Nel quarto secolo ad Atene, dopo essere emigrato per ragioni legali dal suo luogo di nascita nel Ponto, visse un uomo che credeva fermamente nelle proprie convinzioni. Ed a tal punto era sicuro del supremo cinismo nel contesto dell’Universo tangibile, da rifiutare ogni imposizione o costrutto sociale, vivendo in una botte e consumando avanzi di cibo per assicurarsi la sopravvivenza. Il suo nome era Diogene, ma tutti quanti lo chiamavano il Cane. Interi volumi potrebbero essere riempiti delle citazioni di costui, spesso risposte date a personaggi celebri che tentavano di mettere in cattiva luce il suo stile di vita. In un celebre esempio, dopo aver ricevuto come dono beffardo da Alessandro Magno delle ossa da rosicchiare, il filosofo rispose famosamente: “Degno di un cane il cibo, ma non degno di un re il regalo”.
Fondamentalmente trasformato nell’immaginario popolare in una sorta d’ibrido inter-specie a metà tra bipede ed i nostri migliori amici, il personaggio di Diogene rivive in uno scaldabagno grazie all’opera dell’argentino Guillermo Galetti. L’artista noto su Internet come Ladron de Chatarra (Ladro di Spazzatura) non tanto per i propri metodi di applicazione, quanto in funzione della sua capacità di sovvertire un destino di entropia elaborando nuove cose o personaggi dove altri vedrebbero soltanto ragioni di abbandono. Ecco allora quel cilindrico “individuo”, che fatto muovere grazie all’impiego di una barra orizzontale, si piega innanzi mentre il volto assume nuove configurazioni. Come la testa di un Transformer, diviene oblungo e pare pronto ad annusare il cerchio dei dintorni erbosi. Dove c’era l’uomo, adesso tutto è cane. Distanti abbai risuonano nella distratta mente degli osservatori…
È un tipo di arte post-moderna, senza dubbio, poiché dedicata con intento radicale a catturare l’attenzione di chiunque, senza suscitare necessariamente pratici pensieri sulla vita, l’esistenza o lo stato politico dell’uomo. Forse per questo l’operato di Ladron, che egli ha dichiarato qualche volta avere dei “significati nascosti”, risulta tanto popolare su Internet, dove ha trovato la collocazione ideale in lunghi e articolati montaggi di materiale, tratto dai suoi canali social e talvolta accompagnato da vari brani di musica Rock & Pop. Forse il più grande dei colmi, per questo insegnante di Buenos Aires con sede operativa a Villa La Angostura che fermamente dubita della tecnologia, come un moderno Diogene, e va predicando sopra ogni altra cosa l’importanza per i giovani di ritornare a saper impiegare la creatività manuale. Tanto che egli narra, nelle poche interviste e materiali di supporto che accompagnano le proprie opere, di essere stato convinto unicamente dalla moglie, con l’aiuto del periodo d’inedia dovuto al Covid, a pubblicare online le immagini ed i video dei propri lavori. La cui varietà è tanto straordinaria, quanto confusa risulta esserne la cronologia o un’effettiva dichiarazione d’intenti…
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Architettura biomimetica secondo Tssui, dall’occhio del tardigrado al serpente di Gibilterra
Può riuscire ciò che è straordinariamente piccolo, infinitesimale, a piantare un seme che risulti in grado di salvare il mondo? La risposta è si (dipende) quando usato come termine di paragone sopra cui fondare i potentissimi processi del pensiero umano. L’astrazione e il metodo creativo, la ricerca di un miglioramento, il tentativo di massimizzare la qualità della vita. Il che conduce sempre, prima o poi, all’ottimizzazione degli spazi abitabili e tutto ciò che essi contengono. Il mestiere dell’architetto. L’opera di Eugene Tssui. Americano di seconda generazione, con genitori provenienti dalla Cina, famoso nella cittadina di Berkeley nella Bay Area, non troppo lontano da San Francisco, per la particolare residenza che ha costruito nel 1993 proprio a vantaggio di questi ultimi: un pesce fantastico tra le villette a schiera, anche noto come Ojo del Sol (“Occhio del Sole”). Ma che nei progetti di riferimento egli aveva definito preferibilmente come la tardigrade house, dal nome del celebre microrganismo, simile ad un bruco con le zampe da orsacchiotto, capace di resistere a qualunque catastrofe esistenziale, inclusa l’espulsione nello spazio esterno. Modello dunque non troppo semplice a cui ispirarsi, particolarmente quando l’obiettivo è costruire un edificio a prova del futuro ed ipotetico Big One, il terremoto che si teme possa devastare un giorno l’intero versante costiero della California. Da qui l’idea di utilizzare materiali come il polistirolo rinforzato con cemento e sbarre d’acciaio, disposto e calibrato su una serie di archi intersecantisi, non del tutto diversi da quelli di un’ipotetica colonia marziana dei libri di fantascienza. Con grandi finestre circolari che ricordano degli occhi, in grado di massimizzare durevolezza e i meriti estetici inerenti. A patto di essere… Scevri dei preconcetti parte del senso comune ereditario. Una delle caratteristiche capaci di definire, forse più di qualsiasi altra, questo importante personaggio del design e della creatività, capace di “creare problemi” fin dall’epoca in cui venne espulso negli anni ’70 da ben due programmi di architettura, frequentati presso l’Università dell’Oregon e della Columbia. Celebre il caso in cui, presentando i suoi lavori durante una fiera studentesca, fece adirare i propri insegnanti al punto da richiederne la rimozione a priori. Poi ritrattata, a seguito delle proteste dei colleghi ed altri studenti, a patto che venissero disposti dei fogli bianchi al di sotto di ogni opera, perché chiunque potesse lasciarvi dei commenti. Che risultarono positivi in maniera di gran lunga preponderante. Storia della sua vita, d’altro canto, persino all’età attuale di 70 anni, quando i suoi sostenitori principali sono i giovani e coloro che guardano con ottime speranze al futuro. Un domani in cui l’opera dell’uomo e il mondo che la circonda non siano più divise da una barriera invalicabile. Bensì collegate in modo privilegiato, da un filo conduttore composto da forme organiche che fluiscono l’una nell’altra e soluzioni ispirate dal più grande Architetto esistente: colui/colei che guida e determina il processo dell’evoluzione. Così la sua proposta, ambiziosa fin quasi alla follia, per un ponte in grado di collegare la città marocchina di Tarifa alla costa meridionale della Spagna, rispondendo ai crismi di un progetto definito irrealizzabile fin dagli albori dell’Era moderna, risponde alla domanda inespressa ma fondamentale di “Come avrebbe potuto farlo la Natura stessa?” Ovvero: quanto sarebbero avvolgenti e quante scaglie avrebbero le sue spire…
Come agili farfalle, aerei che si posano e terribili neonati senza un volto
Tutti sanno, o hanno almeno udito nei loro trascorsi, che agli albori del tempo sul pianeta Terra si aggiravano giganti: lucertoloidi dalle folte piume, striscianti sauri ricoperti di spine, alati Quetzalcoatlus simili a giraffe tra le nubi. E gli artropodi, senz’altro, non erano da meno: questo per l’ossigeno più denso che riempiva l’atmosfera primordiale, una sostanza in grado d’irrorare un organismo abnorme e renderlo capace di raggiungere l’età della riproduzione. Così gli abitanti del quartiere Národní dell’antica città di Praga, lo scorso maggio, si sono svegliati ritrovandosi improvvisamente nel Giurassico anteriore. Con insetti lunghi una decina di metri, elegantemente intenti a rilassarsi lungo le pareti del centro commerciale Máj, finalmente aperto dopo i lunghi anni di costose ristrutturazioni all’interno. Questi alati lepidotteri, d’altronde, restituivano impressioni fuori dal comune: poiché a ben guardarli si sarebbe pensato che il loro stato larvale, piuttosto che un bruco, avrebbe potuto comportare un paio di cingoli da vero caterpillar e il tipico cannone con un calibro elevato. Già… Spitfire plexippus, la perfetta specie per difendere un paese dall’eventualità incombente di una guerra anfibia coi tedeschi. Lo stesso aereo orgogliosamente pilotato dalle dozzine di coraggiosi piloti volontari fuggiti dalla Cecoslovacchia di allora, per unirsi allo sforzo bellico nel marzo del 1939 contro l’inarrestabile ondata nazista. Soltanto per venire successivamente puniti e incarcerati, ci tiene a ricordarcelo l’autore di quest’opera, da un regime di matrice sovietica incluso suo malgrado nei territori del patto di Varsavia. Conseguenze inaspettate da cause inesplicabili: è la circostanza del Butterfly Effect (l’Effetto Farfalla). Anche il titolo qui scelto da niente meno che David Černý, sicuramente l’artista moderno, per lo meno in termini di numero di partecipazioni, ad aver maggiormente alterato l’atmosfera e i punti di riferimento di una grande capitale europea. Come definire altrimenti un qualcosa di capace di appellarsi al tempo stesso al senso critico e la fantasia delle persone, come le sue sculture miranti a rappresentare non soltanto la condizione dell’uomo, ma anche le implicazioni socio-politiche che alterano e connotano la sua esistenza. In maniera qualche volta shockante, altre suggestiva, ma mai in alcun modo o involontariamente sottile. Come quando, durante l’episodio del 1991 che lo vide assurgere nel repertorio dei grandi artisti del Novecento, scelse di dipingere di rosa il carro armato di un memoriale bellico nel centro della sua città, aggiungendo un gigantesco dito medio che sporgeva dalla torretta del comandante. Gesto conseguente da un coraggio certamente significativo, e in alcun modo minore di quello del “piccolo pilota” che nella sua descrizione della nuova opera, si sarebbe alzato in volo scatenando il tipo di ciclone all’altro lato della Terra, auspicabilmente in grado di spezzare le catene dei totalitarismi che tanto male avevano causato nell’Era moderna. Un tipo di messaggio certamente non del tutto nuovo all’arte, sebbene sia possibile affermare che nessuno sia riuscito a esprimerlo con paragonabile eclettismo e la singolare affettazione dell’enfant terrible di questo strano mondo parallelo all’esistenza di tutti i giorni…
Funghi volanti dal piede d’acciaio: il più strano brevetto dell’ultima guerra mondiale
Come in una partita a scacchi, i due eserciti si erano affrontati sul campo alla ricerca di un passaggio verso il campo base nemico. Ma dal punto di vista del Comandante all’interno della sua piccola capsula rotativa, sarebbe forse stato più corretto evocare i metodi di quell’altro gioco, la battaglia navale. “165 – Soldati tra i giunchi a sud” Riportò con voce autorevole, inclinandosi verso l’interfono ma senza ricorrere alle lancette dell’orologio come riferimento posizionale, secondo i crismi di un mezzo che non aveva un davanti, né un dietro. “Li ho nel mirino!” Rispose immediatamente il quarto mitragliere, che naturalmente non aveva nessun bisogno di spostare la propria bocca da fuoco, prima di premere il grilletto risolutivo. Senza l’attesa di ulteriori ordini, fece dunque ciò per cui era stato assunto, obliterando le truppe tedesche con le proprie inutili, ma fastidiose granate anticarro. Ora un sottile ronzio, nella casamatta metallica, risuonò mentre il motore integrato nella postazione del Comandante ruotava lentamente in senso orario fino a fermarsi bruscamente con un lieve contraccolpo. Chiaramente, qualcosa aveva catturato la sua attenzione, tesa al massimo come un corda di violino: “282 – Avvistatori dell’artiglieria, situati ad ovest. Non c’è tempo di colpirli, attivare il Piede. Modalità balzo. Direzione… ” Le reazioni all’interno furono pressoché immediate. Il guidatore attaccato ai comandi nel proprio spazio ammortizzato tra due potenti giroscopi rotativi, premette la leva principale d’inserimento e cominciò a ruotare rapidamente la ghiera dei 360 gradi. Quindi all’annuncio preventivamente atteso “Nord-Nord-Est” si lanciò verso il grande bottone rosso. Nel frattempo i sei addetti alle armi, avendo lasciato le proprie posizioni di tiro, si erano gettati rapidamente sulle rispettive poltrone con cintura di sicurezza, in attesa del momentaneo attimo di terrore e poi, la salvezza. Ora l’intera ensemble, racchiusa tra rigide pareti d’acciaio, sembrò sollevarsi. Dapprima lentamente, quindi con potere simile a quello di un vero e proprio esplosivo. Ed il terreno si allontanò sempre più rapidamente, inclinandosi quasi a 45 gradi. Ma prima che il disco abitato potesse capovolgersi e rotolare giù dal pendio, il Piede si estese di nuovo, impattando fragorosamente contro il terreno. L’impressione generale era quella di un assurdo giocattolo, come un gigantesco saltapicchio corazzato. Ma l’incredulità di coloro che si trovavano all’altro lato della valle non durò per molto. Quando il mitragliere numero cinque, in maniera autonoma, non cominciò a far fuoco.
Uno dei paradossi maggiormente citati in merito all’inizio della seconda guerra mondiale è sempre stato quello della Linea Maginot. Un’invalicabile, profonda serie di forti corazzati fortemente voluti dall’omonimo Ministro della Guerra francese, affinché i tedeschi non potessero facilmente attraversare il confine dando inizio al temuto Blitzkrieg. Peccato che il paese della Libertà ed Uguaglianza avesse una forma pressoché quadrangolare, risultando altrettanto accessibile dal settentrione, per chi avesse facilmente attraversato coi carri armati il territorio acquitrinoso dei Paesi Bassi. E se invece tutti quei bunker, le posizioni di tiro, i nidi di mitragliatrici avessero potuto spostarsi in base all’esigenza dell’ultimo minuto? Questa è la domanda che trova risposta, assieme a molte altre, nell’ipotetico impiego in servizio attivo del Carro Armato Saltatore di Wallace, un progetto per il più innovativo mezzo da guerra dai tempi di Leonardo da Vinci. Un sistema per combattere ed arrestare l’avanzata dei soldati avversari che sarebbe stato del tutto ragionevole giudicare rivoluzionario, nel senso che l’intero concetto di un conflitto armato avrebbe necessitato di essere ridefinito, affinché schierare dispositivi simili potesse avere un senso. Il che non significa d’altronde che il misterioso Henry William Wallace, nato nel 1918 a Des Moines, Iowa, mancasse di fantasia e capacità notevoli, benché non sembrasse eccessivamente preoccupato d’immaginare se stesso al posto di un ipotetico equipaggio del suo “terribile” approccio al combattimento della cavalleria corazzata. Se ancora tale potesse essere effettivamente definita, considerato ogni aspetto della sua bizzarra creazione…