Storia della scimmia-gambero di mare, creatura che può vivere millenni tra strati di sale

Circa sei decadi fa, molti anni prima dei social network, i gruppi di discussione e le recensioni online, la comunicazione pubblicitaria aveva un potere molto più grande rispetto ad oggi. Ed una semplice pagina eloquente su una rivista o albo a fumetti, accompagnata da illustrazioni affascinanti, poteva sembrare ai giovani lettori l’invito ad entrare in un mondo fantastico di opportunità ed esperienze. “Piccole persone, una società pensante tra gli abissi” prometteva la presentazione entusiastica delle Sea-Monkeys (“Scimmie di Mare”) “l’allevamento domestico perfetto. Provate anche voi l’emozione di creare la vita.” Dichiarazione programmatica, quest’ultima, potenzialmente realizzabile in tre semplici gesti: l’apertura e svuotamento nell’apposita vaschetta del primo pacchetto incluso nella confezione da un dollaro, denominato Purificatore. L’aggiunta immediata, dopo 24 ore, del secondo ingrediente dal nome di “Uova Istantanee”. E nel giro di sette giorni, alla comparsa di una certa quantità di piccole creature misteriose scaturite dalle circostanze, l’inserimento di appropriate dosi del “Cibo di Crescita” essenzialmente nient’altro che lievito ed alga spirulina preventivamente disidratate. Una procedura elaborata dal produttore di giocattoli e inventore di una certa fama Harold von Braunhut, che si era ispirato ai popolari habitat per le formiche creati da Milton Levine soltanto un anno prima. Di quando nel 1957 aveva visto in un negozio di animali il piccolo crostaceo Artemia salina usato spesso per nutrire i pesci, ma che sarebbe presto diventato una creatura familiare per milioni di bambini americani, e non solo. Tutto questo benché il merito di un simile successo commerciale e culturale vada attribuito, almeno in parte, ai risultati raggiunti preventivamente dall’evoluzione, capace di creare una forma di vita che semplicemente, in circostanze impossibili, poteva rifiutarsi di vivere. O al tempo stesso, morire.
Circostanze come essere confezionate senz’acqua, prima ancora che le suddette uova potessero schiudersi, all’interno di un pacchetto di plastica, ma anche rimanere a secco a causa d’improvvise fluttuazioni del livello dell’acqua nei loro habitat d’appartenenza, finendo sepolte sotto strati di terra o altri elementi totalmente ostili alla vita. Vedi gli esemplari famosamente ritrovati da una squadra di prospezione mineraria attorno al principio degli anni ’90 nelle saline ai margini del Grande Lago Salato, stato americano dello Utah, e prontamente datati mediante l’utilizzo del carbonio-14. Un approccio capace di rivelare l’impensabile, ovvero un’età pari e superiore a 15 migliaia di anni. Trascorsi in attesa di una buona occasione per nascere, così come sarebbe prontamente accaduto, nel giro di pochi giorni, successivamente all’esperimento consistente nel sommergere le capsule nella ciotola da un paio di litri all’interno dell’apposito laboratorio. Immaginate, dunque, l’opportunità di osservare piccoli esponenti del popolo sommerso, i cui genitori vissero all’epoca dell’ultima glaciazione. Una collettività capace di rapportarsi con il mondo in maniera primordiale e imperscrutabile, largamente antecedente al mero concetto di civilizzazione umana…

Leggi tutto

Non c’è scimmia più elegante che l’irsuta portatrice di una barba da brigante

Attraverso le sue molte incarnazioni cinematografiche, il personaggio storico e letterario del conte Vlad Tepes ha visto molteplici interpretazioni entusiastiche del proprio senso dello stile, tra cui forse la più memorabile rimane quella di Gary Oldman nel film del 1992, Bram Stoker’s Dracula, con la sua svettante pettinatura dalla forma approssimativa di una doppia sfera o cuore candido come il corallo delle barriere oceaniche ormai prossime al disfacimento. Una scelta distintiva del costumista giapponese Eiko Ishioka, che potrebbe essersi ispirato ai crismi estetici del teatro kabuki. Ma anche, se vogliamo, alla natura. D’altra parte non è del tutto improbabile che il nobile immortale, eternamente solo nel suo castello, possa essersi interessato in un momento precedente agli eventi del racconto alla fauna originaria della Foresta Amazzonica, tra cui soprattutto un’intera inconfondibile categoria di astute scimmiette. Per quanto riguarda la capigliatura, se non il resto dei peli facciali; d’altra parte non sarebbe stato facile succhiare il sangue umano, se fosse assomigliato alla figura spaventosa ed ingombrante di un pirata o mangiafuoco itinerante. Occhi piccoli, naso appiattito e foltissima peluria sotto il mento. Davvero… Memorabile. Così nell’ideale galleria dei piccoli primati sudamericani, tanto variegata per inclinazioni comportamentali, aspetto e stile di vita, decisamente pochi esempi riescono ad attrarre il nostro sguardo quanto quello dell’intero genere dei Chiropotes o saki barbuti, la cui mansione nella vita sembra esser quasi quella di distinguersi in maniera conturbante. Dalla già perfettamente iconica congrega dei primati appartenenti allo stesso contesto geografico e situazionale. Agili, scattanti nella loro forma non più alta di una quarantina di centimetri o pesante di 3 Kg, mentre si aggirano da soli o in gruppo alla ricerca dei grossi frutti che compongono la parte più significativa della loro dieta. O per meglio dire, i semi che si trovano all’interno, di cui vanno assai ghiotti nell’esecuzione di quello che potremmo unicamente definire il grande piano ecologico del mondo. Quale miglior trasportatore dei nuovi potenziali virgulti possiamo immaginare, d’altra parte, di colui che va direttamente a prenderli sui rami più alti del produttore, per poi spostarsi rapido e procedere nella vigente rigenerazione defecatoria… Una vita forse semplice, quasi del tutto erbivora (fatta eccezione la cattura saltuaria di qualche piccolo insetto) ma non priva di una certa quantità di soddisfazioni. Per la natura tipicamente socievole di questi animali, che li vede organizzarsi più volte al giorno in gruppi dinamici e perennemente intenti a scambiarsi i membri, secondo un preciso sistema gerarchico che vede solo i maschi alfa riuscire (ufficialmente) ad accoppiarsi, sfruttando l’innato fascino dei propri genitali color rosso intenso. Non che tale aspetto e parte anatomica della loro storia vitale costituisca un chiodo fisso dei saki, concentrato tra i mesi di agosto e settembre al contrario di come avviene per altre categorie scimmiesche dalle dimensioni maggiori, semplicemente perché grande parte della loro giornata è trascorsa prestando attenzione ai possibili pericoli provenienti dal cielo. Inteso come uno dei molti rapaci, ivi inclusa la formidabile aquila arpia, che sorvegliano costantemente le cime degli alberi, alla ricerca di possibili spuntini destinati a pagare amaramente il proprio attimo di distrazione. La fine, inconfutabile ed irrisolvibile, di ogni futuro proposito d’ulteriore sopravvivenza…

Leggi tutto

L’autunno tokyoita che rinasce dall’ottuplice parcheggio della Mazda Mx-Patata

L’attento studioso in trasferta nelle isole giapponesi sarà certamente in grado d’identificare la stagione dai suoni prodotti dalla natura: il richiamo degli uccelli e il frinire degli insetti, il fruscio delle foglie trasportate via dal vento, prima di cadere sulla gente in una cappa dorata. Ma se pure egli si trovasse, per un ipotetico scenario, tra le rumorose strade della più grande città del mondo, sarà un verso soprattutto ad annunciare l’avvento dei mesi più freddi. Una voce, giovane, anziana, maschile o femminile, che s’innalza a pronunciare con trasporto: “Yaki-imo! Yakkimo! Yaki-imo, ishi yakkimo!” Proveniente dalla forma immediatamente riconoscibile, e nello stesso modo incline a muoversi con valida coerenza, di un furgone, carretto o altro veicolo a motore sui sentieri asfaltati della megalopoli in perenne affanno. E conseguente, costante fame collettiva, al punto da beneficiare largamente dall’usanza tipica di questi luoghi, di comprare e consumare il cibo sui marciapiedi. In questa strana circostanza, tuttavia, piuttosto che il comune ausilio a questa tipica regione del commercio, gli avventori inquadrati nel corso del video sembrano sapere e riconoscere a tal fine qualche cosa d’inusitato. La rossa forma vermiglia di una Mazda MX-5, più comunemente detta Eunos o Miata. Così come fiammeggiante si presenta il forno di metallo sul portabagagli nella parte posteriore della piccola auto sportiva, maneggiato con palese competenza da una giovane ragazza del luogo. Cappellino e t-shirt bianca, sguardo concentrato, economia dei gesti. Fino a quando allo scattare di un preciso tempo d’attesa, ella apre lo sportello e tira fuori l’aromatico tesoro, un intero vassoio di quel particolare cibo che in un tempo passato, salvò il suo intero paese: l’Ipomoea batatas di colore viola (Murasaki) più comunemente detta patata dolce giapponese. Una chiara ed apparente contraddizione in termini, a dire il vero, quando si considera la ben nota discendenza di ogni appartenente gastronomico a un tale genere vegetale dall’area geografica del Centro e Sud America, dove furono colonna portante nella dieta dei grandi imperi precolombiani. Prima di essere rapiti, assieme al Solanum tuberosum o “normale” patata dai mercanti colonizzatori, che ne trapiantarono copiose quantità in Europa e successivamente, presso le ambascerie costruite nel vasto e distante Oriente. Il che ci porta ad un’importante e forse contro-intuitiva distinzione, tra due cose che ci sembrano concettualmente simili ma vengono, ad un’approfondita analisi, dai famiglie e storie tassonomiche assai distinte. Questo perché ogni varietà esistente di “batata”, come viene anche chiamato l’ingrediente, è una rappresentante a pieno titolo della famiglia delle Convolvulaceae, generalmente associata alla pianta floreale nota con l’espressione programmatica di bella di giorno. Mentre il più diffuso tubero ipogeo, notevolmente più facile da coltivare, è un appartenente al gruppo delle Solenacee o nightshade, che a quanto pare preferiscono esporre le proprie grazie dopo l’ora del tramonto. Il che non ha impedito, all’operosa specie umana, di confonderle ed utilizzarle entrambe in una vasta varietà di piatti, sebbene sia soltanto la prima delle due delizie, attraverso il corso articolata della storia del comfort food, ad aver raggiunto lo status iconico di cosa pronta da mangiare. Senza ulteriori aromi o condimenti, dopo essere stata semplicemente arrostita sopra il motore di una piccola automobile di tipo roadster a due sedili…

Leggi tutto

L’orribile richiamo dei lupi d’acciaio dagli occhi di bragia

Sotto gli occhi affascinati di un gremito pubblico silente, l’attore del kabuki fa il suo ingresso nella scena, relativamente scarna e minimalista secondo la metrica di una qualsivoglia differente tradizione teatrale, tranne forse le altre provenienti dallo stesso paese. Con un gesto magniloquente, sistematosi l’enorme chioma della sua parrucca, allarga quindi le sue gambe, gira il collo e lo sguardo tutto attorno e lancia il grido entusiastico e solenne al tempo stesso: “ヨウウウウウ!” (Yoooooo!) L’aria pare sollevarsi, assottigliarsi, poi convergere in corrispondenza della sua figura, mentre il tocco ritenuto di una coppia di legnetti accelerantisi sottolinea e accresce il senso di agitazione. Apotropaica è sempre tale circostanza, eppur variabile in base a validi suggerimenti di contesto: all’interno di un cimitero, sarà il pronunciamento magico di un onmyōdō, praticante delle antiche tecniche di esorcismo ed allontanamento della sventura. Nel bel mezzo di una foresta, il verso di sfida di un esperto cacciatore, che solleva l’arco lungo pronto per colpire l’orso che fuoriesce dalla propria oscura tana. Nel palazzo dei potenti, tanto spesso, il grido di vendetta dei figli usurpati, i samurai ribelli, i servitori di ritorno da un fallito tentativo d’assassinarli. Come i visitatori dell’alto castello del mago di Oz, per ciascuno di coloro che ode quel drammatico richiamo percepisce dunque in esso il valore permeabile di un differente messaggio. Che sia convinzione, furia o chiarezza d’intenti. O persino il grido atroce di un guerriero dalla maschera di lupo. Perché proprio questa, è la natura imprescindibile dell’umanità.
Confrontiamo, d’altra parte, il tipico comportamento di una delle tanti specie animali che rendono difficile la vita negli ambienti rurali di quello stesso vasto, occasionalmente selvatico paese. Per un cervo, cinghiale o macaco dalla faccia rossa, l’astrazione non ha nessun tipo di significato. E una sirena d’allarme, dopo l’iniziale senso di stupore e atterrimento, cessa semplicemente di essere presa in considerazione. Permettendo la continuazione indisturbata delle proprie pericolose ed indesiderabili attività quotidiane. Così è a questo punto che entra in gioco, nell’ideale linea temporale degli eventi, l’inventore e imprenditore della città di Naie in Hokkaido Mr. Ota Seiki, che attorno al 2016 iniziò ad interrogarsi in merito a cosa potesse essere fatto per impedire l’invasione dei campi da parte dei suddetti portatori di rovina ed altri simili, piuttosto che arrendersi cedevolmente al corso naturale degli eventi. Almeno finché non gli capitò di riconsiderare con occhio critico la notizia relativa alla nutrita schiera di bambini in età scolare che restarono colpiti da crisi epilettiche in un celebre caso di vent’anni prima durante un episodio dei Pokémon, prima che i regolamenti per le trasmissioni mediatiche nazionali introducessero il divieto d’immagini lampeggianti ad un ritmo eccessivamente veloce. “Quindi, se la semplice luce può essere sgradevole o pericolosa” Pensò allora: “Un faro lampeggiante, con suoni ripetuti ed attivato da una cellula fotoelettrica potrebbe senz’altro riuscire ad allontanare senza falla gli animali”. Così per almeno quattro notti, i cervi della zona di prova nei dintorni della città innevata conobbero il vero significato della parola terrore. Finché abituatosi al fastidio, non finirono per relegarlo in un cassetto ben serrato della propria co(no)scienza. Per tornare nuovamente e allegramente a brucare. Da che Ota comprese che sarebbe servito un’approccio alternativo alla questione. Uno che nascesse da notizie informate, piuttosto che le mere impressioni rilevate dal senso comune…

Leggi tutto