La tromba del Paradiso, produttrice di una melodia immortale, usata per dar fiato agli spartiti del saliente Inferno… Nel giorno della fine o momento storico di un nuovo Inizio. Ma non è ottone questo materiale bensì acciaio inossidabile ma soprattutto, resistente alle alte temperature. Poiché altrimenti, come spiegheresti le palesi aspettative del barbuto Creatore alle origini di una simile allusione speculativa… Colui che ha posto il segno della sua firma e mantenuto saldamente in pugno il timone. Nonostante le possenti vibrazioni intente a renderlo del tutto incontrollabile attraverso le spericolate contingenze dei nostri trascorsi. Sempre più sfocato, invisibile sulla distanza! Mentre chi è rimasto a piedi continuava a chiedersi, piccato: “Ma chi DIAVOLO è costui?” Maddox, Robert Maddox. Folle architetto di momento adrenalinici basati sulla forza incontenibile del gas propano, kerosene e/o altre tipologie di carburante opportunamente incendiario. Soprattutto quando incanalato, tramite un sistema d’iniezione, dentro un tubo di metallo rispondente ad un progetto estremamente preciso. Quello brevettato, per la prima volta, nella Francia dell’inizio del secolo scorso da parte di Victor De Karavodine, ma messo in pratica famosamente quasi quattro decadi dopo, dal Reichsluftfahrtministerium che voleva far volare più lontano i propri missili a lunga gittata. In quella che sarebbe diventata celebre come bomba “V1” perfetta per colpire Londra e gli altri obiettivi più invitanti all’altro lato della Manica inglese. Arma di distruzione destinata ad essere associata a due cose: il proprio basso costo d’implementazione, pari a circa il 4% di uno dei successivi e più potenti ordigni V2; lo strano suono vibrante prodotto per l’intero tragitto e poco prima del devastante impatto. La cui indescrivibile ancorché roboante persistenza, possiamo ad oggi ben conoscere dal contributo videografico della qui presente celebrità internettiana. Quindici anni, in questi lidi, rappresentano d’altronde un’eternità e ciò è vero soprattutto quando sembrano essere stati trascorsi a sperimentare, perfezionare e produrre successive iterazioni della stessa melodia tecnologica di riferimento. Assieme all’apparato, relativamente semplice, capace di dar fiato a quell’inconfondibile essenza. Poiché stiamo parlando, per chi ancora non l’avesse capito, dell’oggetto noto come motore a pulsogetto, uno dei più semplici e primitivi degli impianti a reazione. Capace di rappresentare ben più che una semplice dimostrazione d’intenti, ma giungendo piuttosto a sviluppare una quantità di cavalli significativa, a discapito di consumi non trascurabili, vibrazioni ed un frastuono ragionevolmente udibile a chilometri di distanza. La cui storia delle applicazioni contemporanee è una costellazione di modellini, apparecchi fatti in casa e strabilianti meraviglie dalle inusitate circostanze d’impiego. Proprio come, per l’appunto, le improbabili follie veicolari di quest’uomo…
go-kart
É possibile sfidare i giganti del rally a bordo di un minuscolo go-kart?
Concentrandomi sugli alberi che scorrono veloci, premo a fondo l’acceleratore, del tutto indifferente allo spazio ridotto che permane ai lati del veicolo della misura di un carrello della spesa. Mezzo a quattro ruote dal rumore acuto, non dissimile da quello di una moto fatta l’eccezione per la nota sorda restituita dall’ardita vicinanza con il suolo sterrato della foresta. Col tracciato chiaramente iscritto nella mente (zero spazio, in questo sport, per il navigatore!) abbino il gesto all’intenzione, prima ancora che la svolta giunga innanzi agli occhi materiali. Mentre con un formidabile colpo di reni, irrigidisco la schiena e le spalle, poco prima di tuffarmi dentro l’universo diagonale di un folle drift…
Diligente, appropriata, nobile arte, di perdere il controllo al volante ma in maniera ben precisa, lasciando che la parte anteriore e quella posteriore di un’automobile, in un dato momento, agiscano in maniera indipendente per lo stesso fine: assecondare lo specifico andamento di una curva, dentro, attorno e infine oltre l’ostacolo, fino al raggiungimento del traguardo finale. Non è forse vero, tuttavia, che negli anni tutto questo è diventato in qualche modo TROPPO prevedibile? Sospensioni calibrate alla perfezione, gomme dalla mescola incrollabile, motori i cui rapporti giungono a coprire l’esatta lunghezza del più lungo rettilineo, meno la media dei suoi fratelli minori moltiplicati per la lunghezza della tappa di giornata… Matematica della vittoria, forse, questo è vero. Ma anche un terreno fertile per l’invadente arbusto della noia, che ad ogni evento cresce rigoglioso, privando d’aria e ossigeno il cespuglio dell’imprevisto. Col che non voglio dire, sia chiaro, che gli incidenti siano il sale di un rally, unico momento in grado di attirare l’attenzione della gente. Quanto piuttosto, l’esatto contrario: che nell’estremo ambiente delle moderne auto a trazione integrale preparate per la gara, non c’è più spazio per gli errori, poiché questi portano, immancabilmente, ad una fine improvvida del proprio contributo di piloti alle presenti circostanze. Ecco dunque, potenzialmente, l’idea: di quello che oggi prende il nome di Crosskart, o Kartcross che dir si voglia in base al paese di provenienza, nient’altro che l’applicazione del concetto originario del grande iniziatore Art Ingels, che negli anni ’50 nel suo garage in California costruì la prima automobilina per i piloti in carne ed ossa, futuro banco di prova e primo ambiente di trionfo ultra-giovane per piloti di chiara fama come Vettel, Hamilton, Alonso e lo stesso Michael Schumacher… Perciò ecco la domanda posta con i gesti da un oceano di distanza, quasi trent’anni dopo, dal pilota rallistico svedese Erland Andersson: “E per quanto concerne il fuoristrada, che cosa vogliamo fare?” Riuscite quasi a sentirla, potrei scommetterci: l’unione ultra-perfezionata dei concetti alla base di un’automobilina piccola ed economica, ma abbastanza potente da fissare tempi assolutamente degni di nota, sia sui tracciati “speciali” (normali strade di campagna) che in pista con terreno misto, nel moderno contesto della specialità rally-cross. Uno di questi selvaggi bolidi, così efficacemente riassunti dal video repertorio dell’editor spagnolo di settore Asturacing, dimostra essenzialmente l’incorporamento dei concetti comuni alle diverse interpretazioni del concetto di sprint car per la competizione negli ovali a trazione ridotta, meno l’enorme alettone e con un sistema di sospensioni in genere maggiormente sofisticato. Nel cui funzionamento, essenzialmente, è racchiuso il senso stesso di questo appassionante sport…
Ghiaccio e gomme sul torrente dove sfrecciano i go-kart
Il rombo, il grido, lo scricchiolìo. Nella la ricerca e l’estasi di uno stato di massima realizzazione motoristica, descritto nell’inerzia di quel movimento che può unicamente perpetrare se stesso, al ripetersi di un gesto predeterminato: far girare, per molte decine di gradi, lo stesso anello del comando, noto ai più col nome di “volante”. Eppure per colui o colei che siede in quella posizione, scomoda e desiderabile allo stesso tempo, appare molto chiara la totale assenza di una diretta corrispondenza tra la direzione scelta e quella percorsa dal veicolo, indirizzato in modo trasversale all’apice di questa curva o quella successiva. Non esiste alcuna alternativa, a questo punto, che sgommare fino all’ultimo e poi farlo ancora, noncuranti di ogni possibile teorica conseguenza. Tra cui quella maggiormente peculiare, di trovarsi immersi fino al collo dentro l’acqua gelida, del fiumiciattolo nel primo inverno di Togliatti(-grad). Siamo nella Russia occidentale, d’altra parte, presso una delle città più grandi che non danno il nome al proprio oblast (regione) che lo prende invece dalla vasta diga e relativo lago artificiale, che venendo costituito negli anni ’50 fece scomparire l’antica fortezza storica di Stavropol. Ben presto sostituita, in prossimità del Volga stesso, dai moderni palazzi e stabilimenti metallurgici di un luogo destinato a ricevere un appellativo il quale, piuttosto che onorare un patriota della Russia comunista di allora, avrebbe rafforzato la natura internazionale del Comintern, traendo l’ispirazione dall’allora leader e segretario del nostro PCI, Palmiro Togliatti in persona.
Un centro abitato, questo, dove i motori hanno sempre avuto una primaria importanza, a partire dal momento in cui lo stesso personaggio tanto rilevante nella storia dell’immediato dopoguerra curò assieme all’AD Vittorio Valletta il trasferimento e l’implementazione di una massiccia catena di montaggio per la FIAT 124, che prima di essere prodotta in svariati milioni di esemplari, avrebbe qui acquisito il nuovo nome di battesimo di Lada-Vaz Žiguli. Mentre allo stesso tempo, nell’ottica della creazione della “perfetta città sovietica”, il governo fece costruire un alto numero di centri sportivi e scuole per le più diverse discipline sportive, tra cui quelle che avrebbero dato i natali ai club locali ancora rilevanti nel calcio, hockey e nello sport nazionale del bandy. Mentre almeno 10 anni sarebbero percorsi, ancora, fino alla fondazione della scuola di Karting per grandi e piccini A.A.Sinegubova, istituzione sotto la cui prestigiosa egida, a quanto sembra, potrebbe essersi svolta questa singolare iniziativa, successivamente pubblicata online sul canale dello stesso guidatore/cameraman Gennady Novichkov.
Visitare Tokyo interpretando i personaggi di Mario Kart
Una delle più famose citazioni in merito alla creatura sferica di colore giallo, senza ombra di dubbio il più diffuso passatempo elettronico degli anni ’80, è stata ideata dal comico inglese Marcus Brigstocke, e recita: “I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pac-Man avesse lasciato il segno sulla nostra generazione, oggi staremmo tutti saltando su e giù in sale scure, mangiucchiando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva.” Il che, una volta elaborata la cupa ironia di fondo, chiarisce inavvertitamente l’assurdità di una simile linea di ragionamento: Pac-Man non ha creato la vita ai margini della discoteca, semplicemente perché essa esisteva già. Se mai, l’ha rappresentata. E poi, la creazione di Namco rappresenta una situazione talmente astratta da non avere dirette corrispondenze nel mondo reale. Voglio dire, vediamo che succede se adottiamo questo ragionamento all’epoca successiva: se i videogiochi avessero influenzato la generazione dei millennials, oggi la gente si sparerebbe per le strade, ruberebbe le auto malmenando il conducente, rapinerebbe le banche ed eleggerebbe candidati politici inclini a fare la guerra nei paesi lontani dalla propria area geografica di appartenenza. E poi, non solo: Se [bla-bla-bla] oggi mangeremmo tutti dei funghi prima di metterci alla guida, per andare velocissimi mentre buttiamo banane e ci lanciamo a vicenda dei gusci di tartaruga! Ops. Ecco che ci avviciniamo, accidentalmente, alla più pura e inverosimile realtà. Per trovarne la piena dimostrazione, occorrerà soltanto registrarsi alla Motorizzazione per una patente internazionale, ed avventurarsi dietro il volante nella distante metropoli delle luci (al gas xenon) Tokyo la grande, la caotica, a volte, l’incomprensibile gemma che vibra nel cuore dei terremoti. Il cuore ed il nocciolo, al tempo stesso, dell’intera questione.
“Sono pazzi, questi [X]” Affermava Obelix nei fumetti nei film, il guerriero dei galli dal piccolo elmo alato, osservando di volta in volta i Romani, gli Egizi, i Greci… E così hanno scritto l’altro giorno molti utenti di Internet, rispondendo al Tweet di Hugh Jackman, l’attore che interpreta Wolverine, mentre avvistava sulla soglia di un semaforo giapponese l’intero caravanserraglio del gioco Nintendo più in voga del momento, con tutta la ciurma sulle sue automobiline rosse, il muso tondo di Yoshi, la principessa rosa, le punte sul guscio di Bowser, i baffi degli idraulici e tutto il resto. Senza notare, in effetti, come il 90% degli individui che componevano il corpo di spedizione dal mondo del digitale fossero in effetti gaijin (stranieri). È una scelta particolare questa, ma non del tutto inaudita. Che mira a trasformare la propria stessa città in una sorta di Luna Park, in cui è possibile fluttuare temporaneamente all’estremo limite del codice della strada, per creare ricordi insoliti destinati a circolare sui social network, con tutta la forza di 10.000 Soli. C’è in effetti un piano attentamente calibrato, se la MariCar (questo il nome della compagnia organizzatrice) pubblicizza sul suo portale un pacchetto chiamato “Happyness Delivery” che comporta uno sconto per chi promette di “parlare a tutti i suoi amici dell’esperienza.” Il passaparola è semplicemente fondamentale, per una simile venture turistica. E poi, sapete cos’altro risulta esserlo? La stessa viabilità e lo stile di vita della capitale giapponese. Che prevede l’impiego dei mezzi pubblici, quando possibile, e in caso contrario un metodo di guida assolutamente tranquillo e del tutto conforme. Dico, ve l’immaginate gestire un simile tour in una grande città italiana… Molto probabilmente la liberatoria da far firmare ai partecipanti dovrebbe essere più alta della Treccani. E poi, l’appeal dell’evento sarebbe più adatto agli appassionati di sport estremi, come i praticanti assidui del base jumping con la tuta alare. No, noi siamo molto più avanti. Per far fruttare il fascino delle città, abbiamo i nostri saltimbanchi, giocolieri e soprattutto, i figuranti vestiti da antichi romani.
C’è una diretta ed interessante corrispondenza, tra l’altro, del modulo elaborato col genere di provenienza dell’intero exploit: MariCar permette in effetti di apprezzare a pieno il colore locale, perché ti rende parte essenzialmente di esso, come un lungo tronco trasportato dalle acque del fiume. Ed è proprio questa per puro caso (?) in ultima analisi, la differenza tra film e videogiochi…