La giornata era decisamente cominciata con il piede giusto, nell’assolata pianura erbosa presso l’entroterra di Shark Bay. Dove il giovane aspirante riposava quietamente, sotto un Sole intenso sufficiente a fargli raggiungere la temperatura ideale di 35-37 gradi. Così mentre la sua forma giaceva in un perfetto stato d’immobilità, come una pietra, come una pigna, i suoni della primavera australiana riecheggiavano nell’aria tersa di metà mattina: il distante gracchiare delle rane di Kimberley. Il battito dei piedi prodotto da un vicino gruppo di wallaby in cerca di nuovi territori. La sghignazzante estasi del kookaburra, vorace uccello appollaiato sopra gli alberi, in attesa di scorgere una preda. E sebbene l’aspirante ben sapesse di rientrare a pieno titolo in tale categoria, non era troppo preoccupato. In primo luogo perché il suo semplice ma efficace estinto gli diceva che finché non si fosse spostato, sarebbe stato del tutto invisibile per i suoi nemici. Ed ancor più di questo, per la questione che più d’ogni altra campeggiava in quel momento al centro dei suoi pensieri: trovare una compagna con cui condividere la prossima stagione, una felice controparte, degna di ricevere le sue attenzioni, ricambiandolo con l’opportunità di diventare un genitore. Splendido, irrinunciabile passaggio per la vita di ogni rettile. Secondo i precisi dettami della natura. Fu allora quindi che, d’un tratto, una scagliosa forma tubolare penetrò sotto la luce da un cespuglio vicino. Così dopo un attimo di cauta speranza, il metodo e il senso di quei momenti subì un repentino cambiamento. Lottare, adesso, prevalere, sconfiggere chi tenta di soprassedere all’ordine legittimo degli eventi. L’antica furia draconica dei dinosauri! Con un rapido scivolamento, grazie all’uso di piccole zampe appena visibili, lo scinco rivale raggiunse quella che sarebbe diventata la loro arena. In modo che l’aspirante, non senza l’accenno di un sospiro metaforico, non potesse in alcun modo evitare di fare lo stesso. Ma qualcosa d’irregolare, fin da subito, sembrò avere luogo in tale scontro privo di altri testimoni che il vento, l’erba, gli alberi stessi. Mentre il nuovo arrivato si disponeva attentamente a forma di C, perpendicolarmente alla posizione del signore costretto a difendere il suo feudo, per offrire una possibile pluralità di circostanze. Poiché a quel punto, per l’aspirante, la scena diventò terribilmente ed orribilmente confusa: quale dei due lati era la testa, e quale, invece, la coda? “Le cose che mi trovo costretto a fare, per amore!” Sibilò tra se e se, mediante fuoriuscita ritmica della sua lingua color cobalto. Quindi assunse anche lui la posizione di rito. Ed i due iniziarono, in maniera lenta e cadenzata, a disegnare cerchi tra i verdeggianti confini dell’ardito contenzioso…
Di certo, un fraintendimento comprensibile. Per questa creatura con l’appellativo di lucertola shingleback (ma molti altri possibili nomi) e tassonomicamente ben collocata nel genere dei Tiliqua o scinchi dalla lingua blu, sebbene sia dotata di alcuni significativi punti di distinzione. Primo tra tutti, il possesso di una coda carnosa capace di agire come deposito di grasso nei periodi di eccessiva siccità o carenza di cibo, perciò priva dell’implicita capacità di staccarsi e ricrescere a tempo debito, agendo come distrazione nei confronti di un possibile predatore. Il che del resto viene compensato da una notevole funzione addizionale: quella offerta dal possedere la stessa dimensione apparente, forma e moto inerente della testa stessa dell’animale. Permettendo a quest’ultimo, a seconda dei casi, di apparire di spalle quando invece sta guardando dritto verso il pericolo. Oppure scappare via veloce, quando le circostanze lo richiedono, senza passare per la laboriosa manovra di voltarsi a 180°. Quando non decide, piuttosto, di affidarsi totalmente alla sua dura scorza simile a una corazza, coadiuvata dalla scenografica capacità di sollevarsi e spaventare i suoi nemici, mediante l’uso della grande bocca e la saettante lingua dal colore per lo più imprevisto. Un sistema che riesce ad ottenere buoni risultati, per una creatura della dimensione approssimativa di appena 260-310 mm quando gli riesce di raggiungere l’età adulta, sebbene non funzioni il 100% delle volte e soprattutto risulti largamente inutile in molti dei pericoli che si trova ad affrontare oggigiorno. Tra cui l’assalto inaspettato di cani, gatti, l’assunzione accidentale di veleno per topi, oppure il rombo inesorabile di un autoveicolo sopra l’asfalto delle circostanze. Con l’autista totalmente impossibilitato a comprendere se la lucertola stia per attraversare, oppure abbia appena finito di compiere quel dannato gesto…
lucertole
La bolla pulsante che libera questa lucertola dall’incombenza di prendere fiato
Per i serpenti predatori del Costa Rica e il resto dell’America Centrale, la velocità è diventata una dote primaria nella cattura del loro pasto quotidiano. Questo perché molte delle loro prede, attraverso i secoli successivi, hanno appreso una speciale via per guadagnarsi la salvezza: immobili, attente, rigide nella muscolatura e nello sguardo. Le lucertole anolidi dell’ecomorfo arboricolo, che tanto bene sanno del pericolo, non son più solite aspettare la venuta dell’ora fatidica in mezzo alle fronde della volta forestale. Bensì sulla punta più estrema dei rami degli alberi, presso un ruscello o fiume dall’acque relativamente scorrevoli, in assenza per lo meno apparente di una qualsivoglia valida via di fuga. Illusione che ben presto si dissolve, nel preciso momento in cui la morte strisciante fa il suo tentativo d’avvicinamento, e il rettile dalle quattro corte zampe, senza nessun tipo d’esitazione, tranquillamente salta giù e sparisce tra le limpide acque sottostanti. Letteralmente e nel senso che, per riuscire a vederlo riemergere, occorrerà aspettare tra i 15 e i 18 minuti, in maniera analoga a quanto succede con le rane. Il che costituisce, di sicuro, una questione in grado di suscitare un certo grado di perplessità e sorpresa, quando si considera come dal punto di vista morfologico l’Anolis aquaticus, unico piccolo rettile, distante parente dell’iguana, che era stato associato a partire dal 2008 e fino al giorno d’oggi ad una simile distintiva abitudine, appaia per il resto del tutto simile a qualsiasi altro membro del suo vasto genere d’appartenenza. Mentre uno studio pubblicato lo scorso 12 maggio sulla rivista Current Biology, da Mahler, Swierk e colleghi, chiarisce e rende al tempo stesso ancor più notevole l’intera questione. Riuscendo ad attribuire, mediante una lunga e complicata serie d’osservazioni, questa stessa propensione all’immersione ad un minimo di 18 specie differenti, molti delle quali appartenenti a regioni geografiche nettamente distinte, ciascuna osservata mettere a frutto in condizioni controllate lo stesso, notevole espediente. A partire dalla cattura pressoché spontanea, nei primi attimi successivi all’immersione, di una o più goccioline facenti parte del flusso acquatico, grazie alle naturali doti idrofobiche della loro pelle scagliosa, con una particolare efficienza riscontrata a tale fine proprio dell’estremità draconicamente appuntita del loro muso. Presso cui, come ampiamente documentato in una serie di video diventati in seguito famosi, il globo gassoso è solito apparire e scomparire a ritmo controllato, mentre la lucertola inala, e conseguentemente esala, i propri rapidi respiri sommersi. Giungendo a dimostrare l’innegabile capacità di riempire i propri polmoni con la stessa aria che vi è già passata in precedenza, in maniera non dissimile da quella possibile per gli utilizzatori umani di un rebreather, meccanismo tecnologico in grado di bloccare, eliminare o smaltire in qualche modo l’accumulo nocivo di CO2. Un sistema del tutto paragonabile per intento e funzionamento a quello posseduto dalla lucertola, il cui approccio della bolla giunge effettivamente a formare una sorta di membrana permeabile, da cui tutto il gas prodotto tramite lo sforzo polmonare tenderà rapidamente a fuggire, causa l’aumento di pressione, mentre il molto ossigeno contenuto nelle acque turbinanti del ruscello, un po’ alla volta, giungerà ad occupare il suo posto. E così via per il più lungo tempo possibile, in maniera analoga a quanto fatto da talune specie d’insetto quali lo scarabeo tuffatore (gen. Dytiscus) o altri artropodi come il ragno palombaro (Argyroneta aquatica, vedi precedente trattazione) sebbene per un periodo dall’estensione più breve causa la maggiore necessità d’apporto gassoso al sostentamento efficace di organismi dalle dimensioni decisamente superiori. E abbastanza variabili, se è vero che il nuovo studio brilla indubbiamente per varietà e tipologie dei suoi soggetti dimostratosi capaci di realizzar l’acquatica impresa…
Il geco Spider-Man capace di sparare ragnatele dalla coda se viene minacciato dai predatori
Il grande ragno cacciatore o sarasside sporse la sua testa sopra il sasso parzialmente rovesciato dai rovesci del temporale. Le sue zampe allargate a ventaglio, ben piantate sulla superficie minerale a una distanza di oltre 30 cm, gli permisero di scavalcare con lo sguardo le asperità del terreno, scorgendo a qualche metro di distanza una perfetta vittima dell’ora vespertina: letargico e in attesa, in apparenza rilassata, la lucertola credeva di poter contare sul mimetismo della sua livrea puntinata, ma la striscia rossa al centro l’aveva tradita. Perciò mentre questo particolare aracnide, cacciatore attivo senza l’uso di una tela, cominciava a dirigersi verso la sua cena, la sua semplice mente comprese istintivamente qualcosa: che gli occhi rossi e variopinti del rettile, nel contempo, lo avevano individuato. E la piccola creatura avrebbe fatto il possibile per avere salva la vita. Pochi secondi dopo, raggiunta una distanza successiva a fare il balzo che conduce alla cattura, il ragno s’immobilizzò d’un tratto: lo Strophurus Taenicauda, o geco dalla coda d’oro, aveva infatti cambiato forma, inarcando al schiena alla maniera di un felino. Ma questo, incredibilmente non era tutto. L’esperto consumatore di scattanti vertebrati poteva ora scorgere direttamente coi suoi nove occhi la coda dell’avversario sollevarsi, e ripiegarsi in avanti come quella di uno scorpione. Inoltre, cominciò a produrre un suono reiterato simile all’abbaio robotico di un cane, dalla bocca spalancata il cui interno si presentava di un affascinante color azzurro cielo. “Ragno, porta guadagno, sarà meglio che te ne vada in bagno!” Pensò tra se e se l’assalitore, mentre cominciava lentamente a voltarsi dall’altra parte, per non suscitare alcuna reazione dall’imprevisto avversario. Non riuscì a fare un singolo passo. Con un’impeto violento, qualcosa di maleodorante ed appiccicoso iniziò a fare la sua comparsa dall’appendice caudale del gatto-geco, formando viticci e propaggini protesi verso l’indirizzo del suo bersaglio. Pochi istanti dopo, il sarasside capì di essere stato momentaneamente distratto, se non addirittura intrappolato. Mentre il geco, con la rapidità del fulmine, era già sparito nelle tenebre incipienti della sera.
Rosso e blu, capace di arrampicarsi sulle pareti attaccandosi con mani e piedi, spara una sostanza appiccicosa dagli arti periferici del suo corpo: per anni, abbiamo vissuto in un sogno del tutto errato. Credendo, sulla base d’informazioni inesatte, che il supereroe Spiderman fosse qualcosa di diverso da un geco. Assai raro riesce a presentarsi infatti il caso, nel cinema e letteratura fumettistica, in cui il nostro amichevole Peter Parker di quartiere tessa un qualche tipo di trappola geometrica in cui far cadere incauti criminali. Preferendo utilizzare, piuttosto, il proprio senso della mira e il tiro deflesso per riuscire a bloccarli prima di tentare la sua mossa pienamente risolutiva. Proprio come… Lui. È comparso l’altro giorno, sui soliti canali social a partire dal forum democratico Reddit, un breve spezzone di un qualche ignoto documentario (probabilmente) in cui si vede una scena straordinariamente notevole. Una lucertola rossastra, complice l’ipersaturazione dell’inquadratura, punta la sua coda striata all’indirizzo del cameraman. E senza alcuna soluzione di continuità, inizia ad emettere un fluido biancastro da invisibili pori ai lati di quel cilindro ricoperto di squame. Al che la solita sapiente collettività in attesa, inclusiva di abitanti del suo continente originario, non ha tardato ad indicare il genere sopracitato degli Strophurus o gechi dalla coda spinosa d’Oceania, creature capaci di creare attraverso i pregressi della propria evoluzione un particolare metodo d’autodifesa, alternativo a quello altamente dispendioso di lasciare una superflua parte di se stessi nelle fauci dei propri nemici. Il che potrebbe suscitare un qualche comprensibile livello di confusione, quando si nota come in effetti lo S. Taenicauda del video non presenti alcun tipo di punta o tubercolo in corrispondenza dell’arto incriminato, costituendo nei fatti l’unica eccezione rilevante. Per questa variegata combriccola di gechi capace di popolare soprattutto le regioni aride degli stati di Queensland e Nuovo Galles del Sud, ma anche la rimanente parte del paese ad opera di specie meno variopinte ma altrettanto distintive. A ulteriore riconferma di come la natura sembri rispondere a regole totalmente diverse, nel mondo totalmente nuovo della più selvaggia terra emersa dell’emisfero Meridionale…
L’alato draghetto che dardeggia tra gli alberi della foresta asiatica meridionale
E quando l’uomo raggiunse l’assoluto predominio della terra, del mare, delle montagne, delle valli, dei fiumi e le pianure, si fermò per qualche generazione; egli ancora non era pronto, semplicemente, a rivolgere il suo sguardo verso il cielo. Così mentre la marcia dell’evoluzione (tecnologica) continuava la sua inarrestabile corsa, palloni aerostatici iniziarono a sollevarsi, quindi ali si spiegarono dai fianchi di scintillanti aerei, liberandosi dall’insistente tirannia del proprio peso gravitazionale ereditato. Perché quanto segue è quello che riesce a renderci, nell’opinione delle moltitudini, in qualche maniera “speciali”: la capacità di realizzare quanto ci sembra possibile, soltanto dal punto di vista teorico, verso l’ottenimento di uno stato o condizione che siano degni di essere considerati Migliori. Ma stiamo davvero parlando, in tali prototipiche circostanze, di una caratteristica dei soli ominidi discesi dalle scimmie dei primordi naturali? Poiché se il succedersi delle generazioni progressive ci ha donato, con notevole vantaggio, di un cervello tanto complesso e sofisticato, ancor più diretto verso il cielo quel processo è risultato per una particolare sottofamiglia delle lucertole agamidi, che includono per fare qualche esempio quella barbuta (pogona) il drago d’acqua cinese (P. cocincinus) e il compatto acantinuro dei deserti africani (Uromastyx a.). E poi ci sono loro, le Draconinae dotate di ali e addirittura una pinna di stabilizzazione collocata in corrispondenza della gola, che possono aprire o chiudere a comando neanche fossero una sorta di aeroplano a geometria variabile. Circa 40 specie differenti, benché alcune molto più comuni di altre e dotate di una serie di elementi e caratteristiche, che potremmo facilmente ritrovare disperse tra le sommità degli alberi dell’India, le Filippine e l’intero Sud-Est Asiatico. O ancor più facilmente, individuarle mentre balzano, come costituisce loro primaria prerogativa, dai rami protesi tra l’uno e l’altro, avendo cura di ricordare al mondo come il pavimento possa veramente essere lava, quando sei un rettile delle lunghezza di 20 cm circa che vive in un ambiente pieno di agguerriti e famelici predatori. Così che, per queste piccole e colorate creature, esistono soltanto due modalità: l’attività frenetica che le prepara al coraggioso balzo nell’infinito, o un assoluto stato d’immobilità mimetica, facendo affidamento sulla propria livrea generalmente specializzata nel ricordare la corteccia di particolari tipologie d’arbusti. Vedi il caso della Draco dussumieri della parte meridionale dell’India, che resta prevalentemente immobile per buona parte della sua giornata, facendo affidamento sul reiterato e prevedibile passaggio di letterali schiere di formiche arboricole, che divora con trasporto risucchiandole dentro la bocca dotata di denti piccoli e aguzzi, concepiti unicamente come ultimo strumento d’autodifesa. Almeno finché il suo cervello di rettile, per una serie di circostanze non sempre apparenti, non segnali che è giunto il momento di raggiungere un differente angolo del proprio territorio, portando allo spettacolare dispiegamento del patagium disteso tra costole specializzate, la membrana di pelle che permette all’animale di staccare tutte e quattro le zampe dal terreno solido, planando via verso destinazioni, anche piuttosto lontane: fino a 10 metri di distanza, in circostanze convenzionali, benché si abbiano notizia di lucertole che si sono dimostrate in grado di percorrere volando uno spazio anche tre volte superiore, grazie alla loro leggerezza inerente e la capacità di generare un elevato grado di portanza. Benché gli etologi sembrino dissentire, sostanzialmente, sul perché una simile situazione abbia avuto il modo e la ragione di verificarsi…