I grandi cavalli bronzei di Nic Fiddian Green

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A Londra, vicino Hyde Park, c’è una testa di cavallo alta 10 metri. La sua figura tranquilla ed imperturbabile sembra quasi sospesa nel tempo mentre si abbevera in una polla invisibile, ma non per questo appare statica nella sua essenza o in qualche misura priva di movimento: come fosse la perfetta rappresentazione di un’idea, questo scorcio del nobile quadrupede pare pronto a sollevarsi da un momento all’altro, ritrovare un corpo e scattare in velocità verso l’orizzonte, in cerca di un un eroe o un condottiero ancora privo di cavalcatura. Questa scultura di bronzo è opera di Nic Fiddian Green, artista originario dell’Hampshire e laureato a Wimbledon che ha sempre vissuto con i cavalli, scegliendo di renderli soggetto principale della sua arte dopo aver visto le celebri sculture del Partenone in mostra al British Museum. I suoi materiali preferiti sono il bronzo ed il piombo, che lavora con l’antica tecnica della cera persa nelle grandi fonderie della regione di Liverpool, mentre il suo modello preferito è ormai da anni l’amato corsiero George. Le sue opere più famose si trovano nelle campagne del Sussex, a Dublino ed anche in Italia, di fronte Castello di Reschio in Umbria. Le espressioni non monumentali della sua produzione scultorea vengono frequentemente richieste per importanti mostre a Londra, New York e Sydney.

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Bestie infuocate su tele di cenere tenebrosa

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Fulvio di Piazza dipinge quadri ad olio post-apocalittici di pietra lavica, fuoco vermiglio e nubi venefiche di polvere cinèrea. I suoi paesaggi viventi sono figure animali ed umane dalle forme contorte, bitorzolute, spropositate; la poca terra calpestabile ancora inanimata di questi mondi distopici spunta con fatica in mezzo al caos generato da terremoti geo-distruttivi, fenomeni metereologici immani o terribili guerre mondiali… Visioni praticamente indescrivibili, ma rappresentate con una cura estrema dei dettagli, quasi ermetica nei suoi significati quanto nelle forme labirintiche che va a delineare, stranamente coinvolgenti ed affascinanti nella loro spaventosità. L’ispirazione per tali figure infernali va ricercata nel fascino dell’autore per un trattato di economia del 1980, Entropy di Jeremy Rifkin, che tentava di stabilire una relazione tra il declino inevitabile dei processi termodinamici e la società umana. Ecco dunque che il sangue diventa inarrestabile roccia liquida, la pelle duro basalto e gli occhi – organi di acquisizione della conoscenza – pericolose braci incandescenti. Ma tutto è doverosamente rovinato ed irrecuperabile, come ci viene imposto da questo universo di leggi fisiche tristemente degenerative a cui niente e nessuno può sottrarsi, neanche la mente razionale dell’uomo.

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Collezioni satellitari di parcheggi, piscine, centrali nucleari…

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Una chiave di lettura interessante per le centinaia di migliaia di foto che compongono il giga-mosaico fotografico chiamato Google Maps: le cose e gli edifici che costruiamo ci descrivono come umanità ed al tempo stesso non potrebbero esistere senza di noi, ma lo sfondo della natura le sovrasta e le racchiude. Usiamo dunque i satelliti per isolarle e studiamole dall’alto per ciò che veramente sono. L’artista lascia a noi il compito di trarre una conclusione, se pure lo vogliamo e ne sentiamo il bisogno. Di certo il risultato estetico di queste composizioni cumulative è singolare, riuscendo a catturare in pieno l’attenzione dell’osservatore.

Jenny Odell è nata a San Francisco ed ha studiato design a Berkeley. Le sue creazioni sono state recentemente esposte allo Yerba Buena Center for Arts, nel quartier generale di Google e durante il festival di fotografia francese Les Rencontres d’Arles, in Provenza.

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Levi Van Veluw, l’artista olandese che trasforma la figura umana

L’installazione di Levi Van Veluw LOrigine dell’Inizio rappresenta una scena della sua infanzia. Cinque persone sedute ad un tavolo, completamente ricoperte di tasselli di legno scuro, interpretano lui, suo padre, sua madre, suo fratello e sua sorella. Lo scenario astratto e slegato dalla realtà suggerisce alienazione, mentre le tonalità scure e l’infinita ripetizione del motivo di fondo vogliono simboleggiare la sua incapacità di trovare un posto nella struttura familiare. Questo mosaico ligneo “vivente” si compone, tra scenario e figure umane, di oltre 30.000 fra blocchi, snodi e superfici di appoggio.

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