“Voce di popolo, mezza verità” oppure “Se lo dicevano i nostri nonni, è impossibile dubitarne”. Affermazioni universali che la gente può essere sorpresa a pronunciare in molti diversi paesi del mondo, sulla base di culture anche radicalmente diverse tra loro. E non c’è niente di necessariamente sbagliato, nel tradizionalismo degli usi e costumi, sebbene molti siano gli errori e fraintendimenti verso cui ha finito per dirigersi la collettività, in forza di concetti che nessuno aveva una ragione, o le competenze ulteriori, necessari ad allontanare dalla percezione del senso comune. Un esempio di questa situazione può essere individuato nella frase, in realtà carica di sottintesi: “L’àguila cinzenta (grigia) è un pericolo per il bestiame, che ama nutrirsi di agnelli e pecore sottratte dagli allevamenti dell’uomo.” E lì, apriti cielo, per accogliere le raffiche di piombini, trappole e alberi abbattuti, soltanto per la presenza potenziale di quell’alto e valido groviglio di rami, entro cui la belva era propensa a ricavare il suo nido. Un odio generazionale ed internazionale, in tutta la parte centrale del Sud-America, per l’uccello che la scienza chiama oggi Buteogallus coronatus, sebbene abbia avuto nel corso della sua esistenza anche diversi altri nomi. Tra cui quello incline ad essere frainteso di aquila coronata, per la notevole cresta erettile presente attorno al perimetro della sua testa, sfruttata dal volatile per far valere i confini del suo territorio e qualche volta, fare a gara per l’attenzione di una possibile partner riproduttiva. Problematico perché questa stessa identica definizione veniva già impiegata per un altro rapace originario dell’Africa Centro-Meridionale (la Stephanoaetus coronatus) nonché, talvolta, per l’assai più vicina e gigantesca aquila arpia (Harpia harpyja) diretta possibile ispirazione per il grifone di harry-potteriana memoria. Benché questa sua cugina diffusa in Brasile, Bolivia, Paraguay e Patagonia ma paradossalmente NON la zona centrale della regione geografica del Chaco situata a ridosso dell’altopiano andino, sia in realtà perfettamente in grado difendersi in materia di dimensioni, rappresentando con i suoi 73-79 cm di lunghezza ed oltre 3 Kg di peso uno dei rapaci più imponenti del suo intero continente. Nonché potenzialmente il più raro, vista la quantità di esemplari rimasto allo stato brado pari a non più di 1.000, cifra tale da giustificarne a pieno titolo l’inserimento nell’indice delle specie a rischio dello IUCN. Situazione estremamente grave quando si considera il ruolo primario all’interno dell’ecosistema per un tipo di carnivoro posizionato al suo vertice, capace di apportare con la sua presenza modifiche al funzionamento dell’intera catena alimentare. Perché già, che cosa mangi esattamente, l’aquila del Chaco è stata a lungo una questione oggetto di disquisizioni a multipli livelli, con l’idea pessimista dei contadini ed allevatori locali smentita solamente in epoca recente, tramite una serie di osservazioni che hanno permesso d’individuare il bersaglio elettivo del carnivoro in una serie di piccoli mammiferi, rettili e soprattutto l’armadillo peloso urlatore (Chaetophractus vellerosus) coperto da quanto di più distante si possa immaginare dal candido vello delle pecore soggette alla tutela e sfruttamento degli allevamenti di provenienza umana. Ma poiché cambiare la cultura non è facile, ciò ha dato inizio ad una serie di lezioni e conferenze in giro nei diversi paesi, ad opera di varie organizzazioni di tutela tra cui quelle del CECARA (Center for the Study and Conservation of Birds of Prey in Argentina) mirate a cambiare l’immagine lesiva di questa magnifico e irrecuperabile essere posizionato al confine tra le foreste e l’erba alta delle pampas. Utile a ridurre le intenzionali persecuzioni antropogeniche della creatura, ma purtroppo e come dimostrato, giungendo a dirimere soltanto una delle svariate questioni che gravano in maniera significativa sulla sua sopravvivenza presente e futura. Poiché risulta essere tutt’altro che facile, per gli alati appartenenti a questa specie, giungere all’età e mansione ultima della riproduzione…