Qual è la punizione di chi tocca i pallidi tentacoli spiaggiati sulle coste d’Australia?

Internet è piena di strane fotografie, immagini interessanti, visioni pericolose, terribili evidenze frutto delle contingenze più o meno naturali del nostro mondo. Ma è generalmente abbastanza facile riuscire a contestualizzarne, o per lo meno comprenderne approssimativamente le implicazioni evidenti. Ecco a voi, ad esempio… Una… Creatura. Ritrovata nel 2018 sulle sabbie di Boome, località marittima situata lungo le coste dell’Australia Occidentale, dalle “madre e figlia” di un utente di Reddit alquanto appropriatamente denominato Horrorwolfe. Qualcosa di tentacolare che possiede un’improbabile colorazione sfumata, dal bianco al nero, molto chiaramente passato a miglior vita e successivamente sbiancato dall’astro solare. Eppure, a quanto riesce facile ipotizzare, niente affatto una medusa, per la chiara assenza di tutti quei riconoscibili elementi che caratterizzano tale particolare gruppo di creature! Assomigliando piuttosto a un polipo, se non fosse per la quantità eccessiva di tentacoli che si diramano a raggera da un centro bulboso e molliccio, ricoperto da evidenti scanalature. Diametro: 20 cm circa. Toccarlo/a con mano: una follia, tale da giustificare secondo studi pregressi “molti mesi di dolore lancinante ed impossibile da mitigare”. Di sicuro bisognerebbe essere del tutto inclini all’autolesionismo, per entrare direttamente in contatto con un misterioso demone abissale, presso le propaggini più estreme del Pacifico Meridionale, nota porta verso il regno di pericoli non visti, esseri privi di nome e il tocco impercettibile dell’umana vulnerabilità tra gli altri esseri viventi. Presenze come la Doflenia armata, anemone dotato di quel temibile sistema d’autodifesa che costituiscono le cellule specializzati dei nematocisti. Di sicuro, ne conoscerete la reputazione! Anche se potreste non tendere ad associarli normalmente a ciò che appare in vita maggiormente simile ad un fiore sottomarino, fatta eccezione per la sublime vibrazione dei suoi arti tremuli ed appiccicosi. La cui categorizzazione nell’espressione linguistica comune deriva, per l’appunto, dall’appellativo di una pianta erbacea di superficie, il cui “fiore del vento” donano una nota di colore ai prati e balconi tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Traendo tutto il proprio nutrimento dalla luce, l’acqua, il suolo e le sostanze in esso contenute. Poiché quando si parla piante carnivore, esiste soltanto una particolare convergenza di condizioni climatiche e abbondanza d’insetti, le ideali vittime designate, capaci di giustificare il notevole dispendio in termini di risorse e connotazioni evolutive inerenti. Tutt’altra storia, d’altra parte, quando ci si approcci alla questione dal lato opposto; quello cui potremmo attribuire la pratica denominazione di “carnivori vegetali”.
Perché un anemone fondamentalmente può essere identificato come una medusa che ce l’ha fatta. Avendo soprasseduto, in qualche momento pregresso del suo mutamento generazionale, le difficoltà di una vita galleggiante a mezz’altezza della colonna acquatica. Trovando il modo di trascorrere la propria intera esistenza in uno stato sessile ancorato sui fondali marini, da cui mettere in pratica un efficace, quanto atipico stile di vita. Quello permesso dal possesso di una serie di rudimentali fibre muscolari, capaci di contrarre o far estendere con suprema rapidità la corona multiforme dei propri tentacoli. Possibilmente una volta colpito col proprio veleno, e quindi paralizzato, un qualsivoglia tipo di pesce, crostaceo o altre valide fonti di nutrimento, fatta eccezione per quelli con cui intrattiene un rapporto mutualistico di reciproca convenienza (protezione in cambio di deiezioni ancora ricche di nutrimento). Ora chiaramente e fatte le dovute eccezioni, l’anemone non può vedere, pensare o distinguere l’effettiva identità o dimensione della preda. Così che può capitare, ed è in effetti capitato un certo numero di volte, che un malcapitato bagnante umano possa rimanere colpito da un simile meccanismo perfettamente oliato. Con conseguenze generalmente non troppo gravi, a meno che la controparte appartenesse alla suddetta genìa delle Doflenia armata

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A proposito degli scorpioni che le piogge hanno dislocato nelle case di Assuan, sulle rive del Nilo

Esiste un detto di suprema saggezza ripetuto nei più angusti meandri dell’Universo. Un’aforisma la cui pertinenza per lo meno trasversale non è stata mai neppure per un attimo soggetto di confutazioni, appelli o tentativi di sovvertimento. Esso recita: “Potrebbe anche andare peggio: potrebbe piovere.” E non c’è luogo maggiormente impreparato, dal punto di vista organizzativo, ad affrontare l’effettiva ricorrenza di un simile evento che una delle zone maggiormente secche della Terra, per un clima desertico che ha prevalenza fin da molto prima dell’arrivo della razza umana. Benché intendiamoci, da queste parti esseri del tutto uguali a noi sono vissuti da svariati millenni, come ben sappiamo grazie ai lasciti archeologici di una delle più antiche civiltà al mondo. Assuan, città egizia un tempo nota con il nome storico di Siene (o Swenett) fondata nel corso del terzo secolo a.C. dal faraone Tolomeo III, famosa per le sue cave granitiche che furono lungamente impiegate al fine di costruire le piramidi e altri giganteschi monumenti. Nonché in modo forse meno storicamente fondamentale, ma non meno caratterizzante, la quantità notevole di artropodi velenosi all’interno dell’ordine degli Scorpiones, superiori a 30 generi appartenenti a una significativa varietà di generi e famiglie. Tra cui i Buthus e Compsobuthus, generalmente non più grandi degli esemplari che saremmo indotti ad identificare tra i confini delle nostre case. O gli Orthochirus dalla forma compatta, la cui piccola quantità di veleno assai difficilmente potrebbe costituire un problema per l’organismo umano… A meno di essere affetti da condizioni preesistenti. Ma il catalogo finisce per espandersi eccessivamente, giungendo ad includere anche due delle creature più pericolose al mondo appartenenti ad una tale genìa, recentemente citate anche dal New York Times: i terrificanti Androctonus, di fino a 10 cm di lunghezza dalla coda spessa come un pugnale ed il Leiurus quinquestriatus, una specie di colore giallo la cui dose di veleno letale risulta essere abbastanza piccolo da giustificare il soprannome di deathstalker (“assassino in agguato”) la cui puntura è nota per avere conseguenze rilevanti dal punto di vista medico almeno una dozzina di volte l’anno. Ora, normalmente, simili creature sono solite rintanarsi in luoghi comparativamente umidi e ombrosi, il che tende a portarle talvolta all’interno dei confini urbani. Benché la ragione principale che li vede tanto ben adattati a un simile contesto geografico resti una e soltanto quella: le vaste distese sabbiose dei deserti nordafricani. Finché un qualcosa di supremamente inaspettato, e drammaticamente lesìvo, non finisce per accadere: la precipitazione meteorologica dell’intera quantità di acqua normalmente caduta in un anno, nel giro di appena un paio di settimane. Abbastanza per cambiare radicalmente, e drammaticamente le regole di un tale accordo non scritto tra creature senzienti e simili silenti cacciatori dei pertugi.
Andando perciò ben oltre le annuali piene del grande fiume Nilo, che per tanto del tempo trascorso avevano permesso la prosperità delle coltivazioni agricole egiziane, gli eventi piovosi di questi ultimi due anni hanno avuto un costo particolarmente significativo per l’amministrazione cittadina di Assuan. A partire dal maggio del 2020 e poi di nuovo l’estate successiva, con una casistica ancor più grave iniziata in questo novembre del 2021, tale da coinvolgere le abitazioni di una quantità stimata di 2.000 famiglie e causare il crollo di almeno 106 case rurali al conto attuale (cifre destinate, assai probabilmente, ad aumentare ancora). Per non parlare dei 5 morti fino a questo momento, uno dei quali sembra tuttavia riportare una causa d’inaspettata natura: la puntura di uno scorpione. Una brutta casistica vissuta a quanto pare da altre 400 vittime, fortunatamente destinate a sopravvivere all’esperienza. Già perché a quanto riportava ad inizio settimana l’emittente araba Al Jazeera, con una storia entusiasticamente ripresa dalle testate di tutto il mondo, la caotica propagazione delle acque ed i conseguenti sconvolgimenti ambientali hanno portato ad una letterale invasione di questi aracnidi all’interno della abitazioni umane, nel tentativo disperato quanto istintivo di salvare se stessi e la propria prole. Ora esistono molte tipologie di piccoli animali, per cui la convivenza a stretto contatto con la gente non potrebbe portare a gravi ed immediate conseguenze. Ed alcune delle specie fin qui citate, senza dubbio, rientrano all’interno di una simile categoria. Per le altre, invece, vale l’esatto contrario, scomodando l’esatto confine opposto dell’ideale scala della pericolosità corrente…

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Il nuovo ragno asiatico delle banane che sta terrorizzando la Georgia statunitense

“L’anno scorso, in tutta l’estate, ne avrò visti appena una decina.” Racconta un possessore della tipica villetta a schiera nella contea di Madison sul vasto forum digitale: “Mentre soltanto ieri, ho dovuto ucciderne più di 30 in varie zone del mio giardino. Se non si fa qualcosa a livello nazionale, questa situazione diventerà un grosso problema. E non ci vorrà molto…”
Oblungo, delizioso frutto giallo che proviene da distanti piantagioni, e che per via dei suoi tempi di maturazione particolarmente stringenti richiede una filiera rapida, al punto da risultare pressoché fulminea. Impacchettato in grandi quantità all’interno di scatole telescopiche, o grandi container di metallo, poco prima di essere caricato in nave o in aereo. Ma chi ha davvero il tempo di controllare se ci sono, caso vuole, problematici clandestini a bordo? L’ombra zampettante di creature potenzialmente capaci di propagarsi all’altro lato del pianeta, diventando un significativo problema per gli ecosistemi e perché no, le persone all’altro capo degli oceani di questo pianeta. Molto ha fatto discutere, a partire dal 2016, la notizia dell’avvistamento in un supermercato tedesco ed altri luoghi europei di taluni esemplari di Phoneutria nigriventer dal Brasile, 15 cm di legspan (ampiezza delle zampe) nonché uno dei peggiori veleni neurotossici mai prodotti da un artropode in assoluto. Casi isolati, per fortuna, vista la letalità dell’aracnide, cionondimeno in grado di suscitare un giustificato senso d’ansia e imprescindibile terrore. Ciò che sta facendo notizia in queste ultime settimane all’interno dello stato della Georgia, causa la capacità di un altro possessore ad otto zampe di quell’allusivo soprannome di trarre vantaggio dalla stessa metodologia di trasporto, si trova in posizione diametralmente opposta per quanto concerne l’aspetto della pericolosità. Pur avendo ormai assunto proporzioni, in termini di esemplari coinvolti, assolutamente non paragonabili al distante collega sudamericano. Sto parlando di quel ragno dalla vivace livrea giallo-verde ed a puntini rossi, arancioni o neri, che in Giappone viene denominato jorōgumo (絡新婦) un termine che può significare alternativamente “ragno prostituta” o “ragno moglie che intrappola [la preda] a seconda delle preferenze dell’ascoltatore. Ed in Corea mudang gumi 무당 구미, ovvero ragno-sciamano o profeta, per la presunta saggezza predittiva contenuta nelle complesse volute delle sue ragnatele, costruite su più strati sovrapposti e con la forma approssimativa di un cestino. Nomi che lasciano supporre un ampio repertorio di storie e leggende in merito a quest’animale in Asia (quale, d’altra parte, ne è privo?) sebbene gli scienziati moderni abbiano preferito chiarire la sua posizione tassonomica a partire dalla prima classificazione nel 1878 con l’appellativo di Nephila clavata, soltanto a partire dal 2019 spostato nel genus Trichonephila, per l’individuazione di una serie di tratti genetici marcatamente distinti dal precedente genere di appartenenza, nonché variopinti ciuffi piliferi in corrispondenza delle articolazioni delle sue zampe. Stiamo parlando, d’altra parte, di una creatura da 2,5 cm di lunghezza negli esemplari femmine e arti facilmente in grado di coprire l’intero spazio di un palmo umano, resi ulteriormente appariscenti da una spettacolare alternanza di color giallo e nero. Ma soprattutto, le caratteristiche di una creatura spettacolarmente prolifica, capace di deporre fino a 400-1500 uova all’interno di un singolo sacco non più grande di un centimetro e mezzo. Capace lui soltanto, dal punto di vista dei genitori, di riuscire a sopravvivere all’intero inverno iniziando ad aprirsi ai primi caldi della primavera successiva, e lasciando così scaturire il eccezionale esercito di piccoli commandos addestrati dall’evoluzione e dalla natura.
Il jorō, come viene spesso chiamato per semplicità, rientra di suo conto nel vasto gruppo informale di ragni inclini a praticare la tecnica del balooning, consistente nella spontanea dispersione dei nuovi nati mediante l’utilizzo di pratici paracaduti costruiti con la ragnatela, spontaneamente trasportati dall’energia del vento nelle quattro direzioni cardinali. Così che non risulta certo difficile da immaginare, all’inizio della presente crisi (perché di ciò si tratta) la brezza sollevarsi durante il trasporto su strada di un carico di banane provenienti dall’India o dall’Indonesia, dal quale all’improvviso si solleva un letterale nugolo di questi giovani pieni di ottime speranze. Pronti a crescere, tessere la propria tela, e prosperare…

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Jack lo squartatopo scopre come uccidere il rospo che sta intossicando l’Australia

Taglia, recidi, rimuovi. Apri, squarta, preleva. Un piccolo morso alla volta, adesso con cautela. Tra le acque tenebrose di un rigagnolo, l’incaricato disseziona la sua vittima di un altro giorno di onesto lavoro predatorio. Con supremo senso d’ordine, infila le sue zanne oltre i confini della cosa morta. Tirandone fuori due bocconi particolarmente ricercati: il fegato ed il cuore. Nulla di diverso, o più di questo. “Nell’ora del più tragico bisogno, quando il futuro apparirà incerto, dalle acque di palude sorgerà un eroe.” Questa l’iscrizione nella lingua degli aborigeni, sulle scoscese pendici di Uluru, la formazione paesaggistica che gli europei avevano iniziato a chiamare Ayer’s Rock. “Dalle alte e rigide orecchie, le orgogliose vibrisse, il folto manto grigio ed una coda lunga e pronta ad arricciarsi, coronata dalla punta candida come la neve sopra Melbourne caduta lo scorso inverno, rakali, rakali, il topo d’acqua fuoriuscito dal suo elemento.” Il salvatore che ci meritiamo e non esattamente quello che vorremmo, forse, sebbene a differenza del crociato col cappuccio di pipistrello, qui si stia parlando di qualcuno che non ha problemi a uccidere, secondo il modus operandi che gli è stato dato in concessione dalla natura. O per meglio dire molti “qualcuno” caratterizzati dallo stesso senso di abnegazione e sprezzo del pericolo, assolutamente necessari ad affrontare senza nessun tipo di timore la prova più terribile di fronte alle alterne vie del fato: una realistica possibilità, senz’alcuna strada di salvezza alternativa, per andare incontro all’avvelenamento. Morte della bestia e tutto ciò che questa rappresenta. Ed allora chi più sorgerà, dalle nebbie sovrapposte delle epoche, a salvaguardare il penultimo dei continenti che sia ancora in grado di mantenere un qualche tipo di contatto con la Preistoria? Ma non c’è topo nell’Antartico, non c’è alcun tipo di rospo, e soprattutto mancano i fondamentali presupposti perché una specie “non-nativa” possa sopravvivere e far danni. Moltiplicarsi e divorare fino all’ultima risorsa di cibo, mentre essa stessa viene fagocitata a sua volta, in un ciclo dal feedback negativo simile al destino dei dannati nelle profondità ctonie dell’Inferno dantesco. Poiché nessuno può riuscire ad assaggiare il gusto del Rhinella marina della Colombia, l’odiato-odiato rospo delle canne, senza subirne immediatamente le conseguenze: schiuma dalla bocca, tremori, convulsioni, dispnea e morte. Fatta eccezione per tutti coloro che hanno appreso, tramite una serie d’episodi pregressi, lo specifico segreto per riuscire a farlo.
Quanto visto nel video in allegato che potrebbe anche aver offeso la vostra sensibilità (ed allora perché mai cliccarlo? C’è un rattone che sventra un batrace!) rappresenta in effetti la chiave di volta di una nuova possibile strategia capace di sradicare ed annientare gli orribili peccati dei predecessori. Commessi accidentalmente quando attorno alla terza decade del secolo scorso, speranzosi agricoltori credettero di aver trovato il modo di annientare una volta per tutto l’odiato curculionide Dermolepida albohirtum, divoratore di canna da zucchero come se non ci fosse stato un domani. Finendo per scoprire, in maniera drammatica e irrecuperabile, quanto sciocco fosse pensare d’intromettersi nel naturale funzionamento dell’ecosistema terrestre, almeno senza rinunciare ad alcuna pretesa di controllo sul conseguente dipanarsi degli eventi. Il che avrebbe rappresentato, dopo tutto, un’ottima cosa. Per il rospo. Ed una cosa terribile per tutti gli altri, visto l’effetto di una tale specie dalle straordinarie difese biologiche, e l’ancor più terrificante capacità di proliferazione, non soltanto sulle pur sempre limitate risorse di cibo di un bioma ma sulla sopravvivenza dei carnivori stessi, tra cui quoll, varani, serpenti e coccodrilli locali; purtroppo incapaci d’associare il pericolo ad un letterale panino gracidante con le zampe, totalmente incapace di sfuggire alla loro fame. Tutti ad eccezione di alcuni gruppi di corvi e i variopinti pappagalli noti come lorichetti di Swainson (anch’essi tutt’altro che nativi) che furono osservati praticare una particolare metodologia per poter trasformare la pericolosa preda in un gradito pasto privo di alcun tipo di conseguenza. Dagli occhi spalancati degli umani stessi, e quelli stranamente attenti, per non dire colmi d’ammirazione, della cosa più simile che esista al concetto universale di una nutria, che sia però nata e cresciuta in Australia…

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