Era una serata tetra e prevedibile, tra le verdeggianti campagne circostanti la città di Nottingham, nell’omonimo contea di britannica delle East Midlands. Quando l’allegra brigata composta da sette bambini tra gli 8 e 10 anni della scuola elementare di Radford, indifferente alla giurisdizione di qualsiasi sceriffo reale o immaginario, scavalcò la recinzione al fine d’introdursi nella proprietà privata ai margini della tenuta elisabettiana di Wollaton Hall. Una di quelle grandi e distintive case di campagna, appartenute alla prestigiosa nobiltà britannica, prima che il cambiamento dei tempi e delle priorità portasse l’antica famiglia a trasferirsi in un contesto più urbano gestibile, permettendo in questo caso la trasformazione delle mura nel Museo di Storia Naturale della città. Non che in quel 29 ottobre del 1971, alcuno di costoro fosse interessato a scheletri di dinosauro o vecchi fossili, tanto più che l’istituzione pubblica ormai vecchia di 45 anni risultava ovviamente chiusa alle 8:30 di sera. Ciò a cui essi agognavano, di contro, risultava per quanto sappiamo allineato maggiormente a quell’aleatorio ed ineffabile bisogno, tipico delle giovani di menti, di vivere un qualche tipo di memorabile avventura o vicenda, di cui poter narrare ai propri amici e compagni di scuola. E quale miglior luogo… Di questo? Selvaggio, ombroso, impenetrabile, sconosciuto ed esoterico erano tutti aggettivi altrettanto validi, al fine di descrivere quell’area boschiva e parzialmente paludosa, ove cervi, volpi, scoiattoli e altre creature si aggiravano nella più assoluta libertà, noncuranti della distanza di appena qualche centinaio di metri dai margini del pericoloso ambiente cittadino. Fu a questo punto, secondo la narrazione di cui disponiamo nell’accurata intervista effettuata dagli insegnanti e psicologi della loro scuola la mattina successiva, che il gruppo ebbe l’iniziativa di separarsi. Con due tra i più cresciuti che s’inoltrano tra i tronchi, camminando sul sentiero parallelo allo stagno fangoso al centro della palude, finché all’improvviso non ebbero l’occasione di scorgere “qualcosa” tra le cime degli alberi. Un movimento rapido e inqualificabile, subito seguito dall’occorrenza di una serie di eventi tanto inspiegabili da poter rientrare a pieno titolo nella catalogazione d’incontri sovrannaturali del terzo tipo. Con per protagonisti, per inciso, non quegli esseri con grandi teste ed occhi provenienti da pianeti lontani, bensì una presenza folkloristica assai più familiare dei racconti e leggendari europei: il comune gnomo di foresta, con tanto di cappello, lunga barba bianca ed abiti di colore blu e rosso. Ma connotati da un contesto indubbiamente aggiornato per essere al passo dei tempi e la modernità, visto come il primo palesarsi del piccolo popolo, i cui membri furono successivamente descritti dai bambini come “non più grandi di una bambola” sarebbe stato riportato vederne alcuni raggruppati a due a due, in quelle che potevano soltanto essere delle bizzarre automobiline tondeggianti con carrozzeria trasparente, che costoro guidavano agevolmente sopra la superficie fangosa della palude. Ciò che segue è l’unica parte ragionevole del racconto, con gli spettatori accidentali della scena che si mettono a correre, inciampano e cadono nel fango. Per poi raggiungere i margini del boschetto e riunirsi al resto del gruppo, inclusi i bambini più giovani. Ed è allora che la storia entra nel vivo: poiché lungi dal desistere dal proprio “inseguimento” gli gnomi si palesano a questo punto in una vera e propria parata: 30 veicoli da quattro ruote e due occupanti ciascuno, ordinatamente in fila mentre inseguono i bambini in giro per il parco, terrorizzandone alcuni fino alle lacrime, finché non riescono finalmente, ormai stanchi ed affannati, a raggiungere i confini di Wollaton Park. Per poi narrare ai propri genitori, come giustificazione alla condizione dei propri abiti e l’orario tardo di ritorno a casa, puntualmente quello che credevano (?) di aver vissuto. In altri luoghi e tempi, simili eventi non avrebbero fatto particolare notizia. Dopo tutto, quello che fanno i bambini è inventare storie, giusto? Ma in questo caso, c’erano alcune ragioni di contesto e precedenti tali da non permettere di accantonare la vicenda con particolare ed immediata facilità…
fate
Nuovi miraggi d’Inghilterra e lo strano fenomeno delle navi volanti
Il nostromo del vascello guardò ancora una volta dritto negli occhi del suo comandante, non trovando alcun varco per la ragionevolezza mezzo ai caotici vortici di un’incipiente follia: “Passeremo all’altro capo, quanto è vero l’Onnipotente. Signor De Jong, non voglio sentire altre obiezioni. Se aspettiamo che cessino le tempeste, sarà ormai stagione alta, e gli altri bastimenti provenienti dall’Oriente saranno giunti in Europa. Per noi, una perdita di almeno la metà del valore sul contenuto della stiva!” L’uomo gesticolava selvaggiamente con il cannocchiale nella mano destra, mentre un’espressione inumana distorceva il suo volto in un ghigno selvaggio. I marinai alle sue spalle, in attesa dell’ultima direttiva, ebbero un sobbalzo: essi sapevano molto bene che, una volta lasciate le acque chete della Falsa Baia superando il promontorio di Hangklip, sarebbe stato troppo tardi per fare marcia indietro attraverso le labirintine correnti di quella particolare regione degli oceani terrestri. Ma il nostromo sapeva bene che non si sarebbero mai ribellati; non di fronte alla promessa di una generosa percentuale dei profitti. Secondo le fonti maggiormente accreditate, l’anno era il 1641, quando la nave sotto la responsabilità del capitano mercantile Hendrick van der Decken intraprese il suo ultimo viaggio terreno, imboccando quel tunnel senza ritorno che per tanti altri si era rivelato essere il Capo di Buona Speranza. Le leggende narrate nelle chiassose taverne portuali, tuttavia, avrebbero affermato come per costui un simile errore non sarebbe stato affatto la fine, quanto piuttosto l’inizio di un qualcosa di orribilmente e completamente nuovo. Con le vele ormai a brandelli ed il timone frantumato, alla deriva tra le onde alte quanto montagne, l’Olandese ormai rimasto privo del tricorno avrebbe infatti rivolto un’ultima maledizione nei confronti del Principio Divino dell’Esistenza. Ed in quel preciso momento, sarebbe stato tratto in salvo! Se così possiamo definire un’esistenza eternamente sospeso tra il mondo terreno e l’aldilà, a bordo di una nave popolata da fantasmi e la cui linea di galleggiamento situata a qualche decina di metri sopra il pelo dell’Oceano sconsolato.
Trascorrono i secoli, cambiano le aspettative. E qualche volta, persino l’aspetto esteriore delle cose. Ma non la loro più profonda essenza, frutto di contesti ormai rimasti unicamente nella mente delle successive generazioni. Così verso l’inizio di questo marzo del 2021, a largo delle coste del Regno Unito, Egli ha fatto il suo ritorno. Naturalmente, il vecchio Olandese non è più solito presentarsi al timone di un veliero dell’epoca delle grandi esplorazioni, presenza che saremmo pronti a definire alquanto anacronistica nei mari dei nostri tempi: bensì con l’aspetto lungo, rosso, bianco e longilineo della petroliera (secondo altri, si tratterebbe di una nave di trasporto minerario) fotografata a largo di Banff in Scozia, da parte del ventitreenne Colin McCallum durante una passeggiata mattutina sulle rive del suo paese. Una visione ultramondana non dissimile da quella che, anticamente, si diceva poter gettare nella follia un intero equipaggio di naviganti, portandoli ad unirsi alla silente ciurma del caro vecchio capitano Non-Morto. Visione fatta seguire dopo appena un paio di settimane, sulle alterne vie del fato, dall’avvistamento di un altro impossibile scafo fluttuante, quello della nave da crociera Anthem of the Seas presso il molo di Bournemouth non lontano dall’isola di Wight, le ampie e scintillanti sale ormai deserte causa la flessione globale dei viaggi ricreativi marittimi, dopo i molti mesi di pandemia. Ed è forse la visione più bizzarra ed inquietante di tutte, quella di una simile città dei mari con la sua lunghezza di 347 metri e la capienza massima di 4.905 passeggeri, che a questo punto potremmo facilmente immaginare come spiriti in attesa di raggiungere le più remote regioni superne ed infernali. Un assedio preoccupante, del tipo che nessuno può realmente attribuire ad un stadio transitorio di follia collettiva, se è vero che la carta canta, così come contano testimonianze chiare ed indelebili, memorizzate grazie a foto e (persino!) video, decisamente più definiti rispetto a quelli usati nel caso del tipico UFO, Mostro di Lochness o Piedone. Il che una volta eliminato l’impossibile come affermava qualcuno, lascia soltanto l’improbabile. Ed assieme ad esso, l’Unica Possibile Spiegazione.
Fatine viventi? Anche un ologramma ha il suo perché
L’alba in cui l’aria che vibra affascina l’occhio allarmato: luci nematiche, fate di fuoco. Pura magia tecnologica. Dice il racconto che un team di scienziati (ingegneri? Ottici? Druidi del cerchio ulteriore?) delle università di Tokyo, Utsunomiya, Nagoya e Tsukuba, abbian studiato un sentiero nuovo, di fumo e di specchi, per far della luce scintille, ed a queste donare una forma. Fin qui, niente di nuovo. Lo spettacolo volumetrico degli spiriti eterei si è visto talvolta, negli show laser delle disco e i teatri di questo mondo. Ma pur sempre lontano, per meglio stagliarsi su di un fondo nero, sfuggendo alle mani dei troppo curiosi. Perché in effetti focalizzare la luce in un punto preciso, all’interno di un gas che sia in grado d’illuminarsi, significa renderlo incandescente. E non tutti hanno la pelle d’acciaio incombustibile, anzi, diciamolo: quasi nessuno. In questo la nostra novella è speciale: come mostrato nel video, realizzato a sostegno della presentazione di questo assurdo fenomeno al SIGGRAPH, la grande conferenza sulla grafica computerizzata, questi spettri non sono soltanto tangibili, ma cambiano se li tocchi. Ciò grazie all’impiego di un diverso tipo di laser, che invece di pulsare al ritmo di un nanosecondo (sufficiente per ustionare) lo fa ad intervalli di un femtosecondo (un milionesimo di miliardesimo di…) Così: una fiammella volante di un centimetro cubo, in rotazione sull’asse del suo vagheggiare, non aspetta altro che il dito dell’uomo, per trasformarsi nella ragionevole approssimazione di Trilli, microscopica amica di Peter Pan. Facendo tuttavia a meno di quella personalità scoppiettante, l’insistenza didascalica, la voce stridula e petulante, ahimé?
E da quella leggiadra figura si sviluppa il crescendo, la visualizzazione virtuale del tutto: figure geometriche, lettere dell’alfabeto, cuoricini, piccoli loghi fluttuanti nel buio assoluto. Ciascuno, mirabilmente, in evoluzione sull’asse del tempo. Ma non soltanto per il semplice passaggio di quest’ultimo, bensì grazie all’interazione diretta di una possibile utenza. Né il video, né la documentazione del progetto (per il resto piuttosto completa) si dilungano eccessivamente nella spiegazione del come venga rilevato il “tocco magico” che da il via a tali mutamenti, benché non sia affatto difficile immaginare un sensore ad infrarossi passivo, per esempio, che riveli l’introduzione di un corpo estraneo nell’area del plasma eccitato dal loro complesso sistema. Applicazione tutto sommato quasi automatica, del concetto di un ologramma che non necessiti di struttura di contenimento, né alcun tipo di ostruzione solida costruita attorno. Un aspetto maggiormente interessante, semmai, è il fatto che poiché il rilascio dell’energia nei punti luminosi sia comunque relativamente significativa, questi ultimi diventino percettibili al tocco, offrendo una sorta di feedback haptico, o kynestetico, che dir si voglia, un pò come la vibrazione di un certi cellulari all’attivazione di opzioni sul loro touch screen. Così la virtualizzazione si guadagna una forma apparente, per una volta, non soltanto visuale, ma pure fisica ed immanente. Almeno finché c’è corrente.
Si tratta di un gioco, per ora, e in effetti è difficile immaginare applicazioni pratiche non legate all’intrattenimento di un simile meccanismo, benché il team di ricerca citi tra le altre cose dei segnali fluttuanti da usare in caso d’emergenza, come un incendio, che indichino la migliore via di fuga in base a quante siano le persone in corsa verso l’uscita. Aggiungerei, personalmente, un altro potenziale impiego di quel tipo per così dire responsabile, venendo in aiuto alle persone affette da disabilità visive, dato che l’immagine può essere percepita al tatto. La tecnologia potrebbe rivelarsi un valido modo per visualizzare col tocco concetti di vario tipo, anche notevolmente complessi. Certo, purché si riveli scalabile a misure ben maggiori: un centimetro cubo è decisamente un po’ poco, per fare ciò. Il che, del resto, è tutt’altro che impossibile almeno in teoria. Volete sapere come funziona un tale miracolo della scienza? Ecco…