Si era trattato di un gesto fatto in buona fede, senza particolari implicazioni nefaste. Uno dei partecipanti al programma Dare Win, (Database Regional Whales and Dolphins) un atleta del free diving come potevano essere molti altri, che mette una mano davanti a se, appoggiandola su un’imponente massa scura: 4 metri per una tonnellata o più. Nient’altro che un cucciolo di capodoglio. La ragione è che il “piccolo” stava puntando dritto verso la telecamera, rischiando di fargliela saltare via dall’altra mano. Il fatto è che questo mammifero marino, a quanto pare, non si aspettava alcun tipo di contatto diretto. Oppure, chissà, l’idea era di ricompensare l’umano espansivo con una manifestazione auditiva d’affetto. Fatto sta che il suo costante sussurro comunicativo, con i suoi genitori e gli altri gruppi del branco matriarcale, si alzò bruscamente di tono, avvicinandosi pericolosamente ai 230 decibel prodotti dagli esemplari adulti. Con il risultato che l’uomo, il cui nome e precise circostanze non vengono rivelate, fosse investito pienamente da vibrazioni talmente potenti da sconquassargli le membra. Stando al racconto riportato durante la serie di conferenze Humanity and the Deep Ocean da James Nestor, l’autore e documentarista che tanto spesso ha fatto da portavoce e narratore del gruppo, costui sperimentò quindi una paralisi totale del braccio destinata a durare per quattro ore. Rischiando, in effetti, che potesse essere permanente. E in quel caso si era trattato di un cucciolo. “Non sono uno spericolato, un amante dell’adrenalina” Prosegue quindi Nestor: “…Ma voi dovete capire che alla fin della fiera, questo è l’unico modo per studiare DAVVERO le balene.” Perché i capodogli (Physeter macrocephalus) come è stato pienamente determinato dal gruppo Dare Win, non agiscono mai in totale spontaneità se c’è la presenza di sottomarini, batiscafi, persino bombole per la respirazione subacquea. Sono animali molto più timidi di quanto si possa tendere a pensare. E attenti ai minimi dettagli del contesto in cui vengono trasportati dai loro osservatori. Tanto che, generalmente dopo un paio d’incontri, riescono a rendersi conto del pericolo che può costituire il loro strumento fonatorio e di ecolocazione se usato senza limitazioni per gli strani visitatori provenienti dalla superficie. Ed iniziano a parlare sottovoce. Non che si tratti di un’abilità di autoregolazione che si trovi innata nei loro piccoli, ovviamente.
Che i capodogli fossero estremamente intelligenti, come i delfini e molte altre specie di balene, è una cognizione ormai largamente appartenente al senso comune. Ciò che l’operato di gruppi come il Dare Win ha permesso di comprendere in diversi paesi del mondo, tuttavia, è che esse possiedano particolari tratti cognitivi addirittura più complessi dei nostri. Uno di questi è il linguaggio. Si è fatto molto per comprendere la grammatica delle loro vocalizzazioni, che a differenza da quello che succede in altre specie, non sono tanto un canto ultrasonico quanto una serie di click chiaramente udibili, come abbiamo dato ad intendere, anche a molti chilometri di distanza. Senza alcun successo al di là di una comprensione di massima e chiaramente insufficiente. E lo sapete perché? Il Physeter possiede il cervello più grande di qualsiasi animale attualmente vivente sul pianeta Terra, con i suoi 7 Kg di peso, e la sua neocorteccia, l’area deputata alle funzioni superiori come anche la comunicazione, è sei volte più vasta di quella umana. Diventa veramente difficile quindi, misurare l’intelligenza di simili creature, con supponenti locuzioni come “Circa una volta e mezzo quella di un orango.” Oppure: “Come un cane frutto dell’ingegneria genetica che abbia frequentato l’Università di Harvard.” Perciò, affermiamolo chiaramente: ogni volta che una barca da pesca riesce ad uccidere e catturare uno di questi animali, ha essenzialmente ucciso un essere che possiede il concetto di famiglia, la capacità di soffrire nel profondo della sua anima e di essere preoccupato per il futuro. Persino un certo grado d’amore per il suo prossimo o chiunque possa risultare diverso da lui. Questa è la misura effettiva di un simile gesto di crudeltà. Un capodoglio, dopo tutto, non è certo l’equivalente marittimo di un “placido erbivoro” bensì un feroce predatore delle creature che considera sue inferiori, come pesci e seppie giganti, le quali ghermisce con la sua impressionante dentatura (i fanoni filtranti lasciamoli alle balene che si accontentano) eppure, superato lo scoglio letterario della candida Moby Dick, non esiste un timore reverenziale verso questi enormi mammiferi, che possa venire paragonato a quello per gli squali. Questo perché le notizie di attacchi ad esseri umani sono virtualmente inesistenti. Il che in effetti, visti gli strumenti che avrebbero a disposizione, è una vera fortuna per noi.