L’esagerazione bucolica del cane scarrozzato in giro sul triciclo dello Yunnan

Come un importante sovrano dell’epoca dei Sette Regni, il “Grande Re” sorveglia l’operato del cocchiere dallo scompartimento sopraelevato del suo maestoso carro vermiglio. La folta chioma al vento, le orecchie protese verso i suoi attraenti della natura, il naso umido orientato rigorosamente nella direzione del vento. La grossa zampa elegantemente appoggiata per sorreggersi alla paratia divisoria, una lingua rosa ben visibile tra le sue fauci semiaperte in un magnanimo sorriso. “Bene, uccelli della foresta. Avete il mio permesso, lucertole che corrono sui tronchi. Oggi Dawang (大王) è felice e soddisfatto, dunque una volta giunto a destinazione, non v’inseguirà fino all’ingresso delle vostre tane.” Parrebbe quasi dire, se non che una volta giunti a destinazione, quando il celebre Dong Chaoyu apre lo sportello posteriore per lasciarlo scendere dal suo veicolo, si scopre come il cane dall’appellativo altisonante sia piuttosto pacifico ed invero, affetto da uno stato semi permanente di rilassamento e pseudo-letargia. Forse per il clima, magari per l’età, possibilmente per la corporatura tozza di un copioso mangiatore dei ben noti manicaretti cucinati in famiglia, l’Alaskan Malamute più celebre dell’Estremo Oriente tende ad aggirarsi con fare flemmatico nelle immediate vicinanze del sito in cui il moderno cocchio è stato parcheggiato, annusando qui e là prima di procedere allo svolgimento dei suoi importanti affari. Dunque con un agile (?) scatto canino, torna sul sedile immaginario del co-pilota, comprensibilmente ansioso di ritornare dalla sua padrona. “Apenjie with Dawang” recita il titolo in inglese del canale, con diretto riferimento alla ragazza occasionalmente nota come Sorella del Secchio (阿盆姐) da un curioso vezzeggiativo usato dal suo giovane cuginetto, con riferimento alle particolari circostanze della nascita di lei, occasione nella quale gli abitanti del villaggio portarono in dono ai genitori, tra le altre cose, un secchio ed un pollo. Così come si usa fare tradizionalmente nella contea di Shidian, provincia di Baoshan, regione storica del Dianxe. Che inerentemente potrebbe anche fornirvi un valido indizio su colei di cui stiamo parlando, con riferimento indiretto a un altro dei suoi molti nomi: Dianxi Xiaoge (阿盆姐) il “fratellino” della suddetta area geografica, nonostante l’assoluta femminilità di aspetto ed argomento della sua ben nota creatività videografica. Sufficientemente articolata ed innovativa, persino nel variegato contesto internettiano, da averla portata dopo il 2016 con i suoi video di cucina sulla cresta dell’onda del moderno movimento cottagecore, generalmente riferito a un certo tipo d’idillio, quasi troppo perfetto e molto amato dalla cultura cinese, della vita di campagna condotta sulla base dei valori e metodi tradizionali. Tutto questo successivamente al suo repentino ritorno in campagna, dopo aver abbandonato il corso di allieva della polizia e una carriera nel marketing a Chongqing, per aiutare il padre affetto da problemi di cuore. Ma la vita all’interno di una metropoli può cambiare sostanzialmente le aspirazioni di una persona. Giungendo ad includere tra esse, causa l’avvistamento di casuale di un esemplare di proprietà all’interno di un parco, la possibile adozione di un grande, grande cane. 71 Kg (120 jin/斤 o libbre cinesi) di bestia proveniente dalle più remote regioni nordamericane, idealmente pronta ed abbastanza forte da occuparsi del traino di una slitta dalle dimensioni sufficienti ad ospitare l’intero nucleo familiare di Apenjie, accompagnati forse anche un paio d’amiche e/o amici. Idealmente…

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Il nuovo re del mango eletto grazie al plebiscito del popolo internettiano

Hanno sempre una colonna sonora scelta in modo del tutto arbitrario, per coprire totalmente un qualsivoglia accenno di effetto sonoro. Questo perché, la maggior parte delle volte, ci si aspetta che li guardi con il cellulare, mentre ti trovi sull’autobus, oppure di nascosto durante l’ora di filosofia o religione. Stesso motivo per cui presentano l’inquadratura in senso verticale, essendo stata ormai lasciata indietro l’idea che lo strumento principe per l’acquisizione d’informazione sia rappresentato dal monitor tradizionale o televisore. Essi rappresentano, se vogliamo, “intrattenimento” puro, nella maniera in cui nessun videogioco portatile, rivista o settimana enigmistica possono più essere per il pubblico generalista, che ha individuato su Internet il modo ideale per trascorrere in spensieratezza i minuti statici e ripetitivi che rallentano l’andamento delle nostre giornate. Grazie a video come questi, provenienti dalle “nuove” piattaforme di Instagram, Tik Tok, Facebook e perché no, l’invadente YouTube Shorts che tende a comparire nei risultati di chi cercava un tutt’altro tipo di contenuto. Eppure il corto internettiano in stile social network, per sua implicita natura, può spesso essere considerato uno dei segni dell’attuale condizione universale, oppure l’effettiva direzione in cui, al trascorrere dei giorni, sta muovendosi la nostra intera società. Soprattutto quando agevola un trasferimento di paradigma che, per quanto inaspettato, chiuderà probabilmente dietro di se il portone principale. Per non tornare più allo stato di partenza. Avete già gustato, quest’estate, il prototipico “porcospino” arancione a rilievo delle tavole imbandite? Ricavato ritagliando a cubetti una metà di quello che potrebbe essere il più amato dei frutti tropicali, rigorosamente prima di staccarne la parte posteriore dalla buccia rigirata in senso concavo/convesso? D’altra parte la fenomenale quantità di cultivar adatti a quasi ogni contesto climatico e geografica circostanza fa si che da qualche parte sia sempre la stagione del mango, e questo con notevole soddisfazione degli estimatori di quella drupa dolce dal cuore di legno, notoriamente pronto ad attecchire nei vasi degli appartamenti o i relativi balconi. Purché ci sia, s’intende…
Quanto avrete infatti avuto modo di apprezzare nel video in allegato è una dimostrazione gentilmente offerta dall’utente Thailandese hiep659us77 apparente possessore o assiduo frequentatore di magnifici frutteti nel clima accogliente del suo paese, intento a tirar giù dall’albero un esemplare particolarmente notevole di quel particolare dono della natura. Se così possiamo ancora chiamarlo, visto che si tratta di un ibrido creato per massimizzare quelle che sono le sue qualità più ricche ed universalmente apprezzate…

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Ritorna finalmente il festival del longboard ballerino tra le affollate strade della capitale sudcoreana

Durante i lunghi e travagliati mesi del Covid, lo sport è stato per molti l’àncora di salvezza e il vento che soffiava nel mare in bonaccia, l’approdo sempre disponibile nel mezzo della tempesta. Eppure per quanto la pratica di un qualche tipo di attività fisica o allenamento, oltre a una distrazione, potesse costituire anche il pretesto per varcare l’uscio di casa nel periodo storico più grigio e flemmatico delle ultime sei decadi (almeno) esse venivano declinate ripetutamente in una singola modalità operativa: quella della prassi solitaria, auto-regolata e individuale, di se stessi e i propri limiti, le personali aspirazioni di quei momenti. In un mondo in cui la vicinanza tra gli umani può essere considerata un pericolo, e la società stessa sembrava aver deciso in tal senso, non c’era più semplicemente spazio per quasi alcun tipo di comparazione, amichevole o meno, tra le personali capacità e i risultati di un così completo percorso personale attinente alle attività fisiche, o d’altra natura. Terminata finalmente la forzata pausa di ogni manifestazione, festa, concerto e raduno, il mondo è entrato quindi in una nuova fase; in cui l’economia fatica ancora a riprendersi, il turismo è lento a ritornare (complice anche la tragica situazione in Ucraina) ma una cosa, per lo meno, appare più che mai tornata alle condizioni ideali di un tempo. Dopo tutto, chi vorrebbe continuare a vivere tra quattro mura rigide e troppo spesse, fatta eccezione per brevi momenti di svago, come le ore d’aria per i prigionieri di un invalicabile castello?
Lo YouTuber/Tikotker/Instagramer Yuki (alias Yuki do it) che qui siamo chiamati a conoscere è in effetti un assiduo praticante di quel particolare tipo di attività su ruote che prende il nome internazionale di Longboarding, come derivazione diretta della prassi associata negli anni ’50 ai surfisti hawaiani, ogni qualvolta le onde latitavano o esageravano la propria potenza, trasportando il desiderio di spostarsi sopra un’asse semovente fino alle strade di quell’arcipelago distante. Quando i desideri collegati ma in conflitto, di poter saltare giù nelle piscine delle abitazioni e risalire all’altro lato, piuttosto che lanciarsi rapidi per le discese di quei luoghi, portò alla creazione rispettivamente dello skateboard di fino a 55 centimetri di lunghezza e qualcosa di… Più esteso. Inerentemente associato per definizione alla rischiosa disciplina del downhill e che soltanto molti anni dopo sarebbe stato sdoganato da un simile settore, per la sua naturale utilità nel mettere in pratica un diverso approccio all’utilizzo di quel particolare mezzo espressivo: la cosiddetta “danza” su terreno pianeggiante e ininterrotto, una deviazione e (nell’opinione di alcuni) assoluta sovversione del pre-esistente metodo acrobatico freestyle, per il perfezionamento di un ritmo che giustifica se stesso senza significativi rischi per la persona. Strano, imperdonabile, letteralmente inimmaginabile nel mondo “duro e puro” delle quattro ruote sotto-tavola, almeno fino al diffondersi preponderante di un breve segmento virale datato al 2016, scaricato direttamente dal profilo social dell’artista coreana e ripreso da innumerevoli testate pseudo-giornalistiche su scala pressoché globale. La scena, a ritmo di musica, in cui l’artista coreana Hyo Joo effettua una serie di curve concatenate nell’approccio gergalmente definito come carving, mentre posiziona in rapida sequenza i propri piedi sopra un longboard dalle dimensioni particolarmente significative. Avanti, indietro ed una piroetta dopo l’altra, fino alla realizzazione di quella che può essere soltanto definita come la più interessante e inaspettata delle coreografie…

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Tagliategli la testa! Come suona la più sincopata invettiva dell’opera di Pechino nel mondo moderno

Quando ci si trova nella necessità di esprimere un concetto complicato all’interno di un testo musicale, al giorno d’oggi è particolarmente difficile superare l’efficienza rappresentata dal parlato rapido e la musica ritmata di un pezzo hip hop, enunciato alla massima rapidità consentita dall’apparato fonatorio umano. Forse per questo, la maggiore quantità dei pezzi di denuncia sociale o j’accuse nei confronti dell’autorità costituita rientrano nella categoria delle canzoni cosiddette parlate, prodotte da persone che hanno fatto del volume di parole al minuto un importante punto cardine della propria dialettica, sistematicamente deputata alla comunicazione di un fondamentale messaggio ai propri ascoltatori. Un’associazione di massima tanto forte nell’attuale cultura globalizzata, che il mondo di Internet non ha esitato un anno fa a ribattezzare questo pezzo dal notevole significato tradizionale, postato da qualcuno con intento semiserio su YouTube, come il “rap cinese” per eccellenza, accompagnato da commenti satirici di vario tipo a spese delle attuali contraddizioni ed idiosincrasie del più vasto paese dell’Estremo Oriente. Eppure il Ching Cheng Hanji (a.k.a. Il caso di Chen Shimei) è giunto a costituire negli ultimi due secoli un importante pilastro non soltanto della tecnica e teoria musicale a fondamento della cosiddetta Opera Cinese o di Pechino, forma teatrale celebre per i suoi costumi appariscenti e il trucco elaborato dei personaggi, ma soprattutto dei principi di legalità applicati ai potenti uomini politici di allora come adesso, troppo spesso esenti dal pagare per le conseguenze delle proprie immorali o crudeli scelte di vita. In tale accezione recitata, piuttosto che semplicemente pronunciata con intento di svago ed intrattenimento, al termine di una rappresentazione di circa due ore e mezza, come coronamento insperato e lieto fine (se così possiamo dire) del tragico dramma familiare di una donna ed i suoi due figli. Ad opera di niente meno che il supremo giudice Bao, personaggio leggendario che per molti secoli ha saputo personificare la giustizia che vince su tutto, sia nel mondo materiale che al cospetto di divinità e spiriti notturni capaci di vivere in eterno. Ma non di sfuggire alle sentenze elaborate da colui che soprannominavano il Draconico Disegno, all’interno della lunga serie di romanzi, novelle ed opere teatrali che costituivano il genere del Gong’an, o “racconto poliziesco” attestato fin dall’epoca della dinastia Yuan (1279 a seguire). Questo perché l’originale ed effettivamente vissuto Bao Zheng, due secoli prima di quella data, era stato un importante magistrato e prefetto alle dipendenze dell’Imperatore Rezong di Song, prima che il folklore popolare o le iperboli di storie lungamente ripetute facessero di lui una figura ultraterrena affine a quella dei potentissimi Immortali della tradizione taoista. Il che fa sorgere spontanea la domanda di cosa ci facesse, esattamente, un personaggio come questo in un corte di giustizia di epoca Qing nel XIX secolo d.C, intento a suggellare il fato di un suo collega di fronte alla consorte del sovrano e sua figlia, supremamente indisturbato da simili contrariate ed implacabili eminenze…

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