalle teorie dell’ufficiale di marina Georges Hébert. Il quale affermava, nei suoi studi, che la forza derivasse dalla capacità di adattamento ad ogni circostanza e alle necessità dell’attimo presente. Appunto: è proprio questa, fondamentalmente, la distinzione tra i soldati semplici e quelli delle forze speciali; o per meglio dire nel nipponico contesto, tra i samurai ed i ninja. Appartenenti, spesso, alla stessa classe sociale, eppure drasticamente differenti per contegno e senso dell’onore. Perché i secondi, soprattutto, ricercavano il valore dell’utilità. Risolvere i problemi, invece che crearseli da soli. Metti caso, ad esempio, che sia ancora in corso la lezione dell’ultima ora. Le porte sbarrate della scuola, i custodi con le loro forti scope a forma d’alabarda, e i severi insegnanti, il crudele vicedirettore con i baffi stile Nobunaga; finita la pazienza, resta solo la rassegnazione. Giusto? Questa è l’unica strada ragionevole. Oppure, se rifiuti la minestra….

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