Due burloni si trasformano in statue d’arte moderna

Doug and Michael

Nella Saatchi Gallery e nel Tate Modern di Londra sono state recentemente esposte, almeno fino all’intervento della sicurezza, due opere d’arte nate da un raro tipo di processo creativo, del tutto accidentale: intitolate ufficiosamente “Doug” e “Michael”, si presentavano con l’aspetto di individui in camicia e cravatta, dagli occhi chiusi e con pallina gialla in bocca. Persone vere piuttosto che sculture iperrealistiche, all’insaputa dei molti visitatori presenti in quel momento nelle due gallerie, sono stati trasformati nel soggetto principale di innumerevoli fotografie e approfondite discussioni. Cosa avranno detto su di loro? Ma soprattutto, che avremmo pensato noi?
Perché al principio l’arte è movimento, dinamismo, vitalità. Nasce con un sentimento fantasioso che esplode dalla mente e scorre nelle mani del creativo, assumendo attraverso i suoi gesti forma materiale, affinché altri possano trarne giovamento e goderne a un qualche livello intellettuale. Ma al termine del lungo attimo della sua generazione, posato il pennello o gli strumenti da scultore, l’opera d’arte resta immobile e stazionaria, preservata in eterno come un fossile pietrificato o il manoscritto di un’irripetibile dottrina, soggetta da quel giorno allo scrutinio della sua posterità. Più di una persona è stata trascinata a sua insaputa dal vortice variopinto dell’arte: se non vuoi essere il creatore, diventi tu la creazione. Non potete renderla ridicola senza commentarla in un qualche modo, belle statuine. Ora fermi che vi faccio anch’io la foto.

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L’artista giapponese che crea immagini dalla scrittura

Kaoru Akagawa

L’arte digitale ci ha insegnato che tutte le immagini presentano un aspetto imprescindibile e costante: la scomponibilità. Le rappresentazioni visuali di ogni tipo, infatti, possono venire suddivise in parti sempre più piccole e per nulla indipendenti. Settori, dettagli, puntini e infine pixel, la loro frazione minima e più indivisibile; ciò che potrebbe definirsi l’atomo della grafica, almeno quando s’impieghi il microscopio di un PC. Kaoru Akagawa sfida questa definizione con la sua particolare versione della pittura tradizionale giapponese, in cui le figure vengono assemblate gradualmente non più da singole frazioni prive di significato, ma con sequenze di lettere e parole della sua lingua; il metodo prevede sostanzialmente file verticali dell’alfabeto hiragana, disposte ad arte e dal tratto più o meno spesso a seconda dei casi, in grado di comporre mediante l’impiego esperto della loro forma naturale le linee riconoscibili di fiumi, foglie, strade… Persino la famosa grande onda di Hokusai. Si tratta della più originale unione tra antiche tradizioni e sensibilità moderna. Lo stile inconfondibile dello shodō che incontra quello dell’arte figurativa, usati insieme per creare ciò che lei stessa definisce sul suo sito, con un neologismo multilingua, Kana de l’Art. O per usare il nome del canale di YouTube che ospita il video, vera e propria avant-garde.
Un tipo di creazione che, a mio parere, si potrebbe giungere a identificare come una più meritevole ASCII art, la procedura informatica diventata celebre agli albori di Internet, che si usa per creare immagini con le sole lettere della tastiera. Ma trasferita totalmente in un mondo fisico e tangibile, fatto di inchiostro, pennello e un singolare quanto affascinante talento individuale.

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L’esperto calligrafo di Istanbul si mette al lavoro

calligrafia_Instanbul

L’arte della scrittura ha la capacità unica di rappresentare chiaramente il suo stesso metodo di creazione. Il processo mentale all’origine di una grafia particolare o elaborata si attiva infatti non solo nel momento psicologicamente significativo della firma in prima persona di un disegno o documento, ma anche qualora si decida di prendere attenta visione dell’opera altrui, cercando di visualizzare chiaramente i singoli passaggi necessari al suo completamento. Tutti abbiamo tenuto in mano una penna con lo scopo, almeno in determinate occasioni, di creare un qualcosa di esteticamente proporzionato e gradevole: per questo possiamo ben capire, almeno in linea di principio se non talvolta in senso pratico, come nasca e venga ultimata una qualunque opera calligrafica. Una sensazione già di per se coinvolgente e significativa, che qualora si abbia la fortuna di vedere l’artista al lavoro non può che uscirne ulteriormente rafforzata. Come nel caso di questa dimostrazione finalizzata probabilmente alla vendita, messa in atto da un artigiano di Istanbul impegnato a scrivere per un cliente del suo negozio la parola italiana cambiare, impreziosendola con il più ricco e affascinante repertorio di complesse decorazioni.

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Il mini-grattacielo creato con la grafica 3D

Vermeersch

L’utilizzo di macchinari a controllo numerico e dispositivi automatici per la produzione di alta precisione, un tempo appannaggio esclusivo di catene di montaggio e grandi realtà aziendali, grazie al progresso tecnologico sará presto un aspetto quotidiano della nostra vita. Così come la stampa digitale, ormai messa in pratica in tutte le case attraverso diffuse quanto economiche periferiche informatiche ha modificato (cartucce d’inchiostro a parte) il valore percepito delle creazioni tipografiche e pubblicitarie, i teorici non esitano a intravedere nelle sempre più popolari stampanti a estrusione e deposizione l’affermarsi futuro di una nuova rivoluzione industriale, non più creata da ingegneri specializzati e autorevoli fabbriche ma sfornata pezzo per pezzo, modello tridimensionale per creazione tangibile, dal nostro comune PC. Nessuno ancora sa se veramente un giorno tutti noi potremo “scaricare” soprammobili, modellini o parti di ricambio, producendoli semplicemente tramite l’applicazione tecnologica di polimeri e resine solidificate ma una cosa è certa: ciò che è virtuale, se veramente lo merita, fin d’oggi può assumere forma materiale e occupare a pieno merito le sale di un museo. Come nel caso del piccolo grattacielo PX-T-13, opera prima del grafico e artista olandese Pieter Léon Vermeersch.

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