Risalendo addietro nella storia pregressa della settima arte, quando il cinema ancora non poteva fare affidamento su sofisticati effetti digitali per creare l’illusione virtuale di ambienti, personaggi fantastici ed eventi totalmente fuori dal comune, accadeva talvolta che le scene più notevoli utilizzassero qualcosa che esisteva realmente, ma spostato nell’intreccio narrativo per rispondere a specifiche esigenze di sceneggiatura. Soprattutto se prendiamo in analisi l’intero genere fantastico/fantascientifico, e nel caso specifico una celebre barriera con lo scopo di frapporsi verso gli obiettivi dei protagonisti del film Tron del 1982. Sto parlando della colossale porta blindata per il caveau della ENCOM, immaginaria compagnia informatica bersaglio delle attività di hacking white hat (a fin di bene) dell’ex-dipendente Kevin Flynn, diventato in seguito programmatore di videogiochi. Un massiccio blocco di metallo e cemento, di forma quadrata con oltre 3 metri e mezzo di diametro e quasi altrettanto profondo, che una singola persona può riuscire ad aprire, facendolo ruotare su quelli che potrebbero essere i cardini più efficienti della Terra. Il NOSTRO pianeta intendo, considerato come tale elemento architettonico non solo esista realmente, ma si trovi nel sottosuolo di una delle installazioni scientifiche più grandi ed influenti di tutti gli Stati Uniti, quel Lawrence Livermore Laboratory stabilito e gestito in seno all’università di Berkeley, California nel 1952 al fine di approfondire, elaborare e custodire la tecnologia di produzione dell’arma di distruzione di massa più terribile mai costruita dalla specie umana. Sto parlando della bomba atomica ovviamente, e di tutti quei sistemi di stoccaggio necessari ad impedire la fuoriuscita di particelle atomiche potenzialmente letali, all’interno di un qualsiasi ambiente in cui aggirino forme di vita abili e senzienti. Contro l’avvelenamento, la malattia e la morte da radiazione, una delle più terribili all’interno di un catalogo già piuttosto grave, proprio perché lenta, agonizzante ed impossibile da prevedere. A meno di evitare certi luoghi o renderli abbastanza irraggiungibili, come evidentemente agevolato da svariate tonnellate di barriera mobile costruita per tenere le persone all’esterno, ma anche, e soprattutto, chiuso dentro l’impossibile orrore ereditato dai precedenti utilizzatori coltivatori della stessa serra
Una cosa, in parole povere, nota con il nome relativamente criptico di Rotating Target Neutron Source II (RTNS-II) concepita ed assemblata nello stesso anno dell’uscita del film Disney, molto presumibilmente dopo il concludersi delle riprese, con un singolo ed imprescindibile obiettivo: effettuare la fissione (divisione) dell’atomo, con la maggiore rapidità e costanza raggiungibili mediante reazioni graduali e non deflagranti. Un approccio alternativo e molto più tranquillo a quello della bomba atomica, che all’apice della seconda guerra mondiale aveva generato la più grande concentrazione d’energia mai prodotta da un singolo dispositivo umano. Ottenendo poi come semplice effetto “collaterale” l’arma della grande morte, che è poi la nemesi devastatrice di ogni civilizzazione più avanzata degli uomini delle caverne. Un’alternativa quindi assai più nobile ed ancora perseguita da numerose istituzioni scientifiche di questo mondo, con la definizione di energia a fusione, soprattutto grazie all’invenzione dell’apparato toroidale del Tokamak, ad opera dei fisici russi Igor Tamm e Andrei Sakharo al principio degli anni ’50. Ma che comporta la stessa tipologia di pericoli per la salute, dilazionati e prolungati attraverso il procedere degli anni. Qualcuno potrebbe dire, persino, esasperati…
fissione
La realtà preistorica dei 16 reattori nucleari rimasti accessi per più di 100.000 anni
In un periodo poco successivo all’inizio del Proterozoico, corrispondente a circa 2.450 milioni di anni fa, i membri della più diffusa forma di vita decisero improvvisamente di averne avuto abbastanza. E stanchi di lottare, capsula e flagello, per ciascuna singola ora di sopravvivenza in un ambiente fondamentalmente ostile, iniziarono ad avvelenare la Terra. Incamerando quella stessa energia solare che gli aveva permesso di venire al mondo, impararono per tale fine a trasformarla, attraverso il processo della fotosintesi clorofilliana. Fu una catastrofe letteralmente priva di precedenti, nonché la fine drastica di un’Era. Poiché la restante parte dei microrganismi in grado di occupare l’atmosfera fino a quel momento, non solo non potevano processare l’ossigeno, ma risultavano del tutto incapaci di coesistere assieme ad esso. Morirono a miliardi, uno dopo l’altro, mentre i cianobatteri occupavano progressivamente ogni intercapedine finalmente libera del mondo. Cielo, Terra, Oceano e Sottosuolo. Finché alcuni di loro, entrando a far parte di una perfetta contingenza di fattori, avrebbero finito per accendere il riscaldamento.
Calore inusitato ed energia in quantità copiosa: la reazione nucleare controllata, tra tutte le scoperte scientifiche del Novecento, risulta essere una delle più potenzialmente influenti nel cambiare il corso presente e futuro della storia umana. Se non fosse per il gravoso problema di riuscire a smaltire le scorie radioattive che immancabilmente ne risultano, considerate come la perfetta rappresentazione materiale del concetto di karma, proprio perché nocive a qualsiasi livello immaginabile e per ogni singola forma di vita esistente. Eppure se prendiamo come esempio una qualsiasi stella, intesa come agglomerato di materia risultante dall’antica convergenza di una nebulosa, appare chiaro come in presenza di una forza gravitazionale sufficientemente significativa, la fissione del nucleo atomico sia un processo del tutto naturale e imprescindibile, letterale concausa della nostra stessa esistenza. Poiché questione largamente acclarata, risulta essere come in assenza di un simile sistema di riscaldamento nei confronti dell’eterno gelo cosmico risulti assai difficile che un qualsivoglia tipo di creatura possa nascere, gioire, moltiplicarsi. Quello che tuttavia nessuno aveva mai pensato, prima della scoperta nel 1972 dei reattori nucleari naturali situati sotto la miniera di Oklo, in Gabon, era che semplici esseri privi di raziocinio potessero essere all’origine di un similare tipo di processo, capace di anticipare “lievemente” l’opera scientifica di Enrico Fermi e i celebri ragazzi di via Panisperna.
Immaginate, dunque, l’improbabile realizzarsi di questa scena: il tecnico Bouzigues che impegnato in un’analisi noiosa e di routine con spettrografo sull’uranio estratto dai suoi colleghi rileva un’importante discrepanza. Caso vuole, infatti, che all’interno del prezioso minerale oggi processato prima di essere inserito nei reattori nucleari costruiti dall’uomo sussistano comunemente due tipologie d’isotopi: l’U-238 e 235. Il primo dei quali, sostanzialmente inoffensivo, tende naturalmente ad aumentare mentre sottrae neutroni alla controparte, vero toccasana per qualsiasi reazione nucleare artificiale, proprio perché incline a dare inizio alla serie di cause ed effetti che viene identificata comunemente con il termine di reazione a catena. Il che significa, in parole povere, che in ogni singolo campione di uranio di questo pianeta il rapporto tra i due isotopi dovrebbe essere costante, con un coefficiente nella nostra epoca pari a 0,7202%. Se non che i dati raccolti in tale casistica mostravano piuttosto un rapporto di 0,7171%, proprio come se qualcuno, o qualcosa, avesse precedentemente utilizzato quelle pietre, prime di rimetterle inspiegabilmente a centinaia di metri di profondità sotto la superficie della crosta terrestre…