Perché non è ripetibile, perché è inaccessibile, perché richiede una preparazione particolarmente lunga ed elaborata: molte sono le ragioni che determinano, da sole o tutte assieme, il costo complessivo di un’esperienza. E poi ci sono i casi in cui semplicemente il tipo di risorse utilizzate, ovvero l’impianto tecnologico da usare nelle circostanze di giornata, risulti essere semplicemente tanto complesso, e frutto di un complicato processo ingegneristico di posa in essere, da necessitare l’investimento di una somma significativa di denaro. Di sicuro, in qualsivoglia generazione antecedente a questa, la prospettiva d’immergersi 100, 500 o 1.000 metri al di sotto della superficie del mare comodamente seduti entro una bolla trasparente di polimetilmetacrilato sarebbe sembrato possibile soltanto per gli appartenenti a determinate organizzazioni scientifiche o militari, indipendentemente dal numero di zeri presenti nel proprio conto in banca. E fu proprio questa la ragione che avrebbe portato, verso l’inizio degli anni 2000, il capo della compagnia olandese Exact Software Bert Houtman ad accordarsi con l’inventore canadese Peter Mitton, per la creazione di quello che sarebbe diventato celebre, di lì a poco, con il nome di C-Quester. Compatto battello in stile Batmobile a due posti completamente sigillato e dotato di un sistema di propulsori e una cassa di zavorra, capace d’inabissarsi e ritornare in superficie a comando. Il tutto accompagnato da due caratteristiche che sarebbero rimaste, attraverso gli anni, un fondamentale caposaldo di questa particolare linea di apparecchi: la disposizione di tutti i componenti da un’unico lato, al fine di massimizzare la visibilità attraverso la forma sferoidale della cabina, e la semplicità dei comandi. Entro il 2005 quindi, realizzate le potenzialità commerciali di quanto aveva creato per il proprio personale divertimento, Houtman terminò il proprio sodalizio extra-curricolare, decidendo di fondare piuttosto la compagnia U-Boat Worx. Ora, sarebbe ragionevole argomentare come una realtà commerciale basata su un prodotto tanto fuori dalla norma come veicoli subacquei ad uso privato possa occupare una nicchia tanto specifica da risultare economicamente disfunzionale, benché risultare gli unici all’interno del proprio campo, generalmente, conceda margini operativi che permettono di rimanere a galla (a meno che si desideri l’opposto, splash!)
Problematica che d’altra parte, tende ad essere immediatamente superata nel momento in cui si sceglie nel proprio stile comunicativo di rivolgersi al mercato del lusso, in cui le cose tendono a costare molto non soltanto in funzione di ciò che sono, bensì anche del prestigio inerente del proprio possesso e possibilità d’impiego esclusiva nella maggior parte delle circostanze idonee a rendere indimenticabile il trascorrere di una giornata. Ecco dunque come, dopo la realizzazione delle prime versioni commerciali 1 e 2 del C-Quester e una prima linea di mezzi dedicati all’uso con finalità scientifiche tra il 2010 e il 2014, il timoniere della U-Boat Worx ha realizzato quello che sarebbe stato il suo mercato ideale futuro: la costruzione di sommergibili compatti, finalizzati all’inclusione nella stiva dei più grandi palazzi galleggianti dei super-ricchi di questo umido pianeta…
olanda
L’incredibile micro aeroporto dell’isola caraibica di Saba
400 metri, in termini generali, non sono pochi. Ma 400 metri per far fermare due o tre tonnellate di alluminio, dotate di un carrello retrattile ed un paio di potenti motori a turboelica, ecco…. “Nessun aereo potrà mai atterrare all’ombra del vulcano Mount Scenery, punto più alto dell’intero territorio d’Olanda” era l’opinione diffusa a quei tempi, benché, 1 – L’Olanda sia piuttosto piatta e in genere, anche per questo, piena d’aeroporti e 2 – Essa risulti generalmente priva di attività freatico-magmatica capace di minacciare le condizioni per la messa in pratica del volo a motore. Punto di vista destinato a trovare una smentita, indiscutibile da chicchessia, quando l’aviatore inglese Rémy de Haenen nato da madre francese e padre olandese fece una trionfale apparizione dall’abitacolo del suo idroplano Vought-Sikorsky OS2U, appena atterrato presso la laguna di Fort Bay in quel fatidico giorno del 1946. Il che ci lascia l’opportunità di fare caso, d’altra parte, a come questa specifica parte dei Paesi Bassi non si trovi affatto in Europa, costituendo piuttosto l’isola di 13 chilometri quadrati posizionata tra le Piccole Antille e il territorio non incorporato di Puerto Rico, là dove i pirati dei Caraibi, un tempo, imperversavano dettando la loro personale interpretazione delle leggi del mare. Ma l’acqua cessa di gravare con il proprio peso e i limiti circostanziali sopra l’uomo, nel momento in cui quest’ultimo, librandosi, riesce a sollevarsi verso l’obiettivo di una meta chiaramente determinata, all’altro capo di un tragitto chiaro e funzionale allo scopo.
Un’opinione almeno in apparenza condivisa, di lì a poco, dagli stessi membri del concilio dell’isola con potere decisionale, convinti dallo stesso Haenen e l’appaltatore Jacques Deldevert che una pista d’atterraggio avrebbe potuto trovare collocazione, grazie a un ragionevole intervento paesaggistico, presso il sito di Flat Point, solida e pianeggiante sezione del territorio costituita dalla lava solidificata di una qualche eruzione in epoca non sospetta, ben presto livellata e ripulita dalla vegetazione. Così che proprio qui, entro il 9 febbraio del 1959, l’eroe straniero potesse atterrare di nuovo, questa volta a bordo di un aereo di tipo convenzionale e di fronte alla testimonianza appassionata di una parte significativa di tutti degli abitanti dell’isola di Saba. Ma l’impresa venne giudicata dal consenso pubblico, sostanzialmente, come pericolosa e inutile, portando i politici a vietarne qualsivoglia ripetizione fino al 1962. Mutevole è del resto la morale pubblica, come il soffio di quel vento che spostava innanzi le navi, così che in quell’anno fondamentale, con l’avvicinarsi delle elezioni alla carica di governatore, la questione di fornire una pista d’atterraggio per il popolo in presunta attesa diventò una questione di primo piano, entrando a far parte del programma politico di Juancho E. Irausquin, in quell’epoca ministro delle finanze delle Antille Olandesi. Così che quando il governo situato all’altro capo dell’Atlantico decise, come parte di un programma di rinnovamento per il proprio intero territorio caraibico, di stanziare la cifra non indifferente 600.000 guilders, Irasquin non poté fare altro che investire la sua parte per l’ampliamento e il perfezionamento della pista “inutile” di Flat Point. La quale ricevette, nell’ordine: un manto asfaltato totalmente pianeggiante, una piazza di parcheggio e manovra con tanto di taxiway, un eliporto e una torre di controllo in realtà facente funzioni più che altro di punto di osservazione elevato e persino un vero e proprio terminal, destinato a ricevere il nome dello stesso visionario che per primo aveva creduto in questa possibilità, l’aviatore Haenen. Fatto ironico e inaspettato, tuttavia, fu che in tutti i documenti ufficiali e i testi di decreto, a causa di un errore di battitura, tale infrastruttura fosse ad essere identificata nella sua totalità sulla base del committente Yrausquin con la lettera “Y” al posto della “I”, appellativo erroneo che porta tutt’ora. Benché nessuno abbia dimenticato, di contro, l’eccezionale contributo dato da quest’ultimo a vantaggio della vita e del turismo locale, nonostante a seguito della sua dipartita, nel 1962, sarebbe stata sua moglie a tagliare il nastro dell’aeroporto…
Artista dimostra per gioco la lentezza stratosferica dell’Universo
Se soltanto a causa di un fenomeno imprevisto, tra 14 milioni di anni, ogni atomo d’idrogeno dell’universo iniziasse a replicarsi come cellule viventi… Causando l’istantanea crescita, seguita dal collasso, di una quantità spropositata di astri cosmici…. E se tali e tante stelle, raggiunto l’iperboreo stato di una supernova, sprigionassero all’unisono quell’energia magicamente convogliata nell’esecuzione di un singolo gesto, azionare la macchina nella maniera auspicata… Allora forse, molto lentamente, l’ultima di quelle ruote girerebbe di uno, due o tre gradi! Niente più di questo. E niente meno di un tale miracolo sarebbe sufficiente a farlo capitare, poiché, come spiega il costruttore di un simile attrezzo, “Scientificamente parlando, tale possibilità è inesistente.” E saremmo in molti a questo punto a collocare idealmente Daniel de Bruin in qualche monumentale laboratorio di ricerca all’interno di una struttura simile a Black Mesa, semi-sepolta nelle sabbie dei deserti nordamericani. Magari uno scienziato veterano dal candido camice e capigliatura, gli occhiali protettivi, circondato da un’equipe di sicofanti in grado di rivaleggiare con quelli di un film di James di Bond. Invece che un giovane artista olandese, telecamera alla mano, del variopinto e variegato mondo creativo di YouTube. Niente mezzi o materiali d’irreperibilità estrema: perché un oggetto come questo, dopo tutto, rappresenta sopratutto un potenziale irrealizzato, piuttosto che una materiale casistica dei nostri giorni. Il che permette, come appare molto chiaro, di usare almeno in parte lo strumento della fantasia.
“Macchina inutile” d’altronde, non può che essere un concetto sopravvalutato. Sebbene questa riesca ad andarci veramente vicino: soddisfacente susseguirsi di 100 ruote d’ingranaggio grandi e piccole, ciascuna in grado di ridurre il movimento in un fattore di 10 a 1. Verso la crescita esponenziale, e proporzionale rallentamento, della forza messa in moto dal funzionamento del motore originale. Alla prima delle due estremità. Ed all’altra? Bé volendo essere schietti, non avremo modo di vederla muoversi prima di “qualche” tempo. Ovvero, secondo i calcoli di Daniel, l’intero trascorrere di 3 o 4 secondi (tempo necessario perché la prima ruota compia un’intera rotazione) elevato a un googolione di volte. Forse già conoscerete questo numero, nominato per la prima volta dal matematico Edward Kasner nel 1938: stiamo parlando, nei fatti, di un “uno” seguito da cento zeri. Non esattamente un ordine di grandezza a cui gli esseri umani sono abituati a pensare… In un’iniziativa che potremmo chiaramente associare a quello di un artista contemporaneo, sebbene abbia l’evidente desiderio di essere associato a un tipico gioco memetico di Internet, come la scatola che preme il suo stesso interruttore on/off a seguito di ogni avvenuta attivazione, tramite l’apposito “dito meccanico” nascosto all’interno. Con un peso ed un significato filosofico, tuttavia, sensibilmente più profondi…
Il modello sperimentale in scala che ha permesso di asciugare l’Olanda
Essere un albero può in taluni casi implicare, nonostante la lunghezza della propria legnosa esistenza, un senso improvviso di smarrimento. Come quando la regione confinante di una foresta, senza nessun tipo di ragione apparente, passa dal suo stato acquatico di bagnasciuga ad un terreno fertile perfettamente pronto da colonizzare, ove i propri semi, imprevedibilmente, riusciranno finalmente a crear la vita. Terra reclamata, terra conquistata e per il popolo del tutto liberata, da pesci, cefalopodi e molluschi. Che in queste regioni prende il nome di polder, ovvero un tratto “asciugato” mediante l’impiego di speciali tecniche… Olandesi. Il cui nome è Zuiderzeewerken, riferito ad un complesso sistema di dighe e canali mirato a far sparire l’umida entità del Lago Flevo, diventato un golfo dopo la scomparsa del tratto di dune nel XIX secolo, presso queste stesse terre ove si estende, oggi, il Voosterbos. Ma probabilmente ancor più degno di stupire gli alti vegetali, in quel frangente, siamo in grado d’identificare l’ampia serie di strutture (circa 10 Km di estensione) costruita in mezzo agli antichi e nuovi tronchi della suddetta foresta, simili a bacini artificiali dalle dimensioni stranamente contenute, canali dagli alti argini in cemento ed altre amenità di tipo idrico dalla funzione non chiara. Detti complessivamente Waterloopbos, una filiale del Waterloopkundig Laboratorium, ente pubblico che dal 1953 ricevette un compito particolarmente significativo: difendere le antiche e nuove regioni dei Paesi Bassi dall’assalto di un qualcosa che da sempre scorre e si propaga, per l’appunto, verso il basso. Acqua, niente meno. Fluido che qui venne indotto a scorrere, sfruttando il posizionamento naturalmente al di sotto del livello del mare di un simile tratto del paesaggio, sotto l’occhio scrutatore di una lunga serie d’ingegneri e scienziati attentamente selezionati al fine d’impedire che potesse mai ripetersi il tragico disastro di gennaio di quell’anno, consistente nella tracimazione del Mare del Nord a seguito di una forte tempesta, diventato all’improvviso capace d’invadere innumerevoli polder con la morte di 2.551 e danni economici d’entità grave. Come progettare, in quei drammatici momenti, un qualcosa che potesse riprendere i Zuiderzeewerken ma su scala ancor più grande, chiudendo letteralmente ogni possibile via d’accesso alla furia umida degli elementi, in un’epoca in cui gli strumenti simulativi a disposizione risultavano inerentemente limitati dal progresso tecnologico, e soprattutto informatico, dei tempi? La risposta è chiaramente prevedibile, ritengo, a questo punto e consiste per l’appunto dell’implicita predisposizione dell’acqua a reagire, indipendentemente dalla scala che si prende in considerazione, sempre più o meno allo stesso modo. Come primo passo del progetto, definito in lingua olandese Deltawerken (Progetto Delta) si decise quindi di ricreare la situazione strategica di una simile guerra uomo/mare, proprio all’ombra delle fronde verdeggianti del Voosterbos. Creando nei fatti un sistema sperimentale privo di precedenti all’epoca, presso cui il personale del laboratorio ebbe modo di testare, oltre all’esigenza urgente dei suoi compiti principali in Olanda, nuovi miglioramenti proposti ai porti internazionali di Lagos, Rotterdam, Bangkok e Istanbul. Superato quindi dall’introduzione delle simulazioni digitali, il complesso modello in scala sarebbe stato abbandonato a partire dal 1995, anno a seguito del quale, in maniera lenta ma inesorabile, il bosco stesso avrebbe cominciato a riprendersi tali spazi, ricoprendo di muschi e radici le grige strutture di cemento…