Avevano promesso alle mie pinne una vasca senza pareti, ma alghe. La terra mistica dove ogni desiderio può trovare realizzazione. Una distesa sabbiosa e simile, per molti versi, al Paradiso. Ciò che i pesci mentitori non avevano incluso nei loro muti aneddoti, era la sensazione paralizzante d’attraversare una scarica elettrica a media tensione. Né i suoni terrificanti anteposti a una membrana di bolle omicide. Seguita da una desolante distesa di cemento sommerso, senza nascondigli o validi pertugi per tentare di riprendere fiato. Sotto ogni punto di vista rilevante, l’Inferno di noi carpe, verso nessun tipo di certezza finale. E tutto ciò che avremmo potuto rappresentare per coloro che possiedono il potere, se soltanto avessimo posseduto le stesse colorazioni attraenti e variopinte dei nostri cugini domestici, quelle attraenti, vanesie appartenenti alla categoria dei Koi.
Passaggi che collegano le parti separate di un insieme, i fiumi di un paese, particolarmente se numerosi e interconnessi tra di loro, non differiscono in maniera concettuale dal sistema circolatorio di un organismo biologico di questo mondo. Totalmente imprescindibili per quanto concerne il transito delle creature contenute all’interno, come infrastrutture necessarie per l’effettivo mantenimento in essere del sistema ecologico vigente. Svolgendo la funzione di sentieri, tuttavia, essi costituiscono al tempo stesso il potenziale di elevare in senso esponenziale un problema sfortunatamente presentatosi ad un punto qualsiasi della loro estensione. Vista la capacità di raggiungere, nella nostra analogia, gli organi preziosi di un’intera regione geografica rimasta precedentemente intonsa. E cosa dovrebbe rappresentare, in effetti, il maestoso complesso dei cinque Grandi Laghi nordamericani all’interno di una simile analogia? Un polmone? Il fegato? Il cervello del continente? Ad ogni modo un qualche cosa d’importante. Che ormai da tempo rischia di essere contaminato, in modo irrisolvibile, da un parassita deleterio delle circostanze. Potendo quindi agire alla maniera di una letterale rampa di lancio, ai danni del reticolo di fiumi situato oltre il valico di questo potenziale paradiso delle forme vita. Naturalmente occorse e da sempre appartenenti a questi luoghi oppure… No. Di sicuro avrete già presente, a tal proposito, il dramma storico e internazionale della cosiddetta “carpa asiatica”. Una gestalt di specie in realtà, costituita da circa una decina di varietà distinte, giunte oltre l’Atlantico a seguito della malcapitata iniziativa d’introdurle per pulire dalle alghe determinati bacini idrici facenti parte dei copiosi labirinti del Mississippi River. Per poi scoprire, con estremo senso di sorpresa, come non sarebbe bastato qualche intraprendente pellicano e l’occasionale orso di passaggio per riuscire a contenere la prolifica genìa di pesci capaci di raggiungere il metro e sessanta di lunghezza e i 35 Kg di peso. E dunque, adesso, eccoci qui. Con i primi esemplari facenti parte di quel gruppo che iniziano a fare la loro comparsa, a mesi o settimane di distanza, nelle acque strategicamente deleterie del lago Michigan, che rappresenta il punto di svolta per il proseguire della loro drammatica espansione. E tutto a causa in modo particolarmente rilevante, così e stato determinato, di un singolo segmento della rete idrografica costruito, per di più, dalla mano malcapitata dell’uomo: il Chicago Sanitary and Ship Canal, utilizzato fin dall’anno 1900 dall’omonima città per drenare l’eccedenza della propria rete fognaria. Un’impresa che avrebbe richiesto, tra le altre cose, l’inversione del corso del fiume Chicago, costituendo l’essenziale base della questione. Perché le carpe, come innumerevoli altri pesci di fiume, AMANO andare in senso contrario alle scorrere di quegli umidi sentieri…
laghi
Por-Bazhyn, piccola Città Proibita sull’isola più misteriosa della Siberia
Come il vento che percorre gli ampi spazi delle steppe, molta è la saggezza che accompagna i miti e le leggende dell’antico popolo Tuvano. Inclusa la distante narrazione che risiede nella storia del khan Elchigen-kulak “Orecchie d’Asino”, tanto infastidito dal suo soprannome che non era solito rimuovere mai l’elmo dalla sua testa. E che arrivò a condannare a morte la persona incaricata di essere il suo barbiere, soltanto perché aveva momentaneamente sollevato le sue palpebre durante il lavoro. Ed ancor più rilevante a questa trattazione, l’altra vicenda collegata all’ignota epoca del suo regno, secondo cui egli avrebbe costruito una fortezza in prossimità di un pozzo nella valle dello Yenisei. “L’acqua è un bene!” Avrebbe detto, per poi aggiungere, poiché non terminava di sgorgare: “Teri-nur bolchi!” (È diventata un lago!) Strano, incerto fenomeno. Verificatosi in misura tanto significativa, da riuscire a generare un bacino idrico che attualmente si estende per 295 Km quadrati, nel vasto lago montano di Tere-Khol. Situato proprio lì, al confine tra Russia e Mongolia, incredibilmente lontano da ogni significativo insediamento o altro luogo costruito da mano umana. Il che contribuisce ulteriormente a rendere inqualificabile la distintiva rovina rettangolare, annotata per la prima volta nel quaderno di viaggio del 1701 “Libri di disegno della Siberia” del figlio del boiardo Tobolsk Semyon Remezov. Ultimo residuo appena in grado di presentare una facciata in senso verticale, situato sopra un’isolotto poco più estensivo dei suoi 215×162 metri, dislocati in ciò che resta di due grandi cortili, un portale monumentale, alcuni edifici circondati da una cinta muraria. Risulterebbe più difficile, tuttavia, restare del tutto senza parole finché non si nota l’effettiva pianta del complesso, così distintamente prossima all’ideale disposizione della città cinese. Ecco in questo luogo, in altri termini, la perfetta rappresentazione in scala di ciò che avrebbe anche potuto essere un complesso monumentale poco a meridione della Grande Muraglia. Così ricostruito, in base alle esigenze di un popolo di nomadi nel bel mezzo dell’Asia Centrale. Perché? Ottima domanda. Sono in molti ad essersela posta, negli anni.
Il problema del sito diventato celebre come Por-Bazhyn (“Casa di terracotta” in lingua tuvana) è la sua totale assenza di contesto, essendo situato in assenza di ulteriori elementi con cui metterlo in relazione, mancando perciò di alcun accessibile indizio per tentare di stabilire una precisa cronologia. Fatta eccezione per la sempre utile datazione al radiocarbonio, effettuata per la prima volta nel 1957 dall’archeologo russo S.I. Vajnstejn, riuscendo a collocare approssimativamente la struttura nella seconda metà dell’ottavo secolo d.C. Ovvero entro il periodo del sovrano Bayanchur Khan, fiero e bellicoso condottiero del popolo di discendenza turca degli Uiguri, che fu in buona parte responsabile di cementare il vasto territorio controllato in epoca medievale da queste genti. Un’alleanza di nove tribù, con capitale nella città mongola di Ordu-Baliq, che aveva fatto la guerra contro i Kirghizi, aveva sottomesso i Turgesh, i Tatari di Toquz, i Basmyls e si era trovata a collaborare con la Cina dei Tang, per sedare alcune delle più sanguinose rivolte nel corso della sua travagliata storia. Ed al termine dell’ultima di queste feroci battaglie, nel 757, aveva visto Bayanchur tornare in patria assieme ad una principessa di quel Regno di Mezzo, il cui nome in base alle cronache era Ninguo. Colei che avrebbe potuto dare il proprio contributo, in base alle nozioni di cui disponiamo, alla distintiva composizione architettonica del sito di Por-Bazhyn…
La surreale ferrovia che affiora dalle acque di un lago rosa in Siberia
Prezzo del biglietto inusitato, una stazione per lo più invisibile e l’ideale manifestazione di un concetto inquietante. Ultima fermata: quinta o sesta dimensione. Luoghi in cui le regole non contano e immediatamente tendono a sfumare cose come “sopra” & “sotto”, “asciutto” & “bagnato”. Poiché cosa sono dopotutto due dozzine di ruote affiancate, in quello che costituisce nel mondo tangibile la percorribile rotaia verso un obiettivo non del tutto chiaro? Se non millepiedi anfibi, in grado di procedere la dove ferro battuto, e placide lamiere rivettate, non si sono mai potute spingere prima di questo momento. Purché tale forcella temporale sia fatta partire dalla data non recente del diciannovesimo secolo. Quando al lago Burlinskoye, affettuosamente detto Bursol, iniziò ad essere impiegato il treno. Lo strumento niente meno che ideale, per condurre un team di utili raccoglitori fino al punto di rivalsa, in merito alla problematica carenza di sale per condire i piatti preferiti dello Zar. O sua versione femminile; s dice d’altra parte che la stessa Caterina II, già un secolo prima di tale data, potesse tollerare unicamente tale condimento quando estratto dal presente specchio d’acqua, della misura di 31,4 Km quadrati situato a nord-ovest della città di Slavgorod, nella regione di Altai. Un sito dalle molte caratteristiche insolite, tra cui una profondità generalmente inferiore al metro e mezzo, e raramente superiore ai due. Condizione assolutamente ideale, in altri termini, per far passare sotto l’acqua i binari. Sotto l’acqua come nella scena più famosa della Città Incantata di Hayao Miyazaki, in cui il famoso animatore fa salire la bambina protagonista sul convoglio rosso fuoco che pare spostarsi in mezzo alle onde. Ma in realtà poggia molto probabilmente su un sentiero simile a questo, reso del tutto invisibile dalla finzione scenica del cartone animato. Eppure neanche tale fervida mente creativa avrebbe mai pensato di arrivare a tanto, tingendo l’acqua nell’inquadratura del colore che i russi tendono a identificare con il termine малина (malina) la cui traduzione è per l’appunto, lampone. Per la classica difformità cromatica che tende a caratterizzare tanti laghi carichi di sodio ed altri minerali, sebbene qui la causa di una tale caratteristica appaia essere di un tipo per lo più stagionale. Visto come ogni anno, sia soprattutto tra i mesi di luglio ed agosto che il colore emerge misteriosamente dalle acque, destinate a ritornare trasparenti al sopraggiungere del mese ulteriore. Per noi, qualcosa d’incredibile. Per chi abita da queste parti, un segno come un altro dell’arrivo dell’autunno, solito momento grigio e malinconico del calendario…
Di antiche tavolozze dei giganti e laghi taumaturgici nella Columbia canadese
Nessuno sa esattamente quanto possa essere antica la cerimonia curativa degli Okanagan, un rituale condotto periodicamente sotto la supervisione degli anziani, depositari del potere filosofico e spirituale della tribù. Ciò che sembra aver costituito, ad ogni modo, una costante imprescindibile nella pratica di questa circostanza originaria della regione sul confine tra lo stato americano di Washington e il Canada, centrata sulla valle omonima dai 400.000 residenti complessivi, è l’utilizzo del singolo elemento che le credenze locali hanno sempre giudicato responsabile di consentire e preservare l’esistenza umana: siwɬkʷ, l’acqua che compete agli sciamani, responsabili di preservarne la sacralità e purezza soprattutto nel procedere di un’epoca fermamente determinata a farne un’imperterrito sfruttamento. Per quanto possibile e comunque non sfruttando, per ovvie ragioni di contesto, una piccola pozza endoreica come quello di Kłlil’xᵂ (pron. Kliluk) più comunemente detta del lago maculato per il suo aspetto talvolta estremamente caratteristico e distintivo. Una depressione impermeabile vagamente reniforme della lunghezza di 0,7 Km per 0.25 di larghezza, unite a una profondità molto variabile in funzione della quantità di precipitazioni cadute annualmente. Questo per l’assenza, come implica la sopracitata qualifica idrologica, di alcun affluente o emissario, presumendo un ciclo che deriva unicamente dall’accumulo delle acque discendenti dalle colline circostanti e conseguente evaporazione, durante i mesi dell’estate priva di umidità. Periodo in cui, con precisione svizzera ed ineluttabile, il livello complessivo cala fino al punto di lasciare ben visibile una matrice di circa quattrocento pozze dalla forma circolare, ultimo residuo del precedente specchio di superficie. Elementi ben distinti tra di loro perché formano un gradiente cromatico varabile, ciascuna caratterizzata da un colore come il verde, marrone, rosso ed azzurro. Ancor più visibili grazie al fondale fangoso che li circonda con il suo colore biancastro, derivante da un affioramento di significative quantità del sale sottostante. Non c’è quindi molto da meravigliarsi se gli Okanagan, anche detti Syilx o per traslitterazione di epoca coloniale identificati come il gruppo etnico dei Salish, abbiano lungamente attribuito a questo luogo il coinvolgimento in un’ampia serie di miti e leggende, la maggior parte collegate ad una particolare circostanza. Quella di uno spirito superno, antica madre dei processi naturali, che piangendo lacrime amare per la malattia dei propri amati figli le avrebbe lasciate cadere per un anno intero nel bacino del Kliluk, ciascuna delle quali andando a formare una singola delle pozze variopinte del particolare contesto lacustre. Donando ad esse la particolare qualità di agire come cura possibile per una delle malattie della Terra, mediante il tramite di un giusto grado di rispetto spirituale e la capacità di compiervi abluzioni nel modo corretto. Una credenza con più basi logiche e comprovate evidenze, di quanto si potrebbe idealmente essere inclini ad immaginare…