È un concetto fortemente ripetuto ed inculcato nella mente delle persone: noi NON siamo definiti dal nostro aspetto esteriore. D’altra parte, la moderna creatura collettivamente nota come Homo Sapiens non ha singole caratteristiche che emergono preponderanti nella stragrande maggioranza delle situazioni: una testa, due braccia, due gambe, un lungo torso che può essere diviso in base al rapporto matematico della sezione aurea. Lo stesso non può essere affermato per quanto concerne l’anolide cornuto, proboscideato o più semplicemente la lucertola Pinocchio dell’Ecuador. Che mutua dal celebre personaggio letterario di Collodi in primo luogo la caratteristica predominante del profilo, soprattutto relativamente all’incredibile prolungamento di quel naso che alberga geometricamente al centro del volto di molte creature. Uno strumentazione anatomica utile in molteplici e diverse circostanze, tra cui tuttavia difficilmente avremmo pensato d’includere la seduzione. Ed è proprio per questo che noialtri non apparteniamo alla famiglia dei Dactyloidae, piccoli rettili imparentati alla lontana con le iguane, per cui il possesso di un rostro frontale, assieme ad una pappagorgia variopinta, costituiscono le principali armi a disposizione di un individuo di sesso maschile per potersi accaparrare una potenziale consorte (la quale, di suo conto, ne risulta priva, essendo praticamente identica all’anolide arboricolo delle Antille Maggiori). Allorché parrebbe ragionevole affermare, nel caso del mimetizzato amico che stiamo prendendo in considerazione, che il primo abbia di gran lunga superato l’importanza della seconda, ricevendo nei trascorsi secoli una significativa dose di attenzione da parte della selezione naturale vigente. Verso l’emersione di un tipo di creatura, con 1-2 cm di preminenza del muso appuntito sui 5-7,5 del suo corpo totale, che senz’altro avrebbe affascinato le generazioni di erpetologi, se non fosse stato per la sua capacità di rimanere in alto tra i rami della foresta pluviale, spostandosi in maniera lenta e cadenzata, riuscendo a sviare eventuali sguardi da chiunque fosse interessato ad annotare o coronare con uno spuntino il suo avvistamento. Tanto da essere formalmente descritto per la prima volta soltanto nel 1956, occasione durante la quale venne incontrato e studiato dal celebre naturalista James A. Peters assieme al suo collega Orces, per poi ritornare nell’anonimato sostanziale e indefesso. Lungo l’estendersi di decadi, e decadi, tanto che verso l’inizio degli anni ’70 si cominciò a pensare ragionevolmente alla sua estinzione. Almeno finché un gruppo di ornitologi nel 2005, nel tentativo d’individuare qualche stravagante pennuto nella regione ecuadoregna di Mindo, si sarebbe ritrovato al cospetto di un esemplare vivente di A. proboscis, almeno in apparenza il protagonista di un libro in miniatura sui coccodrilli. Creatura degna di essere fotografata e caricata sugli allora nascenti social network, catturando senza falla l’attenzione del ricercatore dell’Università del New Mexico, Steven Poe che si sarebbe recato in loco l’anno successivo. Confermando e approfondendo in modo rigoroso l’importante questione…
anolidi
La bolla pulsante che libera questa lucertola dall’incombenza di prendere fiato
Per i serpenti predatori del Costa Rica e il resto dell’America Centrale, la velocità è diventata una dote primaria nella cattura del loro pasto quotidiano. Questo perché molte delle loro prede, attraverso i secoli successivi, hanno appreso una speciale via per guadagnarsi la salvezza: immobili, attente, rigide nella muscolatura e nello sguardo. Le lucertole anolidi dell’ecomorfo arboricolo, che tanto bene sanno del pericolo, non son più solite aspettare la venuta dell’ora fatidica in mezzo alle fronde della volta forestale. Bensì sulla punta più estrema dei rami degli alberi, presso un ruscello o fiume dall’acque relativamente scorrevoli, in assenza per lo meno apparente di una qualsivoglia valida via di fuga. Illusione che ben presto si dissolve, nel preciso momento in cui la morte strisciante fa il suo tentativo d’avvicinamento, e il rettile dalle quattro corte zampe, senza nessun tipo d’esitazione, tranquillamente salta giù e sparisce tra le limpide acque sottostanti. Letteralmente e nel senso che, per riuscire a vederlo riemergere, occorrerà aspettare tra i 15 e i 18 minuti, in maniera analoga a quanto succede con le rane. Il che costituisce, di sicuro, una questione in grado di suscitare un certo grado di perplessità e sorpresa, quando si considera come dal punto di vista morfologico l’Anolis aquaticus, unico piccolo rettile, distante parente dell’iguana, che era stato associato a partire dal 2008 e fino al giorno d’oggi ad una simile distintiva abitudine, appaia per il resto del tutto simile a qualsiasi altro membro del suo vasto genere d’appartenenza. Mentre uno studio pubblicato lo scorso 12 maggio sulla rivista Current Biology, da Mahler, Swierk e colleghi, chiarisce e rende al tempo stesso ancor più notevole l’intera questione. Riuscendo ad attribuire, mediante una lunga e complicata serie d’osservazioni, questa stessa propensione all’immersione ad un minimo di 18 specie differenti, molti delle quali appartenenti a regioni geografiche nettamente distinte, ciascuna osservata mettere a frutto in condizioni controllate lo stesso, notevole espediente. A partire dalla cattura pressoché spontanea, nei primi attimi successivi all’immersione, di una o più goccioline facenti parte del flusso acquatico, grazie alle naturali doti idrofobiche della loro pelle scagliosa, con una particolare efficienza riscontrata a tale fine proprio dell’estremità draconicamente appuntita del loro muso. Presso cui, come ampiamente documentato in una serie di video diventati in seguito famosi, il globo gassoso è solito apparire e scomparire a ritmo controllato, mentre la lucertola inala, e conseguentemente esala, i propri rapidi respiri sommersi. Giungendo a dimostrare l’innegabile capacità di riempire i propri polmoni con la stessa aria che vi è già passata in precedenza, in maniera non dissimile da quella possibile per gli utilizzatori umani di un rebreather, meccanismo tecnologico in grado di bloccare, eliminare o smaltire in qualche modo l’accumulo nocivo di CO2. Un sistema del tutto paragonabile per intento e funzionamento a quello posseduto dalla lucertola, il cui approccio della bolla giunge effettivamente a formare una sorta di membrana permeabile, da cui tutto il gas prodotto tramite lo sforzo polmonare tenderà rapidamente a fuggire, causa l’aumento di pressione, mentre il molto ossigeno contenuto nelle acque turbinanti del ruscello, un po’ alla volta, giungerà ad occupare il suo posto. E così via per il più lungo tempo possibile, in maniera analoga a quanto fatto da talune specie d’insetto quali lo scarabeo tuffatore (gen. Dytiscus) o altri artropodi come il ragno palombaro (Argyroneta aquatica, vedi precedente trattazione) sebbene per un periodo dall’estensione più breve causa la maggiore necessità d’apporto gassoso al sostentamento efficace di organismi dalle dimensioni decisamente superiori. E abbastanza variabili, se è vero che il nuovo studio brilla indubbiamente per varietà e tipologie dei suoi soggetti dimostratosi capaci di realizzar l’acquatica impresa…