L’antica tradizione del fantino robotico sulla gobba del suo rapido dromedario

Estetica rappresentazione del più perfetto incontro tra uomo, macchina e animale; l’applicazione del concetto di telepresenza alla necessità di realizzare un’impresa completamente fuori dal comune; l’ideale sfruttamento di una caratteristica irriproducibile del mondo naturale, al fine di ottenere un duraturo vantaggio a titolo dei bisogni, veri o percepiti, dell’odierna società industrializzata. Non è un riassunto per punti delle tematiche affrontate dal nuovo film della serie Avatar, bensì l’effettiva prassi operante di un incantevole sport di corsa nel deserto, e forse il più prestigioso di tutto il Medio Oriente a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo, quando lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi ha permesso a questi luoghi di scoprire la decadenza del capitalismo: il cosiddetto “Passatempo degli sceicchi” ovvero l’impiego con finalità velociste di quella che siamo soliti definire la nave gobbuta tra le dune, aka il solido ed affidabile mezzo quadrupede del beduino, capace di raggiungere in circostanze ideali e brevi tratti anche il ritmo sostenuto di 35-40 Km/h. Cammello o Camelus dromedarius (quello da una gobba soltanto, tra cui sono privilegiate le femmine) le cui corse al giorno d’oggi appaiono svolgersi attraverso strumenti, a dire il vero, che potrebbero non rientrare nella percezione spontanea del senso comune. Primo tra tutti, l’oggetto con frusta non del tutto identificato, che sobbalzando durante il tragitto fa ruotare vorticosamente il suo braccio gridando nell’orecchio della creatura: “Forza, forza, avanti!” Ed altre amene indicazioni che tratteggiano il ritmo e le circostanze del momento. Un tipo di lavoro abbastanza semplice, per lo meno in linea di principio, da essere stato svolto per svariate decadi da un’intera categoria di lavoratori forzati, di un’età tristemente inferiore ai cinque anni e secondo il perverso costume praticato in luoghi come il Qatar, gli Emirati Arabi e l’Oman. Notoriamente inclini in passato ad arruolare forzatamente per questo fine i bambini provenienti dal Bangladesh ed altri paesi dell’Asia Meridionale, rovinandogli essenzialmente l’esistenza. Giovani vittime poi sottoposte, secondo le prove raccolte da svariate associazioni dei diritti umani, a crudeli regimi di addestramento e limitazioni della loro dieta, al fine di mantenere basso il loro peso e massimizzare in tal modo la performance delle loro future cavalcature. Una realtà fortunatamente superata, per lo meno in linea di principio, a partire dall’anno 2002 quando lo sceicco Hamdan bin Zayed Al Nahyan degli UAE ha varato una tardiva legge atta a vietare la suddetta pratica, istituendo severe sanzioni per chiunque continuasse a metterla in atto (misura che in seguito sarebbe stata applicata a più riprese). Il che sollevò un fondamentale problema in merito all’intera faccenda di come sarebbe stato possibile continuare a tenere in piedi il significativo giro d’affari che si era venuto a creare, nel corso delle ultime generazioni attorno a questa formidabile forma d’intrattenimento. L’ipotesi di utilizzare fantini adulti fu, molto probabilmente, presa in considerazione. Ed immediatamente sostituita da un’approccio fortemente pragmatico atto ad anteporre la funzione all’apparente logica dei presupposti. Che potremmo riassumere nella fondamentale domanda: “Che cosa possiamo fare noi esseri umani, che le macchine non siano altrettanto equipaggiate per condurre a sublime coronamento?” Quesito la cui risposta, come spesso càpita, risiede nella segreta scintilla dell’automatismo ed il cervello positronico, piuttosto che meramente biologico e soggetto ai ponderosi limiti della carne…

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