Un solo bruco, molte forme: vipera, falena, falco e sfinge

Hemeroplanes Triptolemus
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Il bruco verde della falena falco sudamericana (Hawk Moth), appartanente alla famiglia delle sphingidae, ha una strategia di difesa che potrebbe ricordare una favola di Esopo o dei fratelli Grimm. Strisciando nel sottobosco o sugli alberi delle foreste boliviane, accumula spensierato le sostanze nutritive di cui avrà bisogno per crearsi un bozzolo, al fine di trasformarsi un giorno in lepidottero alato. Ma se un qualche incauto predatore dovesse disturbarlo prima del momento della verità, nel giro di un istante può mettere in atto un terribile travestimento, originale e scenografico, che il più delle volte basta a salvargli la vita. Ritraendo il capo, gonfia il torace e ruota il corpo di 180 gradi, sollevandosi sulle goffe zampette posteriori per assumere l’aspetto di un serpente pronto all’attacco. Questa è la forma finale dell’Hemeroplanes triptolemus, l’unico bruco al mondo in grado di diventare vipera velenosa. I grandi occhi sono in realtà macchie nere disposte ad arte, mentre le “scaglie” pieghe sulla superficie del suo dorso; ma per un vorace piccolo uccello, l’aspetto complessivo è più che sufficiente a togliere l’appetito. C’è un’antica storia che parla di animali striscianti e del ruolo fondamentale avuto dal frutto della conoscenza alle origini dell’uomo, usata spesso per affrontare i temi complessi della fiducia reciproca e dell’inganno: ma se il falso serpente della Genesi fosse stato uno di questi tranquilli bruchi, probabilmente, le cose sarebbero andate molto meglio. Perché la mela se la sarebbe mangiata lui. E poi…

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L’enorme macigno autografato della città di Guatapé

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Tra le formazioni monolitiche più grandi al mondo, forse nessuna può vantare una storia più movimentata e strana di El Peñón de Guatapé, massiccia roccia granitica risalente a ben 70 milioni di anni fa. Con i suoi oltre 200 metri di altitudine, costituenti il solo 70% emerso dell’intera mastodontica pietra, nonché un peso stimato di 11 milioni di tonnellate, l’atipico rilievo costituisce indubbiamente il più importante e celebre punto di riferimento della regione di Antioquia, nella Colombia settentrionale. Gli indiani Tahami, antichi abitanti del luogo, la veneravano come divinità chiamandola mojarrá o mujará (la pietra) mentre il conquistadores spagnolo Francisco Giraldo y Jimenez, visitando la zona nel 1811, scelse di identificare la comunità locale con il termine in lingua Quechua Guatapé, ovvero Rocce e Acqua. Perché poderoso masso poggia sull’antichissimo batolito antioqueño, uno strato geologico tanto solido da riuscire a sostenerlo e al tempo stesso non del tutto permeabile, sede di un grande lago, sfruttato dall’inizio del XX secolo per la generazione di grandi quantità di energia idroelettrica. E fu proprio il desiderio di sfruttare in esclusiva la preziosa risorsa che portò nei primi del ‘900 la municipalità di Guatapé ad intraprendere un progetto bizzarro e mai portato a termine, ovvero la personalizzazione della pietra firmandola, mediante l’impiego di candide e indelebili lettere cubitali.

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