Fulvio di Piazza dipinge quadri ad olio post-apocalittici di pietra lavica, fuoco vermiglio e nubi venefiche di polvere cinèrea. I suoi paesaggi viventi sono figure animali ed umane dalle forme contorte, bitorzolute, spropositate; la poca terra calpestabile ancora inanimata di questi mondi distopici spunta con fatica in mezzo al caos generato da terremoti geo-distruttivi, fenomeni metereologici immani o terribili guerre mondiali… Visioni praticamente indescrivibili, ma rappresentate con una cura estrema dei dettagli, quasi ermetica nei suoi significati quanto nelle forme labirintiche che va a delineare, stranamente coinvolgenti ed affascinanti nella loro spaventosità. L’ispirazione per tali figure infernali va ricercata nel fascino dell’autore per un trattato di economia del 1980, Entropy di Jeremy Rifkin, che tentava di stabilire una relazione tra il declino inevitabile dei processi termodinamici e la società umana. Ecco dunque che il sangue diventa inarrestabile roccia liquida, la pelle duro basalto e gli occhi – organi di acquisizione della conoscenza – pericolose braci incandescenti. Ma tutto è doverosamente rovinato ed irrecuperabile, come ci viene imposto da questo universo di leggi fisiche tristemente degenerative a cui niente e nessuno può sottrarsi, neanche la mente razionale dell’uomo.