Stabilità è il nome del pesce che troneggia nel tiepido torrente abissale

Triglie bianche come l’osso, che si aggirano fluttuando nei giardini del tempio. Quale demone notturno, quale karma negativo accumulato, dalla moglie o il figlio del pescatore, quale capovolgimento del profilo dell’economia ambientale del mondo? Viaggiatori ed abitanti dell’insediamento montano, al tempo stesso, ne hanno risentito con profondi morsi sulle spalle e le braccia, raccontando del problema ai custodi dell’alto santuario shintoista. Causando l’intervento di un interprete dei mondi interconnessi, con la sua tavola per individuare il transito delle correnti cosmiche e il bastone esorcizzante benedetto da una miko, i lunghi strali cartacei fatti agitare dalla brezza serale. Così nella penombra, un piede dopo l’altro senza emettere rumori, l’uomo si è addentrato nel sancta sanctorum. Individuando molto presto l’evidente origine del problema: un incensiere in bronzo proveniente dalle terre continentali, in equilibrio sui tre piedi tipici dei manufatti della sua Era. Senza fumo, senza fuoco, eppure profumato di un sentore stranamente suggestivo concentrato attorno alla sua forma pinnuta. Poiché di un pesce di trattava, sebbene di un tipo totalmente differente dalla consuetudine. Alto e aguzzo, affusolato per quanto possibile. La coda di metallo impossibilmente intenta a dare seguito ad un modo ritmico ed ondulatorio. D’un tratto i piccoli occhi si aprirono puntando dritti verso lo stregone intento a benedire l’ambiente. E il tripode salendo in direzione del soffitto, ritirò le punte perpendicolari preparandosi a puntare all’indirizzo del suo nemico.
Il senso di minaccia immaginifica espressa da una simile congrega di creature, dalla loro forma minacciosa e l’aggressiva geometria delle forme, può costituire tuttavia un fondamentale fraintendimento. Dinnanzi alla natura placida del pesce tripode (fam. Ipnopidae) perennemente intento a fare ciò che gli riesce meglio: mantenersi totalmente immobile in senso contrario all’andamento della corrente. Nella fiduciosa e comprovata attesa di poter filtrare, ed occasionalmente provvedere a fagocitare, una considerevole quantità di plankton e cobepodi di varia natura. La cosà più simile per questo a un’insettivoro, nella remota ed oscura zona batipelagica di taluni dei suoi rappresentanti, sebbene l’ampia varietà di specie inserite all’interno della categoria includano sia pesci degli abissi che frequenti all’interno delle lagune, dai pochi metri ai 2.400 di profondità, dove vennero fotografati per la prima volta negli anni ’50 dal biologo marino francese Georges Houot. In modo tale da rendere la tipologia più iconica ed immediatamente riconoscibile, come ancora una volta è capitato con il filmato memetico che sta facendo il giro delle reti social, a questi notevoli Bathypterois grallator, esemplari cosmopoliti capaci di raggiungere i 43 centimetri di lunghezza ed effettivamente conformati come un singolare esempio di scultura contemporanea o grafica creata per arredare un videogame. Perfettamente inamovibili nell’apparenza, finché il primo dei soggetti della telecamera non si stacca dal terreno. Mostrando al mondo digitale la sorprendente versatilità dei propri lunghi barbigli…

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L’improvvisa manifestazione dei gamberi miracolosi nelle pozzanghere del Maine

Quanto delicato è realmente questo ecosistema, fino a che punto dobbiamo pensare ai nostri gesti e quello che riescono a causare, più o meno direttamente, nello scivoloso rapporto tra gli eventi fino a condizioni non più necessariamente recuperabili, in alcun modo conduttive a condizioni che si oppongono all’entropia? Per comprenderlo davvero, utilizzando un caso come punto di riferimento, basterà guardare al triste fato del gambero fata della Florida (Dexteria f.) finito per estinguersi nel preciso momento durante l’anno 2010 in cui, per costruire un edificio, fu deciso di prosciugare un piccolo punto d’accumulo dell’acqua piovana, in una depressione totalmente indistinguibile da tutte le altre. Almeno finché non fu fatto notare, purtroppo in ritardo, la maniera in cui quel sito costituiva l’unico recesso noto per quella notevole specie animale, che a partire da quel momento sarebbe stata relegata alla memoria dei naturalisti e i libri scientifici sul tema dei piccoli crostacei nuotatori. Giusto, sbagliato, poco importa: il corso del progresso porta l’uomo a muoversi attraverso dei binari obbligatori. Che pur espandendo i territori e i margini del profitto materiale, tende a metterlo in conflitto con l’ambiente così com’era prima della sua venuta. E tutto quello che all’interno di esso, fin da un’epoca remota, continuava a vivere in maniera ragionevolmente indisturbata. Ma il problema principale, che esula persino dallo spettro dei problemi presi in considerazione negli ambienti dei commissari ambientalisti più appassionati, è la maniera in cui non tutti le creature sono carismatici, appariscenti, sufficientemente grandi da lasciare un chiaro segno nella mappa ideale delle circostanze. E ve ne sono alcune, in modo particolare, che sfuggono alla percezione della gente comparendo ai meri margini della coscienza, a stagioni alterne, per poi ritornare nuovamente nell’ottuplice ed impercettibile dimensione.
Anostraca, forse saprete già di cosa parlo. O più nello specifico Branchinecta, Branchinectidae. Non le tipiche “scimmie” di mare in salamoia, questa volta (giocattolo scientifico dei tempi andati) né il triops, minuto fossile corazzato dal guscio idrodinamico (di cui pure parlammo in tempi non sospetti) bensì quei loro umili cugini raramente superiori ai 3-5 cm di lunghezza, disseminati nell’intero territorio degli Stati Uniti a partire dalla penisola meridionale nell’Atlantico ai fino ai territori ricoperti di foreste, pianure aride, colline remote lungo il tragitto della costa situata maggiormente a settentrione. Questo perché di animali acquatici che vivono primariamente circondati dalle acque ce n’erano già troppi. Laddove il gambero fata essenzialmente non ha nessun reale bisogno di quel tipo di presupposto. Facendo del suo stile la capacità di prosperare non soltanto nell’entroterra, bensì sfruttando quel tipo di pozza d’acqua dolce meramente stagionale, che compare al culmine della stagione delle piogge per poi evaporare o essere assorbita dalla terra, nel corso dell’estate più secca e incombente. L’inizio ricorrente, per tali esseri, di una drammatica ed al tempo stesso imprevedibile avventura…

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Finalmente dimostrato il teorema della cicalina che catapulta il contenuto della sua vescica

C’è una vera e propria guerra, là fuori, che dall’epoca della Preistoria non ha conosciuto più di qualche misera tregua, di durata particolarmente breve. È il conflitto senza scrupoli tra le creature piccole, siano queste insetti o i loro multipli e implacabili predatori. La fanteria degli imenotteri, instancabili formiche che procedono tra i boschi alla ricerca di possibili fonti di cibo; carri armati ed altri mezzi dalla resistente blindatura, con lumache, scorpioni e scarabei a riceverne la fondamentale ispirazione; ed il pericolo costante dell’aviazione, una tempesta letterale di vespe, zanzare ed altri succhiatori opportunisti delle circostanze più variegate. Così come in mezzo ai rami e tra le foglie, tende ad appostarsi l’instancabile cecchino in equilibrio, la striata o trasparente creaturina che cerca riparo quando disturbata, in modo tale da osservare senza essere osservata, continuando la sua rapida mitraglia d’insolite, ed al tempo stesso formidabili munizioni sferoidali. Questo senza nessun tipo di obiettivo definito e a dire il vero, neppur la benché minima approssimazione di un bersaglio, avendone sostituito la presenza grazie alla ricerca di una diversa e ben più pratica mansione: liberarsi al più presto di quanto potrebbe essere utile a trovarla. Una singola aromatica, umida munizione alla volta. Proprio così ed è questo, in poche parole, l’origine del nome anglofono sharpshooter (“franco tiratore”) generalmente attribuito a un’ampia gamma d’insetti saltatori mai più lunghi di un centimetro e facenti parte della famiglia Cicadellidae o cicaline, altrettanto note per la loro problematica abitudine di trarre nutrimento dallo xilema, il tessuto vascolare adibito alla circolazione della linfa grezza nella maggior parte degli esseri vegetali. Una sostanza tanto poco nutriente, a dire il vero, da richiedere un processo pressoché continuo di suzione attraverso l’impiego della loro appuntita proboscide zanzaresca, con conseguente deiezione di fluidi altrettanto ininterrotta e costante. Dal che l’idea prodotta dall’evoluzione (quel Demiurgo infinitamente creativo) di provvedere all’espulsione il più lontano possibile di tale sostanza, analogamente a quanto perseguito da numerose altre specie d’insetti. Ma tramite un approccio all’apice dell’efficienza, consistente nella periodica produzione di una sferica gocciolina in corrispondenza del proprio sfintere (a voler essere tecnici, facente capo a dei tubuli e non una vera e propria vescia) poi catapultata indietro mediante l’impiego di un organo articolato noto come penna anale. Metodologia apparentemente sottoposta a una pregressa disanima completa da parte della scienza, almeno finché al Prof. Saad Bhamla dell’università Georgia Tech non è capitato di osservare un esemplare di questa diversificata genìa all’opera nel suo giardino. Notando l’estrema velocità con cui la propulsione dei suddetti proiettili pareva attraversare il proprio campo visivo, suscitando l’opportunità di dare inizio a un nuovo, interessante approccio allo studio di quel processo…

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Oh, bagnato bruco della mosca! Dalla lunga e lesta coda rattiforme!

Nella poliglotta e universale gerarchia degli insulti, spesso un repertorio valido deriva da particolari tipologie d’animali. Creature in qualche modo percepite come piccole o meschine, infelici o poco utili alle buone condizioni dell’ambiente e della civiltà umana. Esseri come i vermi, oppure i ratti, chiaramente condannati da eventuali malefatte in vite precedenti, al punto da finire reincarnati in siffatte condizioni, in una nicchia biologica del tutto priva di sbocchi o realizzazioni. Come se l’individualità, nell’Universo, forse null’altro che un’artificiale condizione elaborata da esseri pensanti ed unici, nell’infinita vastità delle possibili condizioni dei viventi. E dopo tutto, noi chi siamo al fine d’improntare una possibile architettura di giudizio? L’evidente scala dei valori che si adatti ad ogni cosa e circostanza, qualsivoglia genere di strisciante o zampettante creatura? La precisa e pratica realizzazione di un piano sofisticato, frutto di una lunga quantità di anni e plurime generazioni molto superiori alle nostre. Fino a poter mettere i nostri occhi sopra tutto questo: i molti piccoli vermetti nel barile d’acqua putrida e stagnante. Ciascuno egualmente lieto di essere nel mondo, mentre in silenzio mastica e trangugia larghe quantità di mucillagine aumentando di peso, la lunga propaggine sul retro in posizione obliqua che fuoriesce parzialmente dalla superficie. Fino al giorno in cui il suo possessore non sarà abbastanza forte, e grande, da poter nuotare oltre i margini di questo stagno maleodorante. Per andare a seppellirsi, con grandissimo senso d’aspettativa, tra il terriccio del nostro giardino: bestia o belva, mistica presenza semi-trasparente ed indefessa. Valida versione della vita, di per se perfettamente produttiva e completa in ciò che tenta in genere di fare. Ma come se ciò non potesse mai essere abbastanza, ecco ciò che la natura serba sotto i nostri occhi come ultima sorpresa della rinomata vicenda: la nascita due settimane dopo di una… Mosca. Dai colori assai variabili come anche le forme, poiché liberamente appartenente alle tribù degli Eristalini e Sericomyiini, più comunemente definiti delle hoverfly. Pronte a sollevarsi per cercare pollini o nettari abbastanza nutrienti, da riuscire a supportare la propria sopravvivenza fino al catartico momento riproduttivo. Una pratica ben collaudata e supportata dall’evidenza, soprattutto quando coinvolge fiori di colore giallo. Ecco perciò, oh pragmatico uomo moderno, l’effettiva “utilità” di cose come queste. Semplicemente una valida ragione d’esistenza, di agrimonia, alisso, anemone, dente di leone, ginestra e girasole, verbasco, qualche volta pure il tulipano. Orribile strisciante visu, passaggio utile a ogni cosa bella che sussiste nel mondo…

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