L’innovazione tecnologica della pelle di squalo volante

In un mondo ideale, i passeggeri volerebbero in sella ai draghi, leviatani o altre creature più leggere dell’aria con il fine di percorrere le rotte che collegano i continenti. Questo perché qualsiasi creatura appartenente a un ambito biologico, per quanto magica o impossibilmente massiva, è pur sempre meglio del miglior prodotto della tecnologia contemporanea almeno da singolo un punto di vista: la sua impronta carbonifera risulta essere migliore. Ovvero meno incline a danneggiare in modo gradualmente irreparabile la troposfera, depositando in essa una copiosa quantità di polveri più o meno sottili. E sebbene i mostri alati tendano a rapire una pecora o due, magari procedendo ad insozzare la provincia sottostante con e le proprie deiezioni da grossi carnivori, essi non richiedono un’intera industria mineraria di raffinazione, della produzione e applicazioni di vernici e produzione di pezzi di ricambio. Essi semplicemente esistono, o potrebbero (dovrebbero?) riuscire a farlo, in un’epoca di razionalità che domina sui sogni e aspirazioni delle persone. Non che l’evoluzione, di suo conto, possa dirsi inefficace nell’elaborare soluzioni funzionali all’ottimizzazione del problema di fondo: come ridurre, per quanto possibile, l’apporto energetico comunemente consumato per portare a termine i suddetti spostamenti. Vedi quella forma più che funzionale, utilizzata da tutti quegli esseri che avanzano in un fluido, al fine di veicolare ed instradare quest’ultimo in modo maggiormente proficuo ai loro obiettivi. Col che non voglio riferirmi solo alla creazione di portanza tramite l’impiego del profilo delle ali. Ma anche al modo in cui la pelle stessa può riuscire a diventare, in condizioni attentamente calibrate, uno strumento per un fine sofisticato. Così spostando, per finalità d’analisi, l’ambientazione del nostro discorso sotto i flutti dell’oceano ed in modo particolare a una presenza che, tra tutte, riesce a ricordare nel profilo la carlinga di un grosso aereo. Avete presente, a tal proposito, la forma dello squalo? Tanto simile che potremmo giungere a parlare di una convergenza evolutiva, se il velivolo per eccellenza dei nostri giorni non fosse la diretta conseguenza di uno studio e dei fattori interconnessi, funzionali all’ottimizzazione di quei modelli. Il che ci porta, in reverenziale ed affascinato silenzio, dentro gli hangar quasi asettici delle Swiss International Air Lines, dove all’inizio di quest’anno personale particolarmente esperto è stato coinvolto nell’implementazione pratica di un nuovo tipo di soluzione. Prodotta in modo cooperativo dal fornitore di servizi di riparazione e revisione Lufthansa Technik, in collaborazione con l’azienda tedesca dai molti interessi della Badische Anilin- und Soda Fabrik (BASF) che forse ricorderete, oltre che per l’anilina e soda sfornate ai tempi della grande guerra, in funzione del suo logo spesso stampato sull’involucro delle videocassette per VCR. Approccio consistente, in via del tutto specifica, nell’applicazione di una sottile scorza del tutto nuova…

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L’incongrua tradizione della botte immensa e il suo guardiano di-vino

Quando vide l’espressione del suo Principe all’uscita della stanza, il cuoco di palazzo seppe subito cos’era successo. I segnali d’altra parte erano chiari ed il lutto, già nell’aria da diverse ore. Persino la chiave gigante della cantina, era stata riassegnata ad un armigero nei pressi del cortile interno. Proprio mentre lui, l’amico di tutti, l’uomo che sapeva farti ridere anche nei giorni più cupi, l’unica persona cui ognuno, nell’intero borgo di Heidelberg, avrebbe desiderato stringere la mano, aveva lasciato questa valle di lacrime, stava passando all’altro mondo. Probabilmente di cirrosi epatica. Oh, perché! Perché era successo? Perché, no? Perkeo? Se soltanto quel dannato medico, pensò l’osservatore in uniforme candida e l’alto cappello simbolo del suo mestiere… Se soltanto ci avesse ascoltato. Il nostro amico, la fantastica mascotte, il personaggio delle fiabe costruite da casuali circostanze, un nano, un titano. Che mai aveva bevuto nulla che non fosse alcolico. Sul letto della malattia, per tanti anni ricacciata indietro coi suoi metodi, era stato dissetato con un singolo bicchiere d’acqua. Per la collettività, una sostanza portatrice di sollievo. Ma per lui, anatema. E così meno di 24 ore dopo, i brividi, le convulsioni e il decesso. Chi potrà, adesso, fare le capriole beffeggiando i granatieri, con gli stivali troppo lunghi ed alti per percorrere in avanti le scale conducenti verso il suo reame? Chi porterà all’esimio Carlo III Filippo del Palatinato il suo cicchetto mattutino, nella bottiglia dal lungo collo tipico del Baden-Württemberg e il resto dell’Alto Reno? E soprattutto, chi farà la guardia al Großes Fass, il quasi leggendario scrigno del tesoro alcolico creato con la stessa quantità di legno di una piccola corvetta di linea. Per 221.726 litri, pompati all’interno tramite ingegnosi meccanismi e dal nel gran salone dei ricevimenti. Benché fosse raramente del tutto piena, con il piccolo Perkeo a fargli la guardia…
Nessuno sapeva esattamente da dove e in quale circostanze fosse stato reclutato il beneamato giullare di corte del castello di Heidelberg, ivi comparso nel 1718, all’età di soli 17 anni tra la quieta gioia e il reiterato giubilo dei cortigiani. Benché il Principe Elettore del Sacro Romano Impero, che l’aveva conosciuto a quanto pare presso un opificio per la fabbricazione dei bottoni, amasse ripetere che proveniva da Tirolo italiano, ipotesi avvalorata dalla celebre abitudine del basso individuo a rispondere “Perke no?” Ogni qual volta gli veniva offerto un bicchiere di vino. Per cui parve assolutamente naturale, e per molti versi inevitabile, assegnargli la custodia della cantina. Un compito di responsabilità maggiore rispetto a quanto si potesse pensare, in un luogo come questo dove le antiche tradizioni venivano tutt’ora praticate. Inclusa quella di disporre di una grossa, grossa botte per il vino del suo signore. Una questione di prestigio, se vogliamo, così come esemplificato dai tradizionali duelli risalenti alla fine del XVII secolo, quando i sovrani dei diversi feudi dell’area germanica erano soliti combattersi a colpi di status symbol. E non ce n’era alcuno più magnifico, imponente e accattivante di questo…

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Oltre un secolo e non sentirlo: l’esasperata metafora parassitaria dell’ipnolumaca

Ah, il GUANO, che magnifico sapore! La deiezione dei pennuti, colazione dei campioni. Escrementi che piovono dai cieli, ovvero: piatti prelibati, i più pregevoli alimenti! Così mentre deambulavo alacremente, l’umida scia un tracciato diagonale sulle foglie, ebbi l’improvvisa ispirazione di dirigermi verso la fonte di quel delicato aroma. L’invitante aurifero sentore di gusci d’insetto consumato, liberi lombrichi, qualche pezzo chitinoso di uno scarabeo danzante. Un pasto sopraffino per un cuore di lumaca dentro il guscio, come il mio, meschino. E sgranocchiando, trangugiando ed espiando, nel profondo, non compresi fin da subito quello che era capitato al mio Destino. Giorno 5: tutto a posto, a parte la sgradita sensazione di un corpuscolo nell’occhio sinistro, o per meglio dire quel tentacolo che lo sostiene, nei molluschi di terra. Poco male, dopo tutto? Basterà che aspetti pazientemente, prima di poter tornare a ritirarlo dentro il corpo centrale. Giorno 10: oh, sventura. L’occhio pulsa e si trasforma, è gonfio, pieno e dolorante. Vedo strani e plurimi colori, avverto un cambiamento nel profondo del mio essere. Cosa diamine c’era, all’interno di quel GUANO traditore?
Leucochloridium paradoxum è l’ingrediente, o per meglio dire la condanna vermiforme, che caratterizza il gravido protrarsi di un così terribile frangente. L’infezione di trematode esteriormente accattivante (e Dio/Demiurgo può saperlo, quante ce ne sono a risultarne tali!) che trasforma la tranquilla chiocciola nella palude in un’attraente versione tangibile e mollusca del più eclettico personaggio del cartoon Futurama, l’ipnorospo. Le cui pupille cambiano continuamente geometria, al rimbombo sottilmente inquietante di una nota metallica ed aliena. E di certo tra gli uccelli molti devono essere gli appassionati di una tale serie, se crediamo alla visione non del tutto scientifica, secondo cui le povere lumache infette a questo punto si trasformano in letterali esche ambulanti, con due approssimazioni ragionevole di bruchi sulla testa. Che ogni passero, ogni merlo, qualsivoglia corvide o gabbiano vorrà fin da subito fagocitare. Nel momento stesso in cui gli riuscirà d’avvistarlo. Ed è proprio qui il nesso, l’effettivo nodo dell’intera questione. Poiché se provate a cercare, anche soltanto per un attimo, su Internet la storia di quel parassita, verrete bombardati da definizioni quali “zombificatore di lumaca” oppure “controllore ostile dei gangli mollicci” per il modo tutto suo, reale o presunto, di riuscire a trasformare il comportamento dell’ospite tutt’altro che volontario. Creando una lumaca che spontaneamente tenderà a salire verso l’alto, nei luoghi assolati o pienamente esposti. Ove risulti più probabile l’incombente predazione ad opera di uno dei suddetti produttori di GUANO. Ah, la natura!

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Il miglior autobus che corre sui “binari” di cemento australiani

L’oggetto dalla forma di un grande rettangolo continua a transitare lieve lungo il grigio viale del suo percorso. Veleggiando in discesa, nessuna mano utile a stabilizzare quel volante, che incredibilmente curva ed accompagna in automatico le svolte necessarie di volta in volta. Quando al suono di un momento pre-determinato, il conduttore influisce finalmente sugli eventi. Preme il freno e ferma la sua corsa, in corrispondenza dell’apposita pensilina. Uno dopo l’altro, i passeggeri scendono/salgono in base ai rispettivi bisogni. Quindi l’assolutamente insolita vettura circolare della piacevole città d’Adelaide, se veramente siamo inclini a definirla tale, accelera di nuovo verso le sue invariabili destinazioni a venire.
Inaspettata può essere la metodologia mediante cui, nei diversi luoghi e paesi del mondo, vengono affrontati gli stessi problemi facenti essenzialmente parte dell’imprescindibile condizione umana. Uno di questi: il trasporto pubblico urbano, strumento necessario a semplificare la logistica degli spostamenti casa-scuola-lavoro e verso qualsiasi altro tipo di destinazione in base alle volubili necessità delle persone. Il che significa che non può esserci alcun tipo d’esigenza superiore alle altre, nella realizzazione totalmente democratica di un servizio che possa dirsi effettivamente utile allo scopo predeterminato. Soltanto metodi configurati in base alle rispettive sfide contrapposte all’ottimale funzionamento. Così treni e metropolitane, dove il c’è la possibilità di costruirle. E per tutte le altre situazioni, il caro vecchio approccio del trasporto gommato. Autobus, in altri termini, grandi veicoli strutturalmente non dissimili da una versione sovradimensionata dell’automobile di proprietà dei privati. Ma una creatura come questa, nello stratificato ecosistema cittadino, non possiede inerenti vantaggi, presupposti di semplificazione, sistemi funzionale per poter dire di aver dato soddisfazione ad effettivi margini di ottimizzazione… Nella maggior parte dei casi. Così come avevano fatto notare, poco prima degli anni ’80, i sostenitori nel rilevante ministero del progetto per la costruzione di un sistema di tram leggeri su rotaie destinato a raggiungere la settentrionale King William Street, dall’allora ultimo terminal nel centro cittadino di Victoria Square. Ostacolati dai soliti detrattori, pronti a promettere battaglia qualora il suono del passaggio dei treni fosse risultato fastidioso per il proprio vulnerabile senso dell’udito. Dal che l’idea proposta dal nuovo ministro dei trasporti in Australia del Sud del 1980 Michael Wilson, che scelse di guardare con precipuo interesse verso il mondo agli antipodi, ed in modo particolare a una nuovissima tecnologia proveniente dalla Germania…

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