Il video della pianta carnivora che cattura una pecora intera

Sheep Brambles

Un soffio di vento, il grido del merlo, un lieve agitarsi del fusto centrale: “Non è come sembra, lo giuro!” Sembra esclamare, la fronzuta divoratrice. Come già centinaia di volte negli ultimi 10 anni da che Tim e Sandra, agricoltori irlandesi, hanno iniziato a pubblicare le proprie vicende quotidiane sul loro canale di YouTube, WayOutWest. Ma lo sguardo non mente: l’ennesima pecora in età medio-giovane, quindi non ancora in età da tosatura ma già dotata di un fitto manto, si è avventurata ai margini del terreno recintato della fattoria, finendo vittima di un’entità ben più pervasiva, pericolosa ed attuale di qualsiasi fiabesco lupo. Si tratta di una scena che, vista con gli occhi dell’intuito potrebbe facilmente suscitare un duraturo senso di sgomento. Perché non c’è davvero niente che possa dare luogo ad ipotesi gradevoli, qui: il povero animale si trova impalato, perfettamente immobile fino al momento della sua dipartita, come spesso fanno gli ovini che ormai hanno perso ogni residua speranza. Mentre una propaggine verde, o per meglio dire un inquietante cordone di molti tentacoli avviluppati tra loro, si protende fino al suo dorso candido, intrappolandola senza via d’uscita. Presto o tardi, lei morirà di stenti. E benché quanto segue sia impossibile, è facile immaginare il mostruoso arto che si agita nell’aria, alla maniera di un vecchio film dell’orrore, alla ricerca di un essere abbastanza disattento, o impreparato a fuggire, finendo per costituire la preda elettiva di questa giornata. Ma smettiamo di divagare: si tratta di un rovo comune, Rubus ulmifolius, la pianta dal piccolo frutto rosso, poi nero una volta maturo. Che si dice dovesse ricordare il sangue di Cristo, che ne fu incoronato. Sulla cui essenza spinosa piuttosto familiare, tuttavia, la caratteristica voce narrante di Tim espone un’ipotesi, così biologicamente chiara, tanto intuitivamente logica, che viene da chiedersi come mai nessuno avesse mai pensato di offrirla al pubblico generalista del web. Almeno, in questi specifici termini: “Guardate le spine” Ci fa lui, parafrasando: “Le loro punte acuminate, in effetti, sono rivolte verso l’interno della pianta, come si trattasse di uncini. Più che un mezzo di difesa, costituiscono un’arma!” E perché mai un vegetale simile, da sempre apprezzato per le sue more e che prospera nei climi pressoché di ogni parte del mondo, dovrebbe avere bisogno di aggredire animali? Se non… “Guardatela. Prendetene atto. Questa, nessun altra, è la pianta carnivora più grande e affamata del mondo.
Si, come no! Viene da rispondere, in un primo momento. Non perdiamo la prospettiva: stiamo assistendo alle mere tribolazioni di una pecora, il cui lungo pelo è rimasto impigliato “accidentalmente” ai rami di una pianta che “per puro caso” era lì. Eppure, immaginate l’ipotetica situazione in cui un uomo dovesse trovarsi in piedi nel mezzo di uno stretto corridoio scuro, con una spada da samurai rivolta dinnanzi a se. Qualcuno, prima o poi, passerà di lì, restando infilzato. Chiamereste a quel punto, costui, innocente? Isaac Asimov, l’autore di fantascienza russo naturalizzato statunitense, aveva teorizzato nei suoi romanzi la questione delle tre leggi della robotica, incise a fuoco vivo nel cervello positronico degli androidi, la cui prima recitava: “Non recherai danno ad un essere umano. Né permetterai che un essere umano riceva danni, a causa del tuo mancato intervento.” Ad ennesima riconferma che non occorre compiere un gesto, effettuare un’azione, perché si sia colpevoli di un delitto. E non è dunque possibile che allo stesso modo il rovo uccida, semplicemente esistendo? La pecora, probabilmente, ha un’opinione piuttosto enfatica sulla questione. Ma adesso passiamo ad un punto essenziale dell’indagine istigata da Tim, ovvero, la ricerca di un movente. Che potrebbe dirsi, se possibile, ancora più inquietante…

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Drone contro pecorone, solo lui la spunterà

Ram Drone

Un’ape gigante. Dal cuore pulsante. Quattro ronzanti eliche, una telecamera squadrata. Con l’occhio placido e le lunghe corna spiraleggianti, egli l’osserva mentre scende presso la sua corte rigogliosa. L’oscuro signore del bosco pedemontano non ha dubbi: questa cosa è l’opera dell’uomo. Ancora una volta, come fatto con i suoi antenati candidi e lanuginosi, l’invasore neozelandese ha portato qualcosa presso i boschi oscuri dell’antico mondo. E dopo l’ha lasciata lì, libera di fare il suo bisogno. Le tredici tribù percorrono, da nord a sud, queste strade splendide delle due isole di un arcipelago, accogliente. Ma talvolta insidioso. Sono, costoro, le pecore perdute. Così può capitare d’incontrare una creatura come questa, l’ennesima orgogliosa erede della dinastia merinos, gran risorsa della vecchia Spagna.
I droni non sono così propensi alla rivolta. Collegati da un sottile ponte d’onde radio all’ombelico di un telecomando, trovano la massima soddisfazione nel portare a compimento la missione di giornata. Risultando disposti, addirittura, a rischiare la propria robo-incolumità soltanto per una manciata di preziosi fotogrammi, sopra l’acqua, tra le nubi, oltre i palazzi di città inconsapevoli e spietate; mentre la pecora è libera, incostante. Come può esserci una comprensione di qualunque tipo, tra queste contrapposte verità? Sembra quasi di sentirgli dire, al cupo abitante: “TU-NON-PUOI-PASSARE” Nello stile cinematico del vecchio Gandalf, benché il suo aspetto complessivo, con massima evidenza, ricordi piuttosto l’altra parte di quella drammatica battaglia. Ma non c’è cattiveria, in questo Balrog veramente meno fiammeggiante. Placido e piacente. Giusto un po’ di testardaggine, e la testa (dura) per portarla fino alla fatale conseguenza. Perché mentre la mucca mangia solamente l’erba, ruminando con lo sguardo a terra, la pecora talvolta preferisce fare il bruco. E masticando foglie, il pericolo lo vede da lontano. Colpisce il drone, lo scaglia nel cespuglio. Poi colpisce pure il proprietario.
Si, Buddhanz1, l’hai trovato. Il Sacro Graal di chi va in cerca di video virali, la chiave innegabile di un vasto successo internettiano. L’ariete arrabbiato, una nostra vecchia conoscenza, che tu hai recentemente battezzato Ram-bro. Grande avversario delle moto, portatore di GoPro, ultimo guerriero di una landa ormai civilizzata. Colui che ruba popolarità e un alto numero di click, ridistribuendola attraverso lucide testimonianze battagliere. Se anche lo sceriffo di New-Nottingham dovesse venire ad arrestarlo, causa dronecidio, il pecorone tornerebbe presto libero in potenza. Tutte le pecore neozelandesi possono trasformarsi in Rambro. Questo nome non è un individuo ma un’idea. E già suo stesso sangue cresce, sotto l’ombra della libera faggeta…

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