Carlos Crespi Croci: antropologo, missionario e custode di un museo approvato dal Vaticano a Cuenca, America Meridionale. I primi a restare colpiti dalla storia, benché la fonte fosse un prete salesiano di provenienza italiana, nemesi istituzionale di quel credo, furono prevedibilmente i Mormoni. Dopo tutto, loro era il dogma religioso secondo cui il fondatore del culto Joseph Smith aveva ricevuto dall’angelo Moroni una serie di tavole d’oro, recanti la reale storia di Cristo e il solo modo per consentire agli umani di raggiungere il Paradiso. Caso volle, tra l’altro, che la provincia dello stato sudamericano dove era stato effettuato il supposto ritrovamento attorno agli anni ’60 potesse vantare il nome di niente meno che Morona Santiago, una combinazione di termini la cui etimologia poteva ben difficilmente fare a meno di apparire, nonostante l’istintiva diffidenza di molti, carica di un qualche significato. Il racconto di un ritrovamento archeologico, questo, costruito sulla base di parecchie testimonianze e poi riconfermato dalla biografia dell’esploratore János Juan Móricz (1923–1991) attraverso il filtro di una sorta di saggio cospirazionista il cui stesso autore, lo svizzero Erich von Däniken, avrebbe successivamente ammesso di aver liberamente interpretato la verità. Eppure l’oscurità delle caverne, tanto spesso, ci hanno condotto nei recessi ultimi della coscienza, fino ai più remoti ed impossibili desideri. Un qualcosa dinnanzi al quale, assai difficilmente il semplice muro della razionalità acquisita potrebbe frapporsi per bloccare il passaggio.
Nel romanzo di Giulio Verne sul Viaggio al centro della Terra si parla estensivamente di un complesso network sotterraneo di gallerie, interconnesse tra di loro molti chilometri sotto il livello dei fondali marini ed abitate da creature preistoriche, civiltà perdute e insetti assolutamente sproporzionati rispetto alla loro natura di artropodi con esoscheletro esterno. Uno scenario forse improbabile, tuttavia perfetto per l’autore che viene normalmente identificato come il primo fautore del genere fantascientifico, destinato ad aprire una volta per tutte la diga che manteneva immobile i flussi incontrollabili della fantasia umana. Sia nel remoto 1864 che oggi, tuttavia, esistono persone più naturalmente propense ad intendere letteralmente le situazioni e i concetti, per cui il mondo fantastico descritto dal celebre autore di Nantes costituirebbe nei fatti una versione ragionevolmente credibile di un’effettivo aspetto dimenticato dalla storia umana, sebbene non mancassero riferimenti nelle opere filosofiche e i poemi del Mondo Antico. Agartha, Shambala o Shanghri La che dir si voglia: tra le vestigia di una civiltà sepolta, persino più remota delle Piramidi o i dorati palazzi di Atlantide che sorgevano ben oltre la linea dell’orizzonte. Parecchi sarebbero, secondo simili cultori della scienza empirica o i percorsi alternativi della sapienza, gli ingressi verso un tale ambiente eternamente sepolto, spesso collocati in corrispondenza di vulcani spenti, doline carsiche presso le falde dei continenti o valli della morte che tagliano segretamente le spropositate dune di un vasto deserto. Soltanto in un caso, tuttavia, una di queste strade per l’accesso all’Oltremondo venne effettivamente esplorato da una spedizione composta da oltre 100 persone nel 1976, tra cui scienziati, speleologi e persino la figura innegabilmente prestigiosa del primo uomo ad aver messo piede sulla Luna: Neil Armstrong in persona. Il quale in seguito avrebbe affermato: “Contrariamente alle nostre aspettative di partenza, non ci è stato possibile rivelare alcun segno di creazioni architettoniche umane all’interno della grotta dei Los Tayos.” Una smentita che in maniera piuttosto prevedibile, mancò di ricevere la stessa risonanza della sua partecipazione all’evento.