“Pa-Pa-Pa-Pa-Pa-Papageno!” Cantava alla sua femminea controparte l’uomo-uccello nel duetto più famoso del Flauto Magico, benché nessuno avesse mai pensato di arrivare a interpretare tale nome in modo totalmente, imprescindibilmente letterale. Non siamo forse tutti echi ripetuti di un suono profondo e ricco di significato, l’importante voce dell’umanità indivisa? C’è un canto ragguardevole che si ripete, a ogni passaggio generazionale, raccontando gli epici trascorsi di un’intero regno, quello animale. È l’opera che qualche volta definiamo “lirica” (termine musicalmente improprio) la più raffinata unione tra la rappresentazione teatrale e il mondo della musica, creazione tecnologica dell’uomo. Per questo non saremmo stati inclini a prevedere, un giorno, di sentirla provenire in modo totalmente riconoscibile dal becco semi-aperto di questo uccello, tra le pagine incorporee del mondo digitale. Chick-E-Poo, l’ospite melofilo della Casa di Zazu, santuario dei pennuti collocato presso la cittadina di Woodinville, nello stato nordamericano di Washington. Null’altro che l’ultimo a diventare famoso, degli oltre 250 ospiti accolti nel complesso di gigantesche voliere che costituiscono la casa, tra i molti altri, della fondatrice Christy Padilla, già proprietaria della carrozzeria locale per un periodo riportato essere di ben 24 anni. Prima di dedicarsi alla sua grande passione e missione nella vita: accudire tutti quegli uccelli tropicali che, per un motivo oppur l’altro, si trovano improvvisamente privi di un padrone, andando spesso incontro ad una fine particolarmente grama. Detto ciò non conosciamo, i modo approfondito, quale sia il racconto specifico di questo splendido esemplare di amazzone testagialla, né ci viene specificato il nome dell’uomo che lo sostiene e sprona durante il video, possibilmente uno delle decine di volontari che lavorano presso questa popolare istituzione, riconosciuta dal governo come ente senza fini di lucro degno di tutela e finanziamenti caritatevoli da parte d’innumerevoli amanti degli animali. Cantante alato il quale, dopo un brevissimo riscaldamento delle corde vocali, mette in campo tutta la sua prestanza canora in una serie di gorgheggi che danno l’origine ad un vero e proprio brano, potenzialmente proveniente da un’opera di sua personale concezione (ed improvvisazione) come possiamo desumere dall’uso frequente e ripetuto dell’imprescindibile verso: “Pretty bird (bell’uccellino) pretty bird, pretty bird…”
Un’esibizione destinata finalmente, dopo i ben cinque anni del canale di YouTube dell’organizzazione, a sfondare nell’Olimpo dei video virali grazie all’endorsement del formato Viral Hog, popolare aggregatore di contenuti ritenuti divertenti o in qualche modo interessanti nel mondo del web. E c’è di sicuro molto da approfondire, in questi due minuti degni di essere inseriti a pieno titolo nell’antologia dei suoni più notevoli prodotti da una simile tipologia di allegre creature, qui rappresentate da uno dei più notoriamente intonati, ed abili tra i suoi rappresentanti nel contesto domestico del mondo contemporaneo. Quella specie nota come Amazona auropalliata o “doppia” testa gialla, per distinguerlo dall’A. Oratrix, che presentano tale caratteristica cromatica allargata ad una chiazza che gli ricopre completamente il capo. Non che i primi siano d’altra parte, rispetto ai secondi con il nome programmatico, meno rumorosi durante l’intero corso della giornata, specialmente nel caso in cui si sentano trascurati e soli come potrebbe essere capitato a ciascun ospite del santuario, prima di essere accolti in questo luogo eccezionalmente ameno. Dove tale propensione acquisita per nascita è stata chiaramente instradata, e veicolata nell’apprendimento di una tecnica sopraffina, tramite l’ascolto per periodi sufficientemente estesi del prezioso stile così efficacemente rappresentato…
dal mondo
Le lunghe implicazioni oniriche dell’ultra-uovo
Polli paracadutisti che conquistano le spiagge della Normandia; piccioni provenienti dal futuro; cicogne trasformate, per il tocco di una magica bacchetta, negli elfi alati di un diverso tipo di Babbo Natale. Esprimi dunque un desiderio, quest’oggi, mentre lasci finalmente la cucina: “Vorrei. Che il mondo fosse fatto nella specifica misura del bisogno… Che ogni cosa ed animale, che siano frutto di un Disegno oppure il corso dell’Evoluzione, perseguissero l’unico scopo di semplificare il senso ed il significato della mia esistenza.” Così battono le dita sull’invisibile tastiera del destino ed Internet, manifestazione materiale dell’umano anelito immanente, giunge in vostro aiuto per il tramite del vaticino che ha il nome di Google, l’onnisciente. Un lungo…Uovo. E in fondo… Perché no? Disposti gli ingredienti di una tipica insalata o di un panino, come i pezzi di una strategia scacchistica Vs. Kasparov dei tempi migliori, tutti abbiamo già sperimentato quell’acuta sensazione d’inadeguatezza. Alla difficoltosa presa di coscienza che “Il perfetto cibo pre-confezionato dai pennuti” non è poi così perfetto, e neanche concepito come cibo, all’origine del suo progetto funzionale. Come sarebbe mai possibile spiegare, altrimenti, la maniera in cui la capsula biologica per eccellenza, una volta resa solida grazie alla trasformazione alchemica del fuoco manovrato dall’umano desiderio (“uovo sodo”, hai presente) può essere divisa solamente in fette trasversali ove la divisione tra la chiara e il saporito albume pare essere, per l’ingiustizia perenne, palesemente ineguale!
È il paradosso fondamentale della civilizzazione industriale, quest’ultimo, per cui produrre confezioni progressivamente più complesse aumenta l’inquinamento e la produzione collaterale di scarti, ma riduce in modo esponenziale l’inerente spreco dei non meno preziosi ingredienti. Pensate a tal proposito, a tutti i ristoranti, le paninerie, le linee aeree, gli stabilimenti gastronomici, che in condizioni di tipo normale devono gettare via, in media, il 33% di ciascun uovo! (“Cameriere, dov’è il rosso nella mia porzione? Inaccettabile! Inappropriato!) A meno, s’intende, di far ricorso allo strumento futuribile della tecnologia. Perché intendiamoci, il lungo uovo nell’epoca moderna c’è probabilmente sempre stato. Ma semplicemente nessuno amava parlarne, per l’immediato senso di rammarico e di raccapriccio che una simile creazione “contro natura” sembra suscitare nella mente degli spettatori-per-caso, subito pronti ad inneggiare ai meravigliosi meriti del cibo prodotto in modo AUTONOMO dalla natura, conversando tra un porzione di corn flakes, una fetta di salame e l’irrinunciabile scatoletta di tonno, sorta splendida tra i flutti dell’oceano senza fine. Così che ad oggi, grazie a uno specifico segmento televisivo, tale mistica pietanza ha guadagnato la particolare provenienza geografica della terra di Danimarca, dove una fabbrica con significativi gradi d’automatismo veniva mostrata produrne una quantità smodata, per un mercato chiaramente dedito alla persecuzione della massima praticità culinaria. Sto parlando del servizio riservato dal programma tedesco per bambini Die Sendung mit der Maus (“La trasmissione con il topo”) a questa delicata faccenda, che comincia tra gli astrusi macchinari e raggiunge il suo culmine su una spiaggia delle Isole Salomone. Il cui commento più immediato, nonché valido a comprendere il fondamentale nesso della questione, appare pienamente riassumibile nella domanda: “Che tipo di pollo serve, esattamente, per produrre un lungo uovo?”
La grave situazione in Iowa e il fenomeno meteorologico che l’ha causata
Nella sera dello scorso lunedì 10 agosto, una strana serie di segnali contrastanti hanno iniziato ad essere registrati dai sensori di marea sul lago Michigan, tanto da far pensare agli enti preposti a valutarne la lettura che qualcosa, da qualche parte, avesse cessato di funzionare correttamente. Con un grafico paragonabile a quello di un terremoto, per un periodo di alcuni giorni, la linea costiera del terzo lago statunitense per estensione iniziò ad arretrare, avanzare, arretrare di nuovo, con un tempo d’oscillazione di pochissime ore; in altri termini sembrava, dal punto di vista pratico, che un gigantesco bambino stesse sbattendo le mani e i piedi all’interno di una colossale vasca da bagno, influenzando per gioco il livello dell’acqua a suo piacimento. Una visione o descrizione metaforica, quest’ultima, tutt’altro che probabile nei fatti eppure valida per dar l’idea di quanto la furia risvegliata della natura, ancora una volta, stava per scatenare sull’eternamente in bilico regione continentale dell’intero Midwest statunitense: una catastrofe ventosa dalle proporzioni sconvolgenti. Riassunta in una parola, derecho, che non è del tipo frequentemente udito in questi giorni al telegiornale, per ragioni a conti fatti alquanto semplici da interpretare… Laddove le migliaia di vittime quotidiane da Covid-19, anche all’altro lato dell’Atlantico, hanno relegato questo disastro all’ultimo servizio dei telegiornali o magari neanche lì, con un conto delle vittime pari a “soltanto” due allo stato attuale ed “appena” 14 feriti, per lo più non particolarmente gravi. Ma esiste più di un modo, per subire i danni collettivi di un disastro, come sanno molto bene i possessori di terreno in questa fondamentale riserva agricola del Nordamerica, già pesantemente colpita nel corso dell’anno dalla lunga sequenza di dazi generati nella guerra dei commerci con la Cina e che adesso, a fronte di una situazione già complessa, stanno affrontando forse il periodo più drammatico della loro esistenza: granai divelti, magazzini distrutti, abitazioni fatte a pezzi e soprattutto milioni di ettari del raccolto letteralmente spazzati via, con incalcolabili tonnellate di mais strappato alla radice, poco prima di essere disseminato ancora non maturo attraverso le verdeggianti valli di Iowa, Ohio, Utah e Wyoming.
Già perché il derecho, per sua natura non si avvolge attorno agli edifici torcendone gli elementi architettonici e scagliandoli in tutte le direzioni, come avviene per la sua più celebre e frequente controparte, il tornado, bensì dando ragion d’essere al suo nome preso in prestito dalla lingua spagnola soffia in una maniera “diritta”, che poi risulta essere, da queste parti, orientato verso Sud-Est nel tentativo disperato di raggiungere l’equatore. Il che rende una tale tempesta paradossalmente meno pericolosa per gli umani che possono tentare di trovar rifugio in tempo utile, benché non faccia nulla per salvare le proprietà ed inoltre risulti, con venti misurabili fino alla velocità impressionante di 58 m/s, capace d’infierire su queste ultime con enfasi particolarmente degna di nota. Immaginate, a tal proposito, una lunga linea di temporali che si sposta in linea retta, attraversando con un ritmo accelerato l’intero territorio di una serie di comuni e piantagioni. Ciascuno dei quali sufficientemente rapido da permanere sopra di essi per un tempo pari ad appena 20-30 minuti, ma ben presto seguito dall’anello successivo della catena per un tempo complessivo che nelle regioni più colpite può aggirarsi fino alle 8 ore. Questo, in parole povere, è il derecho, che per fortuna risultando essere piuttosto raro si realizza una, al massimo due volte l’anno, benché sia particolarmente difficile ignorare o dimenticare gli effetti cataclisimici del suo passaggio. Particolarmente gravi, neanche a dirlo, nella presente situazione di un così drammatico 2020…
L’incrollabile utilità dei serpeggianti muri d’Inghilterra
La signora Evans uscì dal pub di Church Lane a Lymington come una furia, con l’evidente intenzione di ricevere soddisfazione: “Cosa vi è passato per la mente? Non è così che si fa un lavoro!” Per fortuna, aveva fatto in tempo. Il muro costruito attorno alla vecchia casa dai giovani soldati non aveva ancora compiuto un quarto di giro e probabilmente, sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. “Signora…” Esordì con evidente accento tedesco il sergente Hofmann, con l’uniforme in disordine ma l’alto cappello hannoveriano perfettamente posizionato sulla testa: “…Non capisco esattamente quale sia il problema. Qui è stata costruita l’opera pubblica con le più moderne soluzioni tecnologiche, secondo i criteri operativi del nostro reggimento, impiegate durante la guerra contro l’Immondo della Corsica, Little Boney. Nel 1810 A Bexhill-on-Sea, questo tipo di fortificazioni ha più volte ricevuto l’elogio del sindaco e del quartiermastro per la sua capacità di rompere le righe del nemico!” Con un’espressione particolarmente corrucciata, la donna mise le mani sulla grande gonna, fissando il lavoro: la barriera architettonica in questione, costruita per nascondere il giardino privato e potenzialmente accrescere l’accumulo di calore al fine di migliorare la condizione del frutteto, pareva un disegno infantile delle onde del Tamigi. “Beh qui nello Hampshire, non si è mai visto niente di simile. Esigo che una soluzione tanto antiestetica venga rifatta e questa volta in modo DI-RIT-TO, oppure ne vedrete delle belle, miei cari!” L’uomo della Legione tedesca del Re, emigrato in Inghilterra con il resto della sua famiglia ormai quasi 15 anni prima alla dissoluzione dell’Elettorato indicò a questo punto i mattoni disponibili nel cumulo a lato della strada, sollevando evidentemente il sopracciglio destro: “Allora, mylady, dovrà dirci lei come dovremmo riuscire a farlo. Perché come noterà ben presto, mancano semplicemente i mattoni.” Ed a quel punto, con tono calmo e misurato, iniziò a spiegare.
Crinkle crancle, crinkum crankum oppure in modo ancor più semplice e descrittivo, “il nastro”. Un visione relativamente comune nell’Anglia Orientale fin dalla bonifica delle paludi dei Fens, effettuata nel 1630 da esperti ingegneri olandesi, che erano soliti chiamarli piuttosto slangenmuur ovvero l’unione delle due parole “parete serpentina”. Un’approccio relativamente complesso ad un problema semplice, finalizzata a risolvere una delle più antiche esigenze dell’uomo: delimitare o racchiudere gli spazi. Perché un muro come questo, benché sembri avere funzioni di natura prevalentemente estetica (e più o meno discutibile) risulta nei fatti un contributo matematico notevole all’economia d’impiego dei materiali, in maniera probabilmente contraria a quanto saremmo, naturalmente, inclini a pensare. Poiché se pure è vero che una linea curva, per sua implicita natura, utilizza una quantità maggiore d’inchiostro rispetto alla suddivisione del foglio tracciata con la squadra, la questione cambia radicalmente nel momento in cui spostiamo la nostra attenzione nel mondo tridimensionale, iniziando a parlare di un’effettiva creazione immanente. Un muro convenzionale, infatti, necessità di un basamento sufficientemente largo o un ragionevole numero di contrafforti, per poter resistere alla forza del vento o le spinte accidentali dei passanti. Laddove la forza dell’arco, anche quando rivolta in direzione orizzontale, non può essere sopravvalutata da chicchessia…