Il suono formidabile di un’emergenza nucleare

Qui al liceo di Glen Rose non organizziamo gite coi ragazzi, ma esperienze a 360°, che permettano di sperimentare a pieno almeno un particolare aspetto della loro vita futura: come ad esempio, la MORTE. Di ogni pregressa aspettativa. Quando ci si trova in un particolare campo di battaglia esagonale, la postazione coi computer posta in centro, la luce soffusa delle lampade dietro i pannelli trasparenti, milioni di quadranti, schermi e superfici di controllo posti tutto attorno, dalla specifica funzione sconosciuta. E la dantesca guida con maglietta color salmone facente parte del personale locale, non senza un evidente ghigno d’aspettativa, spiega brevemente ciò che sta per verificarsi. Quando nulla in effetti, avrebbe mai potuto prepararvi a ciò che viene dopo. Poi con ferrea risolutezza, l’uomo si china in avanti e da il comando di “GO!” Le luci si spengono, la stanza inizia a gridare, tutto quel che può farlo, lampeggia freneticamente…
C’è una ragione scontata, per cui una tale scena assume un senso ed un’inevitabilità pressoché assolute: dove mai sarebbe possibile addestrare un tecnico per la sicurezza delle centrali nucleari? Se non dentro, per l’appunto, una centrale nucleare… Come quella di Comanche Peak a Somervell County, Texas, dove a quanto pare ci sono (almeno) due diverse sale di controllo principali. La prima usata per, beh, CONTROLLARE le cose mentre l’altra serve a simulare, simulare, recitare. Mettere paura ai visitatori. Le diverse parti di un preciso copione, relativo alle ragioni dell’Evento, l’unico per quanto vario nelle cause, quella situazione, occasionalmente ricorrente, che induce la necessità di porre un freno alla fissione degli atomi nell’irresistibile barile. Ovverosia un transiente, così come lo chiama chi lavora nel settore. Le origini della crisi possono essere svariate: forse la temperatura era salita eccessivamente, oppure l’output energetico era fuoriuscito per un attimo dai valori ritenuti sicuri per il particolare impianto. O ancora, c’era stata un incertezza momentanea degli strumenti collegati alla distribuzione del liquido di raffreddamento. Il che porta, immancabilmente allo SCRAM. Ovvero il reactor trip, l’arresto del reattore. Vorreste conoscere l’origine del termine? Ci arriveremo presto. Ma nel frattempo, rassicuratevi così: il più delle volte, previa accurata e rapida verifica, non si tratta di nulla di grave e tutto ciò che devono fare gli operatori, per riprendere la produzione di energia, è premere un pulsante che ripristina la situazione di normalità. A meno che il transiente in questione non sia stato del tipo peggiore, quello che porta le luci della stanza, anche soltanto per un attimo, a perdere vistosamente di potenza. Perché ciò significa che sono entrati in funzione i generatori d’emergenza, ovvero in altri termini, c’è stato un Loss of Offsite Power. Ovvero la centrale nucleare, per soltanto alcuni attimi, non ha più ricevuto energia dall’esterno. “Ma come…” Mi sembra quasi di sentirlo, il primo/la prima della classe a margine del capannello degli alunni: “…può mancare l’energia in un luogo che la PRODUCE?” La risposta è un clamoroso, rimbombante: SI… Più o meno. Perché naturalmente, un’installazione di questo tipo è in grado di isolarsi dalla rete, se quest’ultima presenta delle gravi, temporanee carenze distributive, ma ciò che assolutamente non può fare, è percorrere una tale strada durante il delicato processo di spegnimento. Perché è proprio a quel punto, che si presenta la più grave necessità, di un nocciolo che continua per lunghi minuti, ed ore, a produrre temperature di una generosa frazione di quelle dello stesso Dio Sole, minacciando d’andare incontro a fusione parziale o completa del carburante. E c’è soltanto un certo margine di manovra con le pompe dell’acqua di raffreddamento, quando si opera mediante le batterie di un gigantesco gruppo di continuità! Proprio per questo, nella maggior parte degli impianti, in assenza di corrente viene indotto immediatamente lo SCRAM.
Non è certo un caso se la prima capacità che viene coltivata attraverso l’addestramento del tecnico addetto alla sicurezza nucleare è la capacità di mantenersi calmi sotto pressione. Quando un’alta quantità di segnali, contemporanei e spesso contrastanti, si accende presso la parete di propria competenza, e tutto quello che resta da fare è estrarre il raccoglitore d’ordinanza sotto i controlli (potete vederli chiaramente nel video) per verificare se una simile combinazione, in effetti, si sia già verificata in precedenza. In quei momenti, sono molte le cose da verificare: gli apparati di sicurezza sono entrati in funzione correttamente? Le turbine a vapore si sono arrestate? Bastano 3-5 secondi di funzionamento delle stesse, in assenza di produzione di vapore per effetto della fissione, perché si vada a incontro a danneggiamenti per un’entità di svariati milioni di dollari. Ma soprattutto, occorre affrettarsi presso il pannello, anch’esso convenzionalmente esagonale come la stanza stessa, che indica lo stato dell’inserimento delle barre di contenimento, l’unica spada in grado di deviare il colpo di coda del furioso drago radioattivo. Lentamente, inesorabilmente, il materiale assorbitore di neutroni (argento, cadmio o boro) viene introdotto in ciascuna cella dell’ambiente di fissione, inducendo progressivamente il silenzio. Almeno, se non è il 1979, e se non vi trovate, per vostra massima sfortuna, presso la famosa centrale nucleare di Three Miles Island…

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Cosa fare se si cade nel lago ghiacciato

Pattinare lietamente sopra il lago. Praticare un foro con il trapano a mano, in cui far penetrare la pregiata lenza. Giocare una partita a palle di neve, in un luogo in cui nessun albero possa essere impiegato come copertura. La vita è fatta di piccoli momenti che si muovono ordinatamente in fila, come le zampe di un millepiedi ubbidiente. Finché sul sentiero, sfortunatamente, non capita un oggetto inaspettato: il sasso, il cappuccio della penna, il pezzo di buccia di limone. Ed è a quel punto, in genere, che accade il patatrac. Orribile terrore. Inclemente dannazione. Eh, già! Nonostante le attenzioni, la prudenza, l’incombente senso di condanna che ci segue dal mattino fino a sera, tutte cose che ci portano a evitare “la cosa” è inevitabile che a volte “la cosa” riesca nondimeno a verificarsi. A quel punto, dunque, tutto quello che ci resta è rimanere immobili, sprofondare. E morire. O lasciarci andare al flusso dell’istinto, agitandoci in maniera forsennata, nel tentativo di tornare in qualche modo tra i viventi. E morire, lo stesso. Cosa pensavate? Che fosse possibile, senza alcun tipo di aiuto, tirarsi fuori dall’acqua prossima allo zero, mentre ci si trova nel bel mezzo di una lieve superficie trasparente, la quale molto chiaramente, non può sostenere il nostro peso umano? Voglio dire, tutto è possibile. Ma ammesso e non concesso che una persona comune si ritrovi in questa situazione prossima alla Fine, cosa volete che ne sappia, costui, del giusto metodo di comportarsi…A meno che…Abbia visto l’utile video educativo di Adam Walton, guida del Wisconsin e fondatore della compagnia Pike Pole Fishing, grande pescatore nonché paramedico certificato dei pompieri di Edgerton, nella contea di Rock. L’uomo disposto a soffrire un simile destino per ben tre volte, se soltanto questo può servire a salvare delle vite da qualche altra parte, prima o poi. È tutta una questione di priorità. Una volta che il fisico si abitua, tutto ciò che resta e dominare i propri istinti con la mente. E il senso assoluto d’autodeterminazione.
La scena inizia in un giorno dall’aspetto alquanto polare (a dir poco) con cielo coperto dalle nubi e suolo totalmente imbiancato, tutto attorno ad una polla d’acqua la cui superficie, ormai, è stata trasformata in uno specchio semi-opaco. Poco prima che costui, o i membri della sua nutrita equipe, praticassero un ampio foro dalla forma grossomodo circolare, inteso a rappresentare lo spacco “accidentale” che sarebbe stato indotto dall’incauto sopraggiungere dell’uomo o donna soprastante, per ingoiare entrambi e trascinarli al di sotto della soglia di sopravvivenza. I più attenti ai dettagli, a questo punto, avranno già notato che l’eroe del giorno indossa un pratico giubbotto di salvataggio, facilitazione che probabilmente, ben pochi di quelli coinvolti in simili incidenti hanno avuto dalla loro parte. Ma piuttosto che criticarlo per il poco realismo, io preferirei intendere questo dettaglio come il primo, e più importante dei consigli: se c’è questo bisogno, più o meno motivato, d’inoltrarsi verso il centro del lago ghiacciato, indossatelo! Non vi verrebbe mai in mente di nuotare fin lì senza averlo. E ghiaccio o non ghiaccio, là sotto c’è ancora la stessa identica massa d’acqua, pronta ad accogliervi nel suo soffocante abbraccio. C’è appena il tempo di pensarlo, quindi, quando Adam prende e si tuffa senza un attimo di esitazione, sprofondando immediatamente fino al petto. Prima iterazione: l’ipotesi peggiore. Non avete attrezzi di nessun tipo, e l’aiuto è ancora lontano. Un essere umano in buona salute, generalmente, può sopravvivere nell’acqua a 0 gradi tra i 10 e i 15 minuti, oltre i quali, sopraggiunge il torpore e gli organi cessano di funzionare correttamente. Prima di reagire istintivamente, dunque, occorre fare i propri calcoli accurati. Questo è il primo aspetto sorprendente del video: se cadete laggiù, non tentate subito di tirarvi fuori, ci spiega lui. Aspettate almeno 2 o 3 minuti, perché il corpo cessi d’iperventilare in modo incontrollato e sopraggiunga nuovamente l’assoluta calma. Può sembrare assurdo, ma da un certo punto di vista non lo è per nulla. Se si pensa che le nostre energie residue, a quanto ne sappiamo, siano sufficienti per un unico tentativo, sarà nostro interesse assicurarci di effettuarlo mentre siamo al nostro meglio. Balzando fuori, nella speranza che l’intento porti ai risultati tanto disperatamente ricercati.

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