Cinque camion della spazzatura avanzano a ritmo cadenzato lungo schiere di palazzi vuoti ed impersonali. Alla ricezione di un segnale a noi ignoto, si fermano all’unisono e cominciano a calare verso terra un dispositivo. Sostanzialmente una colonna senza capitello, concepita per poggiare sull’asfalto senza il benché minimo spazio residuo. Passano alcuni secondi di solenne aspettativa. Quindi un suono ritmico e profondo inizia a far distorcere l’atmosfera. “Qualcosa” in “Qualche modo” sta vibrando! Onde si propagano in maniera circolare verso il sottosuolo. Un mondo sconosciuto sotto i cavi della luce interrati, sotto i condotti della rete fognaria, sotto i tunnel dalla metropolitana e perciò mai soggetto all’insinuante sguardo di ricercatori umani, sembra quindi risvegliarsi, per rispondere alla voce di quel richiamo.
Il tipo di concept prodotti dagli istituti di ricerca mostra spesso un tipo di ottimismo che conduce all’obiettivo di un miglioramento procedurale, l’implementazione per processi che potranno consentire l’organizzazione per sistemi complessi, proiettati verso il cambiamento di un paradigma che limita la progressione verso il futuro. Inteso come vita quotidiana che abbia superato uno, o più problemi significativi dell’esistenza. Ed in tal senso può essere anche visto come un pindarico volo d’immaginazione, eppure al tempo stesso tanto affascinante, il breve video pubblicato dal produttore tedesco di macchinari pesanti per lo scavo Herrenknecht, finalizzato a far conoscere la loro collaborazione degli ultimi tempi con il dipartimento geofisico del Karlsruhe Institute of Technology (KIT) che ha saputo rimbalzare, non senza un senso d’entusiasmo latente, da un lato all’altro delle principali testate divulgative internazionali e anche la stampa generalista. Questo perché il tipo di idea esposta figurava essenzialmente e indisputabilmente come priva di precedenti, infusa di quel “nuovo” che parrebbe in grado di mostrare nuove vie o sentieri verso l’illuminazione dell’energia copiosa, economica e a disposizione di ognuno di noi. Il che potrà anche esser vero per il contesto ma lo è molto meno per quanto concerne la tecnologia in questione, in realtà in uso, in varie forme, almeno dall’inizio del secolo scorso. Essendo non dissimile da un punto di vista concettuale dal procedimento medico di una risonanza magnetica, in cui il soggetto risulti essere di contro niente meno che la Terra stessa. Riuscite a comprenderne le più Profonde implicazioni?
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I rischi delle buste di plastica utilizzate per alimentare i fornelli pakistani
Essere pieni di risorse non è necessariamente una colpa: saper provvedere alla propria famiglia, traendo il meglio da una situazione problematica. Ricavare spunti di sopravvivenza quando tutto ciò che resterebbe è fare i conti con lo stato della situazione. E limitare le peggiori conseguenze di una sconveniente deriva. Ma è pur vero che le strade alternative, per loro implicita occorrenza, implicano un certo numero di rischi. E compromessi fatti con le Fate del destino, tessitrici insonni che determinano il corso degli eventi persino quando tutto ciò che viene fatto parte dai migliori presupposti. Se i crismi operativi sono collaudati dalla mera e inconfutabile necessità di Fare… Di più. Ed allora, è veramente giusto andare contro ogni comune e ragionevole regolamento e normativa di sicurezza? Sarebbe giusto rimanere al freddo e fare la fame, operando in senso contrario? Chiedetelo, se proprio volete saperlo, agli abitanti della Khyber Pakhtunkhwa, provincia settentrionale del Pakistan, che dallo scorso inverno hanno acquisito su Internet un tipo di fama imprevedibile e molto probabilmente indesiderata. Per la prassi nata dal bisogno di riuscire a procurarsi e trasportare privatamente un carico di alto valore nel modo più efficiente immaginabile. O più pericoloso immaginabile. Poiché una bombola non è soltanto un recipiente metallico riutilizzabile e per questo, il tipo d’investimento che si ripaga da solo. Bensì parte di una serie di processi industriali ben precisi, che comportano la compressione di un gas a molte volte la pressione dell’atmosfera, facilitandone la trasportabilità e stoccaggio all’interno di un’umana dimora. Laddove nel momento in cui si rinunciasse a tale approccio, una quantità per uso personale di quei fluidi risulterebbe molto più ingombrante. Ma anche, leggera. È il principio, a ben pensarci, del dirigibile nonché il principio di QUESTI dirigibili della lunghezza di due o tre metri, il diametro di uno, trascinati per la strada da bambini e adulti che ritornano con entusiasmo sulla via di casa. Poiché non c’è maggior soddisfazione di chi ha trovato il metodo per affrontare i casi della vita. E continua a viverla, imperterrito, scegliendo d’ignorare ciò che è fuori dal catalogo delle questioni risolvibili al momento. D’altra parte il tipo di sostanza al centro di questa nuova categoria di video virali non è il più incendiabile e comprimibile gas metano, bensì un tipo di miscela a base di propano e butano, chiamata LPG, non tossica, non corrosiva e priva del terribile piombo tetraetile, pur risultando altrettanto combustibile nel caso di scintille inopportune o colpi di calore improvviso. Il che non può prescindere da un certo numero di rischi, come esemplificato dagli almeno 7 incidenti registrati nel corso dell’anno nei pronti soccorso locali, tutti relativi a persone più o meno gravemente ustionate. Ma nessuna palazzina rasa al suolo perché come dicevamo, c’è ovviamente un limite alla compressione raggiungibile da un fluido entro la versione sovradimensionata di una busta per la spesa…
L’ardua svolta campagnola sul sentiero dei preziosi ricettacoli per il gas butano
Un grande stabilimento industriale negli immediati dintorni di un comune al di sotto dei seimila abitanti può essere un’importante risorsa per la popolazione: posti di lavoro, migliori infrastrutture stradali, un maggior numero di negozi e servizi più efficienti. In determinate, rare e significative circostanze, la corporazione titolare può persino dimostrarsi un’efficace fornitrice d’intrattenimento. Vigeva per l’appunto un’atmosfera simile a una sagra, o quella della sfilata del santo patrono, in quel fatidico giorno dell’ormai remoto 2015, quando l’affiatata comunità di Aubigny-sur-Nère nel distretto Centro-Valle della Loira scese in buona parte indistintamente sulla strada, al fine d’inscenare una concentrazione di persone affine alle registrazioni storiche rallistiche del gruppo B. Quando i sentieri speciali delle gare ad alto ritmo motoristico erano troppo stretti, eccessivamente curvi, poco adatti ai ritmi eccezionali dei piloti che contribuirono a creare una leggenda. Alla maniera che ricorda in molti modi quella degli addetti e il personale specializzato che costituiscono la squadra, composta in egual parte dagli operatori della compagnia committente, del costruttore e tecnici forniti dal governo, al fine di assicurare il riuscito trasferimento di un qualcosa che potremmo definire come veri e propri oggetti fuori dal contesto. Tre abnormi cilindri sopra altrettanti camion, dal peso unitario di (almeno) 330 tonnellate e una lunghezza totale del convoglio pari a 65 metri, sbarcati a Parigi da Saint-Nazaire sull’Atlantico e che da lì hanno proceduto fino a Corbeil-Essonnes, per poi procedere a mezzo strada verso la loro destinazione finale. Se non che nessun sentiero a questo mondo, asfaltato o meno, può dire di esser stato costruito mantenendo a mente carichi di una siffatta imponenza, il che corrobora e sostiene la ben collaudata professione del trasporto eccezionale, un ambito entro cui ogni artificio è regolare, a patto di salvaguardare la sicurezza di cose, persone ed alberi lungo il tragitto. Come garantito in questo caso dalla compagnia Tissot, produttrice degli orpelli in questione, oblunghi sigari verde bottiglia in grado d’incamerare 1.000 metri cubi di gas liquefatto cadauno, a vantaggio di un’iniziativa di ottimizzazione ed ampliamento dell’ormai vicino sito produttivo della Butagaz, compagnia fornitrice di bombole alla stragrande maggioranza della popolazione francese. Il che richiede, come da copione spazio di stoccaggio sufficiente e rispettoso delle norme di sicurezza implementate dal governo, per tutto il tempo necessario al fine di creare il microscopico dal macro, ovvero recipienti ragionevolmente maneggevoli, versatili, facili da utilizzare. Ma non sempre l’accesso alle comodità del mondo contemporaneo può dirsi altrettanto raggiungibile mediante il proverbiale “singolo passo” dal veicolo terrestre alle grigie distese lunari. Ove un giorno carichi non differenti da quello presente avranno l’occasione di sbarcare, tra lo sguardo appassionato di astronauti ed altri membri di quella colonia distante…
Parlando dei clatrati, ovvero la prigione cristallina che trattiene sotto il mare l’ultimo respiro della Terra
Quando si pensa all’ora di un fenomeno estintivo sorgono alla mente due fondamentali tipologie di scenari: il primo è un’Apocalisse dalle origini esterne, ovvero l’impatto di un meteorite, oppure l’emissione di raggi gamma da parte di una distante Supernova, o ancora l’anomalia gravitazionale dovuta a un’improvviso passo falso nella danza dei corpi del Sistema Solare. Alternativamente, tra le nostre paure più frequentemente discusse, sussiste la casualità di un fattore di devastazione indotto da una situazione sussistente del nostro stesso pianeta, spesso di origine antropogenica, ma non necessariamente tale: una guerra mondiale, un disastro atomico, l’eruzione di un mega-vulcano. Tutte cause allo stesso modo irrisolvibili, a differenza del graduale, inesorabile riscaldamento terrestre. Un degrado che potrà durare secoli, o millenni, mentre la biodiversità dei continenti continuerà a soffrire, le risorse alimentari diminuiranno e la popolazione umana vedrà compromessa sempre più la qualità della propria esistenza. Ma che cosa succederebbe se tale fenomeno, piuttosto che richiedere generazioni, potesse accelerare al punto di giungere alle sue più gravi conseguenze nel corso di una singola vita umana? A quanti metodi o contromisure potremmo, in ultima battuta, fare ricorso nel tentativo di arginare il disastro? Questa è la tremenda contingenza, teorizzata per la prima volta nel 2003 dal paleoceanografo statunitense James P. Kennett, definita come l’ipotesi della pistola (o cannone) di clatrati, al fine di sottolineare non soltanto la sua assoluta letalità, ma il modo in cui potrebbe accadere, in termini geologici, letteralmente da un momento all’altro e senza nessun tipo di preavviso. Come, secondo lui e colleghi, potrebbe essere successo esattamente 251,9 milioni di anni fa per la grande estinzione del Permiano-Triassico, il più grave evento di questo tipo nella storia di questa Terra, che portò alla scomparsa di oltre il 57% delle famiglie biologiche esistenti. O ancora, su scala inferiore, durante il massimo del Paleocene-Eocene, quando la media di temperature su scala globale aumentò di circa 8 gradi, causando entro 1.000 anni la dipartita del 35-50% delle creature delle acque profonde, mentre si verificava una sostanziale riduzione nelle dimensioni dei mammiferi sulla terraferma. E tutto questo a causa della compromissione incontrovertibile di un delicato equilibrio tra temperatura e pressione, necessario al mantenimento dello status quo implicitamente favorevole alla nostra e altrui sopravvivenza. Il che ci porta, per l’appunto, alla descrizione di cosa sia esattamente un clatrato (o idrato gassoso) e la maniera in cui la sua eventuale cessazione dell’esistenza possa costituire un essenziale punto di non ritorno, causando l’effetto a cascata che conduce inesorabilmente alla perdizione. Suscitando il dubbio, effettivo ed innegabile, che sia davvero possibile fare qualcosa per evitarlo…