La leggenda metropolitana, se così possiamo chiamarla, ha uno svolgimento simile al grande classico dell’autostoppista fantasma: un guidatore lungo strade periferiche, fermando la sua auto a causa di una sorta di premonizione, incontra la figura di una giovane donna che gli chiede un passaggio. Poco dopo averla invitata a bordo, ed avendo iniziato nuovamente a muoversi, ella pronuncia quindi le seguenti parole: “Mahalo nui loa mio vulnerabile amico, questa gentilezza ci onora entrambi. Per meglio ricambiare il tuo gesto, ti avviso: prendi la tua famiglia e scappa verso il mare. La grande montagna sta per risvegliarsi. Fiumi di fuoco si riverseranno verso i villaggi degli umani!” Appena il tempo di elaborare la notizia e voltarsi a chiedere dei chiarimenti, al concludersi di una curva, che lei sarà del tutto scomparsa dal sedile del passeggero. Meno di 24 ore dopo, tutto il mondo parlerà di nuovo della complicata condizione geologica hawaiana. Certo, vivere nel mezzo del Pacifico ha i suoi vantaggi: una terra fertile, un clima ragionevolmente mite (la maggior parte delle volte) la notevole distanza da ogni tipo di conflitto o mire di anziane superpotenze in cerca di espansione territoriale. Ma c’è da interrogarsi, con cadenza ragionevolmente regolare, sui problemi inerenti che derivano dal trascorrere la propria esistenza sul confine esterno dell’anello geologicamente instabile, dove alcuni dei coni vulcanici più attivi in tutto l’emisfero svettano ed incombono sopra la testa delle pacifiche genti isolane. Monti come il Kilauea ove risiederebbe, in base all’antico leggendario locale, la figura sovrumana della Dea Pele, antropomorfa personificazione di ogni cosa che erutti lapilli, lasci sgorgare copiosi fiumi di roccia liquefatta ed occasionalmente esploda, in luoghi sottoposti a situazioni critiche da eccessive generazioni. Che non è certamente il caso di questo arcipelago, dove il verificarsi di tali episodi risulta essere abbastanza frequente da aver dato un volto e un nome al rischio, tutt’ora connotato in modo sovrannaturale nonostante l’accantonamento delle antiche religioni. Eppure, nonostante i molti avvistamenti, sussiste allo stato attuale un certo grado d’incertezza in merito all’aspetto dell’incendiaria divina, un po’ come nel fiabesco caso del mago di Oz; particolarmente per quanto concerne il colore dei suoi capelli, che alcuni riportano essere neri, altri rossi o persino di un’improbabile tonalità vermiglia. Con pacifica esclusione a priori del colore biondo, forse giudicato troppo aggraziato per una tale primordiale devastatrice, il che in effetti appare come discordante rispetto alla tangibile evidenza delle circostanze. Laddove l’esiziale “chioma di Pele” in campo folkloristico e geologico, costituisce l’espressione riferita per antonomasia a una specifica formazione di vetro vulcanico, estruso ed affilato al punto da riuscire a presentarsi come un’affilato cumulo di fibre ingarbugliate tra di loro. Abbastanza lievi da essere portate in alto dal vento, depositandosi sopra i rami degli alberi, i balconi delle case, i pali della luce… Un po’ sfidando, e al tempo stesso allettando, la naturale propensione della gente a mettere le proprie mani sulle cose scintillanti. Con gravi ed immediate conseguenze del tutto paragonabili a quelle di un sacrilegio…
cristallizzazione
La barba di ghiaccio che cresce sugli alberi moribondi
Siete mai andati nella foresta in una mattina di pieno inverno? È strano quante esperienze siano a nostra portata di mano, eppure per motivi di mera logica e tranquillità mentale, evitiamo di sperimentare, a discapito di lunghi viaggi avventurosi e complesse prove fisiche o mentali. Perché andare a correre una maratona in Thailandia, quando può bastare mettere piede fuori di casa e prendere una strada diversa lungo qualche chilometro trasversale, per un’ora o due, al fine di ritrovarsi oltre i confini di un mondo letteralmente inesplorato, le cui regole esulano dalla cognizione presunta dell’universo naturale. D’altra parte, forse, l’avrete già visto coi vostri occhi: come una matassa di zucchero filato, più longilinea ma altrettanto candida e voluminosa, gettata a terra da un’invisibile bambino del popolo degli gnomi. È un fatto: tutto ciò può verificarsi anche qui da noi in Italia, quando le condizioni sono giuste sia dal punto di vista biologico che ambientale. Ma occorre sussista una temperatura sugli 0 gradi, per ovvie ragioni, e serve anche la compartecipazione di due fattori: un particolare sostrato di legno marcio e una sufficiente quantità di spore.
Più volte discusso in sede scientifica e non, definito occasionalmente dai seguaci delle teorie di complotto come “ghiaccio chimico” una sostanza artificiale concepita da ignoti per controllare le menti/diffondere malattie/modificare l’ecologia terrestre, questo strano fenomeno ha affascinato il mondo accademico per generazioni. Descritta per la prima volte in maniera puntuale dal meteorologo e geologo tedesco Alfred Wegener nel 1918, lo scopritore della deriva dei continenti, che l’aveva incontrato in gran quantità durante le sue spedizioni in Groenlandia, questa insolita manifestazione del processo di cristallizzazione dell’acqua potrebbe ricordare molto da vicino il particolare dolce coreano della barba di drago, costituita da una quantità di fili di zucchero estrusi manualmente e mescolati col miele, durante un rituale che è al tempo stesso spettacolo e complessa procedura culinaria. Quando in effetti il suo processo di creazione è molto più semplice, automatico e soprattutto non coinvolge in alcun modo la mano dell’uomo. Sostituita, nel presente caso, da un ben più antico e basilare organismo, appartenente al quel cosiddetto quarto regno, al di fuori di quello vegetale, animale o minerale. Sto parlando dei funghi, la cui capacità d’influenzare le ragionevoli proporzioni di cose o persone è stata ampiamente teorizzata già da molti autori, tra cui Lewis Carrol e Shigeru Miyamoto. Possibile, dunque, che nelle loro elucubrazioni albergasse una debole scintilla di verità? “Sissignore!” potrebbe rispondere lo scoiattolo. Mentre si avvicina per dissetarsi, afferrando con le zampette anteriori una generosa manciata di peli biancastri. E infilandosi tutto in bocca, con espressione avida e soddisfatta. Senza interrompere, neppure per un secondo, il contatto visivo con i suoi osservatori umani perplessi.
I capelli di ghiaccio (in tedesco Haareis) hanno un diametro individuale di 0,02 mm e una lunghezza massima di 20 cm. Essi compaiono esclusivamente sul legno intaccato dalla decomposizione e ormai per questo privo di corteccia, preferibilmente appartenente al gruppo degli alberi a foglia larga. E pur essendo delle formazioni naturalmente delicatissime, che vanno in pezzi al benché minimo tocco, la loro capacità di persistere finché la temperatura non si alza di svariati gradi è sorprendente, con una permanenza documentata di oltre 48 ore. Ragione che fece sospettare per loro, già da parte di Wegener, un’origine di tipo fungino. Ma gli anni da attendere per un’effettiva dimostrazione di questa teoria sarebbero stati davvero molti, fino alla pubblicazione dello studio risalente al 2015 di Hofmann, Preuss e Mätzler intitolato Evidence for biological shaping of hair ice, durante il quale una quantità statisticamente rilevante di pezzi di legno affetti dalla misteriosa propagazione pilifera sono stati sottoposti a una serie di analisi approfondite. Bastanti a rilevare, tra tutti loro, una caratteristica comune: la presenza del micelio di Exidiopsis effusa, un fungo simile a muffa grigia capace di formare una sorta di crosta grigiastra, che terminato il periodo di propagazione scompare, disgregandosi e venendo trascinata via dal vento. Mentre un diverso destino tocca alle sue radici, un agglomerato in grado di alterare la composizione cellulare stessa del proprio legnoso condominio d’appartenenza….