Il sogno di un futuro in cui la plastica verrà mangiata

Saltwater Beer

È innegabile che su Internet, certe pubblicità virali uscite dai pensatori al servizio delle aziende siano dei veri capolavori d’insincerità, con un prodotto che viene mostrato rivoluzionario dal punto di vista di alcune sue caratteristiche, quando in realtà non occupa nient’altro che una nicchia poco a lato della precedente. In altri casi, invece… In un vortice di bolle, sorge dalle onde “Screaming Reels” IPA della Saltwater Brewery della Florida, una birra prodotta dagli amanti del Mare, per altri a.d.M. (pescatori…Uh…Surfisti… E capitani di battello!?) la quale non avrebbe altre caratteristiche particolari, se non la seguente: l’essere venduta in pacchi da 6, tenuti assieme dalla più imprevedibile, e certamente migliore versione presente su questa Terra degli anelli in plastica resi tristemente famosi da alcuni studi risalenti all’inizio degli anni ’90, per l’effetto devastante avuto sull’incolpevole vita naturale degli oceani. Chi non ricorda l’immagine dei cuccioli di foca con tali orridi oggetti stretti attorno al collo, o ancora quella delle tartarughe, che scambiandoli per le meduse parte della loro dieta, finiscono per trangugiarli e muoiono immediatamente soffocate. Davvero tremendo. Così non credo che se a questo mondo esistesse una soluzione pratica altrettanto a buon mercato, nessuno esiterebbe ad adottarla, anche su larga scala. Ed è qui, che s’inserisce la proposta di oggi, messa in mostra nel tipico video emozionale del moderno web. Ovvero una singola struttura monolitica con sei buchi a forma di lattina, derivante da un prodotto collaterale dell’orzo usato per produrre la birra, concettualmente non dissimile dalla bioplastica che oggi viene impiegata per molti prodotti e pubblicizzata come di minore impatto sull’ambiente. Mentre la realtà è che quest’ultima particolare cosa, per dissolversi come letterali neve al sole, necessita generalmente di particolari condizioni climatiche e ambientali, finendo in realtà per ingombrare le discariche per anni, esattamente come la tradizionale controparte a base di petrolio. Confrontiamola, per un secondo, con gli anelli d’orzo della Saltwater, che non solo sono estremamente friabili una volta esposti agli elementi. Ma risultano persino, commestibili. Non è meraviglioso tutto ciò? E a differenza del cartone riciclabile, già usato da molte marche di birra al posto dell’odiata plastica, questo nuovo materiale può essere reso, grazie all’economia di scala, competitivo con l’alternativa semi-trasparente! Oggi, per la prima volta POSSIAMO farcela, possiamo…
Ci sono molti modi per pagare il prezzo di qualcosa. Talvolta ci riesce di farlo con i soldi privi di sostanza fisica, nient’altro che un concetto diafano e aleatorio della nostra società. Ma è piuttosto raro, giacché l’intero mondo del contemporaneo, dalle fabbriche ai campi coltivati, passando addirittura per il traffico d’informazioni digitali, è stato fondato sul concetto di un mercato dell’interesse, in cui mantenere basso un certo numero fondamentale (ad esempio, la cifra accattivante sopra i volantini del supermercato) si è trasformato nel prodotto succedaneo di una vera ed innegabile prosperità. Così, niente lavoro, stipendi troppo bassi, le Nazioni del mondo che non vogliono, o possono fornire un qualche tipo di assistenza alla popolazione disagiata? Poco importa. Un pasto completo, grazie alle nostre splendide tecnologie, non costa ormai che pochi spiccioli dal proprio gonfio, inflazionato portafoglio. Basterà dunque che ognuno di noi, come sua prerogativa responsabile, faccia un qualche tipo di elemosina morigerata. Due, tre, quattro euro la settimana… Tanto basta per nutrire un orfano in difficoltà. Umano, oppure cinguettante come un candido delfino. Certo… Ed è la pura verità. Non c’è da dubitar di questo; ma il problema, nel contempo, è d’altro tipo. Ovvero quello del perché, com’è possibile che il cibo costi così poco! Quando l’esperienza anche storica ci insegna che non esiste nulla di maggior valore a questo mondo, che il terreno coltivabile, o utile all’allevamento, e neppure sono troppo a buon mercato i macchinari necessari al giorno per portare sulle nostre tavole pomodori, ananas e olio di cocco a profusione. Per non parlare del prezioso bestiame che…Ecco, non è che sopravviva unicamente sulle proprie forze. Molti secoli di selezione innaturale ci hanno garantito la necessità del mangime artificiale, l’edificazione di vasti rifugi, l’occasionale visita veterinaria. Mentre dal lato dei vegetali, prolifera l’impiego di OGM, moderni pesticidi e altri prodotti similari. Che alcuni non esiterebbero di certo a definire: “Una benedizione per il food & beverage, ooh! Una gran fortuna per la crescita economica del nostro settore.” E intanto, gli sconti aumentano. Ma la stessa cosa avviene con i costi invisibili, sulla salute nostra è del pianeta…

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L’ultima speranza delle api: l’energia del Sole

Thermosolar Hive

Immaginate per il prossimo paragrafo una società perfetta, in cui ciascuno ha il proprio ruolo, ogni bisogno del singolo è risolto dalla collettività, e l’abbondanza permea tutto di un’alone di magnifica serenità. Zero carestie. Un’abitazione sicura, inattaccabile dai predatori. Nessun pericolo dalle intemperie. Si tratterebbe, in effetti, della perfetta realizzazione di un paradiso in Terra, praticamente privo di qualsiasi controindicazione. Tranne quella, del tutto trascurabile, di veder sottratto il proprio miele. È una tassa ragionevole, nevvero? Del resto, se c’è una cosa che amano le api, è lavorare. E ciò che viene tolto, sarà ben presto ricreato. A meno che… Esiste una legge universale in natura, che determina il tendere di ogni creatura verso uno stato d’equilibrio generale. Così accade che il troppo benessere, dovuto alla benevolenza degli umani, le ha rese insetti prosperi, ma anche vulnerabili al destino. Di una catastrofe biologica letteralmente senza precedenti. Il cui nome, come molti già sapranno, è varroa. Varroa destructor, per la precisione. Una cosa molto piccola. E rossastra. Dalle eccessive zampe. L’individuo sovversivo, che penetrato in Paradiso dalle viscere del mondo, lo contamina con la propria presenza. Succhia il sangue e diffonde atroci malattie. Molto lentamente, si moltiplica. Finché al termine, non resta altro che un alveare silenzioso!
L’unica speranza dal loro punto di vista, allora, è arrendersi… Sperare in una morte rapida e indolore… Del resto, è improbabile che un’insetto possa comprendere l’incombenza minacciosa dell’Apocalisse…. Mentre noi, che invece sappiamo addirittura metterla in parole, siamo davvero inermi innanzi all’estinzione delle api? A giudicare da quanto sono qui a proporci, tramite la piattaforma di crowdsourcing INDIEGOGO il Dr. Roman Linhart e Jan Rája, dell’Università di Palacky in Olomouc, Repubblica Ceca, non sarebbe possibile fare un’affermazione più distante dalla verità. Gli strumenti esistono, sono tecnologici ed innovativi. Tutto quello che serve: 20.000 dollari per cominciare. Non a caso già in molti hanno scelto di offrire il proprio contributo. Dopo tutto, in gioco c’è molto di più del solo miele! Il video di accompagnamento del progetto, usato per indurre il grande pubblico a comprare i gadget che sostengono la raccolta fondi, quando non il prodotto stesso con consegna in un imprecisato futuro, esordisce con una celebre affermazione, da sempre tradizionalmente e stranamente attribuita al fisico Albert Einstein: “Se le api dovessero perire, l’intera umanità le seguirebbe entro un periodo massimo di quattro anni.” Una profezia facente riferimento, ovviamente, non tanto al crepacuore per la scomparsa del nostro gustoso miele, quanto per il contraccolpo ecologico dovuto alla scomparsa di queste fondamentali impollinatrici, da sole responsabili per la continuazione ininterrotta di circa un terzo delle specie vegetali adatte alla nostra consumazione. Ed ecco, dunque, il loro piano di salvezza: creare un nuovo tipo di alveare artificiale, per così dire “standard” da sostituire alla classica scatola di legno usata dagli apicultori. Che possa, grazie alle sue particolari caratteristiche progettuali, sterminare letteralmente l’odiato parassita della società ronzante. Grazie a uno strumento ambientale letteralmente gratuito, e da sempre a nostra massima disposizione: l’estremo calore dell’astro solare. È un sistema interessante per affrontare il problema. Basato sull’energia solare. Del resto, fin dai primi anni ’90, i giornali scientifici internazionali avevano pubblicato diverse ricerche, prevalentemente provenienti dal Giappone, mirate a dimostrare come il varroa fosse naturalmente vulnerabile a temperature superiori ai 40°, tollerate invece facilmente dalle loro vittime a noi care. Si era capito, quindi, come un possibile approccio alla rimozione di un’infestazione fosse il surriscaldamento indotto, per periodi a medio termine, tramite l’impiego di appositi dispositivi. Un proposito, tuttavia, decisamente complicato…

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L’ardua sfida del cestino anti-orsi

Bear Bin Lubiana

Siamo a Lubiana, nella Repubblica di Slovenia, per assistere a una scena alquanto rara. Tre esponenti della specie Ursus arctos arctos (l’orso bruno eurasiatico) si trovano all’interno del recinto dello zoo cittadino. Insieme a quello che potremmo definire, senza dubbi residui o inutili romanticismi, un plasticoso corpo estraneo di colore rosso. Pieno zeppo di…Frutta, mele, pere ed ogni altra possibile fragranza ad esse collegate, in un melange tale da portare alle vertigini la testa di chiunque aspiri ad un gustoso snack. Ovviamente, in un mondo perfetto il recipiente si spalancherebbe come una copiosa cornucopia, per la massima soddisfazione dei tre irsuti beneficiari. Mentre qui, purtroppo, c’è in agguato la fregatura e una tremenda faticaccia: l’intero set-up, in effetti, è stato costruito con lo scopo preciso di mettere alla prova un’avveniristica tecnologia, sfornata dai laboratori degli esperti del settore. La LIFE DINALP BEAR, associazione locale mirata alla salvaguardia del patrimonio faunistico, ha infatti messo a punto un tipo di cestino per la spazzatura che dovrebbe essere, almeno nell’idea dei suoi progettisti, del tutto impervio all’apertura da parte dei suddetti onnivori dei loro boschi. Cosa che puntualmente, per il primo topico minuto, pare verificarsi: il materiale dell’oggetto in questione appare sufficientemente resistente, e la sua chiusura abbastanza complessa, perché i soggetti dell’esperimento debbano limitarsi a palleggiarselo a vicenda, nel tentativo inutile di accedere ai suoi contenuti. Ma tutte le volte in cui sviluppa il desiderio di qualcosa, si sa, un orso sa essere davvero molto persistente…Figuriamoci tre.
Che la foresta sia un luogo inospitale e scomodo è un dato sostanzialmente opinabile. Un territorio vergine, incontaminato. Ricco di alimenti ed opportunità! Non ne è forse la prova lampante, dinnanzi agli occhi di noi tutti, la stazza stessa del più grande abitante di quei luoghi? Una creatura del tutto simile a noi, se soltanto avessimo un muso allungato, il grasso di riserva ed una folta pelliccia per l’inverno, gli artigli in grado di sradicare un albero, la predisposizione ad andare in letargo… Animale, per di più, perfettamente in grado di deambulare sulle zampe posteriori, in una ragionevole approssimazione di quello che si potrebbe scambiare per una sorta di lupo mannaro. Anche per i suoi processi comportamentali, insistenti e scaltri, così distanti da quelli che saremmo soliti attribuire ad simile esponente dell’antica evoluzione. Si, è una belva che conosce l’uomo, sia pure di seconda mano. E farebbe di tutto, per acquisire alcuni dei nostri vantaggi e le più utili prerogative. Perché quando un grizzly si sveglia la mattina, già sa che dovrà consumare circa 30.000 calorie entro il tramonto del sole: l’equivalente di 30 piatti di pasta e 30 hamburger! Da acquisire, tuttavia, grazie al tramite di semplice materia vegetale, quali cavoli e sedano, radici commestibili di vario tipo. L’immagine popolare dell’orso che fagocita i salmoni intenti a risalire il fiume, in realtà, non si riferisce che a uno specifico periodo dell’anno, qualificabile come un banchetto davvero speciale. Così come la questione dell’alveare ricolmo di miele, scovato, diciamo, al massimo una volta o due per ciascun mese. Per la rimanenza del suo tempo, un tipico plantigrade non potrà MAI contare su tali fortune. È un po’ come la questione del panda gigante, che per sopravvivere deve passare ogni singolo minuto della sua vita a sgranocchiare l’incommestibile germoglio di bambù. Del resto, nei terreni elevati del suo antico ambiente naturale, non c’era altro che potesse soddisfare il suo appetito. Ma anche i nostri prosaici orsi dalla tinta unita, siano questi delle specie americane oppur d’Europa, devono fare i conti con un simile problema. Pensare sempre al mangiare, mangiare, mangiare….

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Uomo assaggia una razione militare risalente al 1959

MRE Info

Nelle botti piccole, questo è noto, c’è il vino migliore. E in quelle vecchie il più prezioso. Ma esistono bottiglie, a questo mondo, che tu non berresti mai, neppure in presenza di un’etichetta fra le più prestigiose, o con la garanzia che viene dal profondo di una celebre cantina. Semplicemente perché è il loro stesso aspetto, a renderle poco invitanti: quando persino lei, la più amata delle bevande alcoliche, è stata tenuta in condizioni di stoccaggio inadeguate, a una temperatura superiore a quella ideale, ed ha assunto quell’aspetto torbido di una coltura di batteri, che si accompagna al gusto metamorfizzato del volgare aceto…Ma ora immaginate, per mero esercizio comparativo, di essere degli enogastronomi consumati, con alle spalle una carriera vasta come il mare, e di ricevere all’improvviso la notizia che da oggi, sarà totalmente impossibile bere vino precedente all’anno 2000. Perché? Hanno scoperto, diciamo, che fa male. A quel punto, potreste davvero abbandonare la vostra passione, così di punto in bianco? (il rosso e il nero!) E dimenticare quella letterale montagna di aromi e sapori, potenzialmente sviluppati attraverso la ruota dei mesi, che derivavano dagli anni ed anni di sapiente attesa…
Ebbene, questa è sostanzialmente la situazione vissuta, quotidianamente, dagli appassionati di un particolare tipo di esperienza alimentare, che incorpora in se stessa un differente studio della storia, il gusto estremo di una prova di coraggio, addirittura, in un certo senso, il collezionismo propriamente detto, delle scatole o lattine di contorno. Persone come il qui presente Steve1989 MREinfo, che pratica occasionalmente la degustazione dei pasti pronti degli ambienti militari, le cosiddette razioni C, pensate per sostituire il cibo fresco (razione A) o quello confezionato e da cuocere (razione B) in tutti quei casi in cui ci sia una guerra da combattere, o ci si trovi in missione solitaria presso luoghi selvaggi e/o remoti – il Polo, l’Equatore, così via. Un vero e proprio hobby, che tuttavia richiede l’insolita capacità di mandare giù qualsiasi cosa, indifferentemente dall’aspetto e dalla provenienza. Questione chiaramente esemplificata dal suo recente video qui mostrato, relativo ad una rara MRE (Meal, Ready-to-Eat, in realtà un’antonomasia ripresa dal nome del prodotto americano) preparata originariamente nel 1959 per le forze aeree canadesi, e che almeno stando a quanto ci viene fatto notare, sembrerebbe aver subito condizioni di stoccaggio meno che ideali. Il sospetto viene già dal primo sguardo, dato all’affascinante lattina di un retrò verde oliva, chiusa con lo scotch per una spedizione più sicura, che appare ammaccata e scolorita, a causa degli anni trascorsi dentro a qualche derelitto magazzino. Una volta aperta, sotto un breve pamphlet con informazioni generiche di sopravvivenza, si realizza il primo shock estetico: tra due masse nerastre, di provenienza indefinibile, campeggia una doppia fila di quelle che sembrerebbero delle grosse e variopinte caramelle gelatinose, generalmente incluse nel menù per il semplice fatto che i carboidrati sono assimilabili dal nostro organismo con quantità d’acqua relativamente ridotte, e in più tali cibi si conservano anche molto, molto a lungo. Entrambi grossi vantaggi, nello specifico contesto qui descritto. Negli ambienti statunitensi esisterebbe tuttavia una diffusa diceria, secondo cui mangiare l’equivalente locale prodotto dalla compagnia Charms sarebbe un gesto latòre di sventura. Probabilmente una leggenda derivante dal sapore di detti dolciumi, che benché apprezzabili dai bambini, in condizioni di consumazione occasionale, così inseriti all’interno di un vero e proprio pasto con finalità di fare da contorno alla portata principale, tutto fanno, tranne che aiutare l’appetito. Di noi comuni mortali. Ma vogliamo parlare, dunque, di quest’ultima essenziale componente? Il cupo ammasso in corso di disfacimento (ma non maleodorante, un ottimo segno!) che Steve si trova a definire, a nostro beneficio, come l’approssimazione di un fruit cake! D’accordo, hai mordicchiato un dolcetto ormai diventato duro come il diamante, oppure due, ma di certo non oserai…

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