La palla NELLA buca. Difficile fraintendere la regola fondamentale, se non intenzionalmente. Questa follia pubblicitaria parte dal presupposto, opinabile, che il golf sia lo sport più noioso del mondo e sceglie un modo davvero strano per rinnovarlo: modificare due golf cart, trasformandoli nella versione gigante della rigida sferetta bianca normalmente utilizzata nel corso di un convenzionale giro sui verdeggianti links. Li hanno chiamati Battle Carts. Uno solo di questi veicoli, magari con il compito pacifico di attrarre l’attenzione del pubblico sul grosso logo che campeggia in alto e al centro del suo cupolone, non avrebbe fatto grandissimi danni. Anche due, tre o quattro di loro potevano, al massimo, aumentare le fonti di distrazione a discapito dei concentratissimi maestri del ferro 9. Per scatenare il caos, serviva un catalizzatore. E siccome le palle ambiscono nella vita ad una cosa sopra ogni altra, la buca, gli spietati marketeers hanno deciso di trasformare quell’impareggiabile cosa nella versione telecomandata di una volpe inseguita dai cani (che c’è di meglio di una bandierina, in fondo, per nascondere l’antenna). Da lì, si è scatenato il caos: DAVANTI; SOPRA; rotolandoci SOTTO a quel gizmo impazzito, le due macchinette, con a bordo altrettanti piloti senza un particolare istinto di auto-conservazione, si sono inseguite da un lato all’altro delle 16 buche, seminando il caos. Lo slogan è “Diamo la carica ad ogni cosa” e il sito ufficiale del prodotto, l’energy drink dal nome sintetico di V, lascia intravedere la futura possibilità di mettersi alla guida di una di queste metaforiche palle di fuoco, vincendo un concorso che inizierà da un giorno all’altro, in Nuova Zelanda. L’idea diverte e richiama alla mente le invenzioni motoristiche del programma televisivo internazionale Top Gear, i cui protagonisti gareggiano talvolta su alcune delle più bislacche quattro ruote mai assemblate da mani umane. Non a caso, proprio per la TV australiana ne viene realizzata da anni una versione personalizzata, considerata tra le migliori al mondo.
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L’epica impresa della macchina del ghiaccio umana
Ad Aprile, con il progressivo scaldarsi del clima italiano, tornano le rondini dai paesi più caldi dell’Africa equatoriale. Percorrendo all’incirca 10.000 chilometri, ciascun volatile ritrova il nido in cui era nato, per dare un suo personale seguito al patrimonio genetico della specie. La capacità di orientarsi è il bene più prezioso della rondine. Togli le piume all’uccello, scambia i tropici con il frigorifero e il nido con un bicchiere di Coca-Cola per ottenere Shane e Collin che preparano i drink per una festa con gli amici. 63 cubetti di ghiaccio in bilico, sospesi tra un capitombolo e il teatro di un fantastico accoppiamento; oggi, comunque vada, si farà la storia. È tutta una questione di reazioni a catena. Stiamo assistendo alla messa in opera di una complessa macchina di Rube Goldberg, l’invenzione che consiste nell’impiego dei fattori più disparati ed inutilmente scenografici al fine di ottenere un risultato piuttosto semplice. In questa qui però, l’abilità umana trova uno spazio molto più significativo della media. Alla fine, le leggi della fisica ti portano solo fino ad un certo punto: l’inerzia sussiste, la gravità attrae e l’applicazione di una forza crea un singolo vettore direzionale. Così, gli amici finiranno per morire di sete. Rinfrescare le bibite richiede sveltezza di mano, prontezza mentale e un alto grado di astuzia; soprattutto, ci vuole una preparazione estremamente accurata. I sessantuno boccali (ci sono due cubetti in più, dove siano finiti non ne ho idea) sono stati disposti ad arte lungo una serie di tavolate parallele e aspettano pazientemente, con il coronamento addizionale di vari tipi di oggetti. Alcuni sorreggono tubi di cartone, altri confezioni vuote dei panini del fast-food, nel caso più singolare c’è tutta una fila di pirotecnici bastoncini da gelato. E sopra a ciascuna di queste improvvisate basi di partenza, c’è il ghiaccio, l’agognata freschezza potenziale dei sublimi liquidi festaioli. Un colpetto lì, un preciso lancio da speciali scivoli costruiti in legno, due o tre pattini e una cannuccia roteante più tardi, l’impresa s’è compiuta. Resta solo da versare la Coca-Cola. Hai detto niente!
Se l’ami davvero, devi dirlo con il bacon
È tutta una questione di priorità. L’anello di fidanzamento, pegno d’amore per eccellenza, presenta molti aspetti positivi: è piccolo, prezioso, indossabile e tradizionale. Ma nei tempi della crisi occorre, talvolta, saper improvvisare. Con questa pubblicità la Oscar Mayer, famosa compagnia alimentare statunitense, sussidiaria della Kraft e specializzata negli affettati di carne, immette sul mercato una nuova serie di confezioni. Potremmo definirle il bacon degli innamorati. The Original Strip (la striscia per eccellenza) viene venduta in una distinta scatola nera di velluto, come un gioiello attentamente lavorato da capaci artigiani dell’arte di affumicare la pancetta. Nella poetica scena di apertura, due giovani in carrozzella si guardano l’un l’altro con passione, quasi incapaci di esprimere a parole i propri sentimenti. Allora lei, con il gesto misurato di chi ha pensato davvero a tutto, tira fuori dalla borsetta il dono miracoloso. Musica trionfale, slogan memorabile: “Say it… with bacon!”. Un successo straordinario. Senza soluzione di continuità, si passa immediatamente alla parte tecnica. Lo scienziato del bacon, tale Phil Roudenbusch, ci elenca gli straordinari pregi del suo capolavoro, la Più Nobile della Carni. I superlativi abbondano, lo stile promozionale sconfina verso quello dei video di aziende come Apple o BMW, risultando la perfetta unione tra eleganza linguistica e una spudorata auto-celebrazione. In qualità di concessione per gli amanti della tecnologia, ci fanno anche vedere come in laboratorio venga testato persino il colore del gustoso prodotto, secondo una precisa scala cromatica graduata. Soltanto il meglio del maiale potrà finire in una di queste sacre scatole. Certo, il diamante è per sempre. Ma il bacon è per pranzo. Scegliere non è poi così difficile.
Ibizious, fantasmagorica bibita con il gusto degli anni ’90
Se questo energy drink esistesse veramente, berlo sarebbe un’esperienza elettrizzante. La voce fuori campo introduce il discorso:”È difficile trovare te stesso in città. È così per tutti. Quindi se hai un sogno…devi spingere sul gas.” Poi, apoteosi. La metafora del movimento è un’arma potente in pubblicità. Partire verso l’orizzonte, perdersi in lontananza, per andare dove? Per fare cosa? Non importa, tu comincia mandando giù il primo sorso. Il nostro travolgente drink si occuperà del resto. Come le bibite frizzanti, Ibizious è gradevole e rinfrescante. Alla maniera della birra, suggerisce l’idea della trasgressione o del divertimento. Poi inizia a fare DAVVERO effetto. Diventando, almeno a giudicare dal suo video di presentazione, la più valida alternativa alle sostanze allucinogene degli sciamani siberiani. Questa è una pubblicità che parte a 1000 e poi alza il tiro 1000 volte, mantenendosi in equilibrio su quella sottile linea che divide la chiarezza d’intenti dalla più ridicola parodia. Andandoci talmente vicino che, probabilmente, ben pochi capi d’industria del settore degli energy drink accetterebbero di farne la propria bandiera. Poco male, perché in effetti il cliente è un altro: si tratta del promo annuale per l’evento del club Amnesia sito sull’isola di Ibiza, il famoso Matinee, un tripudio musicale con DJ, ballerini e performer da ogni parte del mondo, in grado di attrarre con facilità diverse migliaia di spettatori. La volta scorsa ci avevano mostrato la storia catartica, raccontata in prima persona, di un uomo che perdeva il lavoro e sceglieva di superare la sua frustrazione con un viaggio liberatorio. Ormai non c’è più tempo per questo, così ci invitano a bere. Riuscendo a portarci in uno spazio concettuale straordinariamente nuovo, eppure in certo senso familiare. Fresh, nay, Super-Fresh!!