La questione filosofica della forma ed aspetto degli angeli è stata lungamente discussa nella storia del pensiero, dell’arte e della letteratura umana. Poiché se l’Essere Supremo, di cui essi costituiscono gli eterni messaggeri, non può essere completamente compreso dalla mente umana (e ciò è vero per definizione stessa nelle religioni di tipo monoteista) allora cosa mai potremmo dire di coloro che lo avrebbero rappresentato, attraverso pochi eventi chiave della storia, parlando alternativamente coi potenti e deboli dei variegati eventi… Alti, biondi ed eleganti in certi casi, asceti segaligni con il saio, oppure ancora semplici forme di luce, incorporei come il santo Spirito che può guidarne i gesti tra le moltitudini dei viventi. E poi c’è un luogo, sotto la Thailandia, in un singolo sistema di profondissime grotte entro la provincia settentrionale di Mae Hong Son, in cui l’angelo è un qualcosa di assolutamente chiaro e definito. Tanto che alla prototipica domanda del “quanti X potrebbero sedersi sopra la capocchia di uno spillo” una rapida risposta sarà in questo caso “neanche uno…” Se consideriamo la lunghezza di questi esseri rosati misurabile attorno ai 2,8-3 centimetri, ovvero abbastanza da riempire gli spazi interstiziali tra le dita di un incuriosito ricercatore ma NON il palmo della sua mano. In effetti, non credo sia probabile restare indifferenti dinnanzi a una siffatta creatura ondeggiante dotata di quattro “ali candide” che conduce la sua intera esistenza contrastando l’insistenza variabilmente lieve di una corrente.
Cryptotora thamicola: presenta diversi nomi ed aggettivi, tutti corrispondenti ai chiaro punti per cui diverge sensibilmente dal più naturale corso dell’evoluzione. Il pesce angelo della caverna di Pang Mapha, o ceco perché totalmente privo di occhi o ancora il lungamente ricercato anello mancante, tra le specie acquatiche e quegli organismi che per primi scelsero di emergere dal brodo primordiale, usando l’efficiente simmetria di quattro zampe mosse in alternanza sulla sabbia della Preistoria. Quanto sia antico, dunque, un tale essere, risulta assai difficile da ipotizzare, benché le caratteristiche del proprio ambiente risultino inerentemente tali da poterlo preservare, sostanzialmente invariato, attraverso il ciclo ininterrotto d’infiniti Eoni.
Ciò ha specificato, sebbene in altri termini, la ricercatrice del New Jersey Institute of Technology (NJIT) Brooke E. Flammang con il suo team, nella compilazione di uno studio che gli avrebbe permesso, nel 2016, di accedere ad uno dei più rari e preziosi jackpot nel regno della ricerca scientifica: all’incirca un milione di dollari, da reinvestire nell’approfondire l’interesse principale della sua carriera accademica più recente. Poiché è chiaro che non capita davvero molto spesso, di poter stabilire un contatto diretto con le occulte divinità ipogee che inviano i propri rappresentanti ad incontrare gli spiriti di superficie, investigando in questo modo sulla sostanza stessa della nostra biologia corrente.
strane creature
Il pesce lucerna, Stregatto letale dei sette mari
La piccola e splendente aringa, momentaneamente rimasta separata dal branco dei suoi simili, osservò la miriade che si allontanava in controluce. Se fossimo degli psichiatri dei pesci, potremmo ipotizzare che voleva passare qualche minuto da sola a pensare. Se fossimo pessimisti, che una qualche specifica condizione clinica le impediva di sostenere il normale ritmo di quelle pinne agitate dall’ansioso bisogno di sopravvivere e migrare. Fu allora, mentre l’impulso elettrico di un semplice sistema nervoso rimbalzava da un lato all’altro del suo piccolo e scaglioso corpo, che il pesciolino scorse qualcosa di potenzialmente interessante: un sinuoso vermicello, intento a contorcersi, in un punto particolarmente pacifico del fondale marino: “Se chiudo la bocca sua quella cosa traendone forza, ritroverò la voglia di proseguire.” Pensò a suo modo questo feroce predatore di tutto ciò che muovendosi, si presentasse caratterizzato da un diametro inferiore a un centimetro e lunghezza in proporzione. Quindi si avvicinò pacatamente… Fino al momento in cui gli sembrò di scorgere qualcosa tra il fondo scuro del suo ambiente d’appartenenza. Una vista familiare, a suo modo: la maschera della Morte coi due occhi bulbosi e una lunga fessura ricolma di aculei, letterale foro d’ingresso per una morte immediata e liberatrice. Mentre meditava su questa spaventosa e impossibile apparizione ricoperta dai granelli di sabbia, scorse nuovamente l’anellide appetitoso che lo chiamava, mentre un movimento appena percettibile tra la sabbia riconfermava la sua appetitosa impressione. Allora l’aringa fece ciò che gli riusciva meglio: dimenticò il pericolo. E si avvicinò ancora. Ci fu una pausa momentanea, come un attimo nel montaggio di un film dell’orrore. Quindi un lampo di elettricità statica, seguìto da un colpo poderoso, paralizzò immediatamente la povera vittima inconsapevole. E fu allora che il pesce lucerna fece il suo atteso ritorno sul palcoscenico del Creato.
Ora, se io vi dicessi che l’Uranoscopidae (nome che viene dal greco Οὐρανός – Firmamento + σκοπείν – guardare) è una creatura predatrice dai denti aguzzi con due aculei velenosi in grado di uccidere potenzialmente l’uomo, che INOLTRE possiede il pericoloso dono evolutivo degli elettrociti, organi in grado di dare la scossa a chiunque tenti di disturbarla, non avreste potenzialmente dubbi sul suo ambiente di provenienza: un simile mostro deve necessariamente provenire dall’Australia. E non avreste formalmente torto, benché in effetti questa famiglia relativamente omogenea di animali, cosmopolita per definizione, sia stata avvistata per l’intera fascia tropicale del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, per non parlare del nostro Mediterraneo, dove risulta essere a dire il vero piuttosto comune, sebbene poco conosciuto. Considerate a tal proposito, che ogni qual volta vi dicono che nel caciucco (o zuppa di pesce che dir si voglia) è presente un qualche tipo di “rana pescatrice” ci sono ottime probabilità che si tratti in effetti della specie nostrana del cosiddetto stargazer, il cui nome risulta essere nello specifico Uranoscopus scaber, o pesce prete. E questo nonostante l’intera famiglia composta esattamente da 51 specie (di cui una estinta) non risulti effettivamente imparentata in alcun modo col genus Lophius, predatore abissale dall’ecologia sostanzialmente diversa e noto ai pescatori del Nord Europa come pesce monaco, per la forma squadrata della sua testa che ricorda il cappuccio di un ecclesiastico protestante. Per nascondere un volto che neppure Madre Natura riuscirebbe ad amare. Non che il nostro amico in agguato sui bassi fondali risulti essere, in alcun modo, esteticamente più gradevole di una tale remota controparte…
La creatura inesplicabile che taluni definiscono farfoglia
In molti ricordano l’inizio del celebre film sull’uomo semplice dal cuore gentile e il nome insolito Garret Flynt, grande prova di recitazione da parte dell’attore premio Oscar Tom Eagle, con l’inquadratura che si sposta lieve per seguire i movimenti di una foglia autunnale di quercia trasportata dal vento (nell’edizione DVD si apprende come, originariamente, avessero pensato d’impiegare una piuma bianca). L’oggetto un tempo interconnesso con le alterne vicende di un essere vivente, che ora lo è di nuovo, mediante l’intervento dei capricci imprevedibili dell’atmosfera, che lo portano dapprima verso il marciapiede, quindi su, in alto e infine verso la pensilina dell’autobus presso cui ha luogo, con un rilassante sottofondo musicale, il primo dialogo di questa pellicola dalla portata generazionale. Non tutti però hanno notato tuttavia, dopo la seconda oscillazione dell’oggetto, l’attimo in cui questo sembra muoversi contrariamente a ciò che la fisica vorrebbe, andando in senso totalmente opposto a quello verso cui si sta muovendo la bandiera americana appesa all’ingresso del parco. Un artificio usato, secondo alcuni critici, per far da simbolo ai “molti eventi inaspettati di questa vita” come l’eroico comportamento da parte di Garret durante la guerra in Corea, il suo acquisto di numerose azioni della nascente compagnia informatica Microsoft e la sua lunga pedalata dal confine messicano fino a Washington, per protestare contro le politiche d’immigrazione del governo U.S.A. La tesi che vorrei quest’oggi sostenere, tuttavia, è di un tipo diametralmente opposto: la foglia secca non va in direzione contraria per una specifica scelta autorale. Poiché essa costituiva, di suo conto, l’effetto di un inganno assai più vecchio della fondazione stessa di quel paese. Più antico, addirittura, dell’uomo.
Ora io non saprei dirvi come, nei fatti, un singolo esemplare di Kallima inachus, la farfalla detta “foglia morta di quercia indiana” fosse riuscita ad introdursi sul set di un film occidentale, violando qualche dozzina di norme sul controllo degli animali introdotti e la logica amministrativa di un ecosistema privo d’intromissioni esterne. Fermando tuttavia le immagini ed usando la lente d’ingrandimento su uno schermo sufficientemente ad alta definizione, potrà palesarsi innanzi ai vostri occhi l’effettiva realtà: le sottili venature nerastre che percorrono le quattro ali, dalla punta arcuata e le lunghe code parallele, concepite per ricordare il gambo o “picciolo” che dir si voglia; la natura lievemente riflettente dei piccoli buchi all’apparenza lasciati dalle uova d’insetto o altri parassiti, in realtà spazi occupati totalmente dallo ialino, la sostanza trasparente capace di ornare le ali dei lepidotteri; ma soprattutto, le coppia di prominenti quanto vistose antenne, facilmente mimetizzate dalla vivace colorazione del fondale.
E sarebbe facile, in considerazione di questo, approcciarsi alla strana intrusa come una “rappresentazione vivente dell’incertezza etc. etc.” laddove io preferirei qui sostenere la tesi che gli eventi talvolta avvengono, anche nell’universo attentamente controllato del cinema, senza la benché minima ragione ulteriore. Non era forse proprio questo, il messaggio di
Garret Flynt?
Scoperta una salamandra che ha scelto di non diventare mai adulta
È una triste faccenda posta molto spesso al centro dell’opinione pubblica, benché nessuno faccia praticamente nulla per contrastarla: specie animali si estinguono di continuo, a causa di alcune delle più problematiche implicazioni del mondo moderno. Le città si espandono, le strade si allungano, le antiche paludi della Florida subiscono un costante processo di riduzione. Quello che tanto a lungo avevamo mancato d’immaginare, tuttavia, è che un simile territorio potesse esistere un animale lungo quasi un metro che nessuno, semplicemente, era mai riuscito a notare. Siamo ai livelli di Bigfoot, l’abominevole anello mancante tra scimmia e uomo: più volte discusso negli articoli sensazionalistici, “assolutamente” riconfermato nella sua esistenza da pellicole sfocate, testimonianze inesatte, vaghi racconti popolari. Finché qualcuno, un giorno… Riuscirà effettivamente a stringere l’arto che termina con una delle sue quattro mani? E se la creatura in questione, di braccia, gambe o zampe che dir si voglia, dovesse possederne un totale di due soltanto in un aggiunta a una lunga coda? Più o meno come le leggendarie meretrici dei mari, che tentarono di rapire lo sconfortato Ulisse dalla tolda della sua stessa nave.
Non affrettatevi a farvi legare al sedile del vostro hovercraft delle Everglades, tuttavia: come ampiamente dimostrato dalla coppia di ricercatori Graham e Steem, scopritori già nel remoto 2014 di questo bizzarro animale durante un sondaggio relativo alle tartarughe, non c’è praticamente nulla che una sirena leopardo (Siren reticulata) possa fare per nuocere agli umani. Eccettuato, possibilmente, mordere l’incauta mano col becco aguzzo, durante una manovra azzardata da parte del suo eventuale catturatore. E in ogni caso, l’avete vista? Quale minaccia potrebbe nascondersi all’interno di una creatura strisciante dai minuscoli piedini tetrapodi, la testa enorme ed il muso a metà tra un boa ed un cucciolo di cane, sormontato da una coppia di complesse branchie esterne che ricordano tanto da vicino, anche per funzionalità, la struttura di altrettanti piccoli alberi di Natale! Ciò che occorre tuttavia comprendere, per contestualizzare adeguatamente la sensazionale scoperta pubblicata all’inizio di dicembre sulla rivista scientifica PLOS One, è che non siamo di fronte comunque a una tipologia di creatura del tutto nuova. I cosiddetti sirenidae infatti (da non confondere coi sirenii, ovvero dugonghi e lamantini) sono un tipo di salamandre che abitano da sempre la regione meridionale dell’attuale territorio statunitense fin oltre il confine messicano, nutrendosi quietamente di molluschi, pesci, insetti e altri artropodi, oltre a non disdegnare l’occasionale pasto a base di alghe. Loro caratteristica è la capacità di riprodursi a ritmi estremamente elevati, arrivando a costituire talvolta un rischio per la biodiversità dei grandi stagni o piccoli laghi della più famosa penisola nordamericana. Si tratta di esseri esclusivamente acquatici, che in letterale colpo di scena evolutivo hanno abbandonato la natura anfibia dei loro parenti più prossimi, evitando di sperimentare la metamorfosi al confine con la maturità, che li avrebbe portati a sviluppare la terza e la quarta zampa, perdendo quindi la lunga coda da pesce per iniziare a deambulare nel sottobosco. Sostituita da un diverso tipo di dote innata, altrettanto valida per non perire durante quelle occasionali stagioni in cui le loro pozze s’inaridiscono, minacciando l’umidità vitale che è sinonimo di sopravvivenza…