Vanuatu: il canto delle donne che usano l’oceano come strumento musicale

“C’è una cultura guerriera, alle origini della nostra civiltà” Afferma la portavoce del gruppo di cantanti vestite in semplici abiti di foglie di palma, i fiori tra i capelli, i folti capelli ricci che ricadono corti al di sopra delle spalle: “Ma il nostro è un messaggio di speranza, e di pace.” Quindi dopo l’essenziale attimo di silenzio, iniziano all’unisono a percuotere la superficie trasparente della loro vittima designata. L’acqua salmastra da cui emerge cacofonico un frastuono all’apparenza privo di un significato, il quale gradualmente assume un ritmo, e inizia a tratteggiare il fluido mutamento di una melodia: “Cascate e vapori di fuoco / o e a e o e — o e o a e a e / geysher che sgorgano dal vulcano / O e o e, a e o e o e — ooo. La lingua usata è quella della tribù dei Titi, presso l’isola di Motalava, terza più grande dell’arcipelago delle Banks. Per una traduzione che si rende assolutamente necessaria, visto come nel territorio di questa singola provincia esistano, all’ultima stima linguistica, più di 20 idiomi differenti. Ed oltre 100 nell’intera nazione-arcipelago delle Vanuatu, situata in bilico tra il continente d’Oceania e la “coda” finale dell’Indonesia, dove un tempo giunse e si stabilì l’antica cultura perduta del popolo dei Lapita. E in seguito ad eventi e condizioni non del tutto note, nonostante la via dell’approfondimento intrapresa più volte, resta ignoto il motivo di una simile varietà di caratteristiche comunicative ed identità di una popolazione, tra le più diversificate nonostante gli appena 300.000 abitanti, nell’intero novero delle nazioni terrestri, oceaniche o meno. Sin da tempo immemore (che diventa parzialmente tale dopo appena qualche secolo, data l’assenza di tradizioni scritte sull’arcipelago) la gente delle Vanuatu si è perciò servita di un strumento particolare per trasmettere i propri sentimenti oltre i confini del singolo nucleo familiare, tribale o l’intera popolazione del villaggio E quello strumento risulta essere, neanche a dirlo, la musica: con strumenti come grossi idiofoni in legno d’albero e bambù, sonagli legati a polsi e caviglie, rudimentali cordofoni e piccoli flauti e fischietti, ma anche l’attrezzatura più moderna fornita successivamente alla venuta e conseguente colonizzazione religiosa ad opera dei Portoghesi, a partire dal XVII secolo. Eppure non sarebbe affatto esagerato affermare che in questo luogo remoto, come ogni altro, la vera musica venga dal profondo del cuore ed in conseguenza di ciò non necessiti d’altro che una mente pensante, una bocca cantante e l’ambiente stesso in cui si muovono gli esecutori, fornitore di un’ampia gamma possibile di memorabili e conturbanti suoni. Vedi il caso del più grosso e pesante strumento musicale mai concepito, quello che circonda e racchiude ogni singolo territorio abitato della Terra.
Particolarmente diffuso nelle isole settentrionali di Banks, che con i loro appena 8500 abitanti sono state più volte riconfermate essere “il luogo più felice delle Vanuatu” l’antico sistema chiamato Ëtëtung nella lingua Mwerlap dell’isola di Merelava, consiste dunque nel saper trovare un modo per estrarre quel vasto potenziale privo di una forma, ed in qualche modo veicolarlo all’interno dei propri racconti ed esecuzioni di tipologia canora. Attraverso una serie di forme e metodologie che sappiamo per certo essere state codificate e messe per iscritto soltanto negli ultimi 50 anni, a partire da una comprensibile necessità d’istruire le nuove generazioni e rendere riproducibili determinate esecuzioni. Con finalità che potremmo definire economiche e turistiche, almeno quanto finalizzate al mantenimento della più preziosa ed intangibile delle eredità trascorse…

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i360, la strana torre panoramica sulla costa meridionale d’Inghilterra

Nove pali possono essere ammirati con la bassa marea lungo la spiaggia di Brighton, nella storica contea inglese del Sussex, presso la città architettonicamente interessante di Bristelmestune, oggi più frequentemente indentificata con la semplificazione etimologica di Brighton. Otto sono dei costrutti arrugginiti, dell’altezza approssimativa di tre metri e mezzo, svettanti come zanne solitarie di un massiccio dinosauro ormai polverizzato dal tempo. Il nono sale invece un po’ più in alto, arrivando a misurare con la sua ombra, dal mattino a sera, i più remoti confini visibili del lungo mare. Per quei 162 metri, distribuiti in soli 4 di diametro, tali da farne una delle torri più alte e sottili al mondo. Ma chi fosse naturalmente, e comprensibilmente incline a scambiare da lontano una simile colonna per un’antenna utile alle radiocomunicazioni intercontinentali dovrà ben presto ricredersi, allo spuntare da oltre l’orizzonte di una grande capsula che ne risale il verticale percorso, il cui aspetto sfolgorante sotto la luce dell’astro solare può indicare solo un materiale: vetro, trasparente e inusitato, soprattutto in tali circostanze frutto del più estremo ingegno della società umana. L’avevate mai vista prima? Non è particolarmente nota all’estero. Il che in un certo senso, può indicare la condizione poco desiderabile di un fallimento comunicativo. Già perché la linfa e le vicissitudini di un così atipico punto di riferimento, possono individuarsi unicamente nella quantità di turisti che decidano di visitarlo ogni giorno, settimana e col trascorrere dei mesi. E quest’ultimo anno appesantito dalla pandemia, sotto un simile punto di vista, non dev’essere di certo risultato un aiuto.
Ecco, perciò, l’ultimo video promozionale con indicazioni sulla sicurezza del contagio, pubblicato dalla West Pier Trust, associazione culturale e amministrativa incaricata di curare la promozione dell’i360, risposta dell’Inghilterra Meridionale al grande successo comunicativo e d’immagine della ruota panoramica London Eye. Monumento londinese che avvicina l’estetica della capitale a quella di un colossale Luna Park. E se vogliamo ampliare i confini di quell’area fino alle acque vorticose del canale, non potremo che scorgere quest’altra concessione ad un simile quadro sorprendente, con quel tipo di attrazione che generalmente sale, sale e sale verso il cielo; per poi ricadere, con velocità inquietante, verso il compatto suolo in silenziosa attesa. Ed è tutto esattamente uguale tranne questa specifica modalità d’impiego (difficilmente scalabile senza indesiderabili implicazioni strutturali) nella creazione opera proprio di quello stesso studio architettonico Marks Barfield, responsabile anche del sopracitato monumento sulla riva su del Tamigi. Così due hostess della British Airways, sponsor di una simile improbabile meraviglia, accolgono il pubblico all’interno dell’ufo trasparente con la forma di una grande cipolla, prima d’indicare la collocazione già delimitata dagli “spicchi”, ciascuno corrispondente ad uno dei pannelli che compongono la forma della navicella. Che puntualmente, la concludersi del giro della durata di circa 30-35 minuti, vengono accuratamente disinfettati dal personale operativo dell’attrazione. Certo, nonostante tali ineccepibili linee guida, risulta difficile immaginare per il 2020 e 2021 una quantità di visite anche soltanto prossime alle 800.000 annue, ritenute neccessarie a partire dal completamento nell’aprile del 2016 per riuscire a giustificare l’investimento pregresso di 46,2 milioni di sterline.
L’i350, con un nome che imita lo schema e discende chiaramente dal successo, all’epoca insuperabile, dell’azienda americana Apple, che cinque anni fa pareva dominare incontrastata il mondo dei device tecnologici su scala pressoché globale, costituisce dunque la dimostrazione di quali confini sia possibile oltrepassare, e con quanti approcci tecnologici finalizzati all’obiettivo, sia possibile riuscire a conseguire un qualche cosa di davvero sorprendente. In un contesto urbano e storico, quello di Brighton, già tutt’altro che privo di luoghi e strutture caratteristiche pregresse…

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Giunge dall’Asia il verme saltatore, che trasforma foglie morte in fondi di caffè

Rigogliosa foresta relativamente vergine, cercasi nel territorio temperato dell’American Midwest. Quella regione naturalmente equilibrata, ecologicamente tranquilla, dove flora e fauna sopravvivono senza particolari cambiamenti nei reciproci rapporti di correlazione fin dai tempi precedenti alla nostra venuta. O almeno, questo è quello che si dice. Poiché all’ombra dei faggi e degli olmi, degli ontani e degli aceri, qualcosa di spiacevole ha iniziato ad accadere. Proprio alla base degli alti tronchi, dove un tempo crescevano bassi cespugli ed erbe mediche, o attecchivano i virgulti delle prossime preziose ramificazioni, compare sempre più di frequente il suolo scarno e privo d’altri ornamenti, con soltanto qualche timido filo d’erba circondato dalla polvere dei cupi giorni odierni. Situazione, questa, motivata dalla persistenza di qualcuno che continua a esistere non visto, sotto la copertura delle foglie e sotto i suoi svariati centimetri di terra. Strisciando nell’oscurità e l’essenziale consapevolezza, come il Diavolo dei vangeli, di aver convinto l’intera umanità di essere un mero prodotto dell’immaginazione della gente.
Ma Amynthas agrestis giunto dalla Corea e il Giappone esiste davvero, sebbene sia diffusa l’abitudine di attribuirgli un’ampia varietà di nomi. Tra cui verme saltatore, verme serpente o Alabama jumper, terminologia particolarmente utilizzata quest’ultima dai pescatori dell’omonimo stato, per tutti quegli anellidi che si mostrano capaci di agitarsi più a lungo, riuscendo ad attirare verso l’amo i migliori tesori pinnuti delle profondità lacustri e/o fluviali. Sebbene stiamo parlando, nella realtà dei fatti, di creature appartenenti a una famiglia tassonomica nettamente distinta e piuttosto vasta, quella denominata Megascolecidae originaria dell’Asia Orientale e dell’Australia, con significative differenze morfologiche rispetto al tipico lombrico di provenienza europea, fino alla disposizione degli organi stessi all’interno del suo corpo tubolare. Esteriormente, quindi, l’animale presenta una lunghezza generalmente inferiore ma un corpo tozzo, con un vistoso clitellum bianco (ghiandola impiegata per la protezione delle uova) a un terzo della distanza dalla testa, che spicca sul colore rossastro di una forma per il resto ragionevolmente ordinaria. Mentre qualcosa di più nettamente diverso appare evidente nel momento in cui si tenta di afferrare, o in qualsiasi altro modo si disturba il verme: poiché piuttosto che reagire agitandosi o tentando di strisciare via, la specie in questione presenta la capacità di sobbalzare con violenti sussulti paragonabili a quelli di un serpente a sonagli, qualche volta lasciando dietro di se la coda e tentando letteralmente di terrorizzare la percepita minaccia cogliendola di sorpresa. Una reazione sottilmente inquietante che nei fatti anticipa la natura molto problematica di tali creature, capaci di rovinare in modo irrimediabile il sistema ecologico alla base della rigenerazione vegetativa. In forza della loro propensione alla voracità, per non parlare dell’indole aggressiva che gli permette di scacciare via letteralmente tutti gli altri tipi di verme, riservando solamente a loro stessi quell’intero spazio vivente che riusciva un tempo a perpetrare se stesso.
Poiché la propagazione del verme pazzo, in costante crescita nell’intera parte settentrionale degli Stati Uniti, può essere facilmente rilevata attraverso la presenza di un diverso tipo di terriccio, secco e di colore assai scuro, totalmente incapace di fornire nutrimento a qualsivoglia tipo di pianta. Il cui aspetto, convenzionalmente, è stato paragonato ai residui che fuoriescono dalla caffettiera, ogni qualvolta si procede per riporla prima dell’utilizzo successivo…

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Il canto ipnotico delle donne alle origini del grande filo di Scozia

Uomini coraggiosi, naviganti esperti, pescatori consumati. Per coloro che ogni giorno visitavano i recessi ondosi del Mare del Nord, al largo delle Ebridi Esterne, la storia aveva riservato una particolare uniforme. Capace di garantire al tempo stesso protezione dalle intemperie e un apprezzabile ricordo di quel mondo al di là delle distanti coste, capace di spronarli a mantenersi sani e salvi fino alla stagione del proprio stanco ritorno. E composta delle giacche, i cappelli e i guanto fatti di quel materiale ineccepibile chiamato in lingua gaelica clo mor; stoffa “grande” o “forte” a seconda del linguista interpellato sul significato delle parole. Un panno tanto impermeabile quanto isolante, morbido eppure resistente, sostanzialmente indistruttibile da parte di qualsiasi fattore atmosferico ed esterno. Tanto che sarebbe stato lecito, dal punto di vista di noi moderni, dubitare che fosse ancora effettivamente il frutto del pelo della pecora, sostanza alla base di tanti indumenti moderni, tuttavia dotati di una misera frazione di quella possenza. Vedi l’apprezzata pura lana vergine, per cui basta un lavaggio alla temperatura inappropriata, oppure col pH dell’acqua troppo alcalino, o ancora un’asciugatura inappropriata dopo aver preso la pioggia, per andare incontro alla rovina difficilmente rimediabile del cosiddetto infeltrimento, causando l’aderenza e sovrapposizione delle fibre dai fili a scaglie, con conseguente compattatura e solidificazione delle stesse. Un ammasso che… Non veste, non abbellisce, non produce più alcun senso duraturo di decoro. Eppure… Strano a dirsi: quest’idea omni-pervasiva che le cose Funzionali possano non essere anche Belle, in maniera chiara ed innegabile, è una fondamentale derivazione dei tempi moderni, tanto che già all’epoca degli antichi Romani l’infeltrimento intenzionale della lana veniva praticata da un’intera classe professionale di schiavi e liberti, presso gli istituti chiamati fullonicae, di cui 39 esempi sono stati collocati a Pompei prima dell’eruzione di quel fatale 79 d.C. E la tradizione avrebbe avuto seguito, nella successiva epoca medievale, in tutto il territorio europeo incluse le isole inglesi, se è vero che a quest’epoca risale il detto “Essere [come] sospesi a un tenterhook” riferendosi a chi si trova paralizzato dall’incertezza come in un certo senso, i tessuti infeltriti e posti a tendersi per evitarne l’eccessivo rimpicciolimento sull’omonima struttura lignea simile a una cornice. Prima ancora e coerentemente all’invenzione di una simile tecnologia, e sicuramente anche dopo per l’effetto delle possenti convenzioni sociali, in quelle terre settentrionali di Scozia ed Inghilterra, inclusa l’isola di Man, continuò ad essere messo in atto un metodo altrettanto valido nel raggiungimento di un simile scopo. Benché richiedesse un impegno pratico decisamente superiore, assieme alla sapienza e dedizione tramandata lungo innumerevoli generazioni di nonne, madri e figlie. Quel sistema gestito collettivamente del waulking (follatura) in cui tempi e modalità venivano dettati dal canto collettivo di specifiche narrazioni, talvolta festose, certe altre malinconiche o tristi, così come erano soliti fare durante le proprie operazioni quegli stessi marinai al di là del mare, destinati ad indossare il valido prodotto di una tale perizia tessile acquisita nel corso degli anni trascorsi.
La tipica canzone scozzese in lingua gaelica utilizzata durante la follatura possiede perciò una struttura ben precisa, così come il piano logico della sequenza necessaria a poter dire compiuta l’impresa, che prevede la battitura sistematica del panno, precedentemente immerso in acqua e liscivia al fine di predisporre la desiderabile trasformazione. Con una capofila, generalmente la donna più anziana e venerabile, che espone la strofa iniziale, affinché le altre partecipanti comunitarie possano rispondere secondo le modalità di un canone già largamente acquisito. Tali canti, che parlavano spesso di amori più o meno corrisposti, lunghi viaggi, celebri leggende o le gioie della vita famigliare venivano perciò scelti in base al vezzo del momento, sebbene esistesse una precisa regola che non poteva mai essere violata: la ripetizione di un brano nel corso di una singola sessione avrebbe, infatti, suscitato l’ira delle Ioireag, esponenti del popolo fatato che si riteneva giungessero al fine di osservare durante lo svolgimento del lavoro. Il che fu alla base della progressiva differenziazione ed il conseguente accrescimento di un canone ancora oggi mantenuto vivido e vibrante…

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