Le sospensioni e il rimbalzo mediatico dei Super Truck

Qui dev’esserci, certamente, un errore: qualcuno sembra aver disposto molteplici rampe lungo il corso del tracciato! Cos’è questo, un flipper, o una gara? C’è un tale senso di creatività motoristica e furibonda leggiadrìa, il rombo dei cavalli che s’imbizzarriscono al di sopra dei confini pre-determinati, in questo giro finale della corsa d’inizio mese presso il circuito di Adelaide in Australia, così perfettamente in linea con la presunta propensione anglosassone alla ricerca del divertimento in pista. Una spontaneità beffarda, del tipo che possiamo ritrovare negli “eventi speciali” americani, organizzati nei periodi privi di campionati importanti, come i destruction derby, le corse con gli scuolabus, le rischiose piste con pianta a forma di 8. Eppure a ben pensarci, più la posta si fa alta, maggiormente questa è una mentalità che porta a una sublimazione degli elementi di contorno, fino all’estrema semplicità della tipica corsa NASCAR: circa quaranta auto di serie, solamente curve a sinistra, infiniti e prevedibili sorpassi sull’asfalto rettilineo dell’ovale. Laddove questa mirabolante sequenza, proveniente dagli antipodi ma frutto di una pianificazione conclamata da parte del pilota californiano Robby Gordon, è un tale susseguirsi di disastri, mancati cappottamenti, urti accidentali dei paraurti e pezzi di “carrozzeria” che volano da tutte le parti (se così vogliamo chiamare la sottile lamiera coi fari dipinti che ricopre una struttura interna in acciaio tubolare). Se giudicata con il metro serio e compunto delle gare nostrane organizzate dalla FIA, il cui prestigio deriva anche dalla sicurezza e serietà di contesto, potremmo facilmente liquidare un simile spettacolo mediante il proverbiale “La solita americanata…” ma è soltanto da un’analisi più approfondita, che si può approdare a comprendere la struttura di sostegno, in altri termini,  giustificare il divertimento.
Lo spettacolo dei Super Truck, formalmente noto come Speed Energy Formula Off-Road, doveva costituire ai suoi inizi nella stagione relativamente recente del 2013 una versione al passo coi tempi dello storico campionato organizzato dalla leggenda dell’automobilismo fuoristrada Mickey Thompson, capace di monopolizzare l’attenzione e gli spazi televisivi sul finire degli anni ’70. Finché il tragico ed inspiegabile assassinio del fondatore da parte di un ex-partner di affari nel  1988, non portò il mondo dell’automobilismo a muoversi oltre, ritornando per così dire sul binario pre-determinato. Ma lasciando una traccia chiara, come il segno di gomma bruciata sull’asfalto di una pista, nel cuore di coloro che quell’epoca l’avevano vissuta, partecipando in prima persona all’entusiasmo e l’obiettivo finale. Ed è stato in funzione di un sentimento di questo tipo che il pluri-celebrato pilota vincitore di cinque campionati consecutivi della SCORE (l’ente che organizza, tra le altre cose, la Baja 500) Robby, già corridore agli inizi della sua carriera nella serie di Mickey, ha scelto di creare, all’interruzione anticipata del suo ultimo contratto per la NASCAR, un nuovo metodo per far sfogare alcuni dei più abili, e spericolati piloti di veicoli simi-Trophy Trucks. Con la riproposizione, dapprima particolarmente fedele, dello stesso concetto di 30 anni prima, una qualcosa di facilmente riassumibile nell’espressione “Motocross da stadio per i veicoli a quattro ruote” mediante l’impiego delle caratteristiche piste in sterrato, formate da numerose curve a ferro di cavallo e generosi dossi propedeutici al distacco da terra, tanto per aumentare in proporzione il senso di caos fuori controllo a margine dell’esperienza di base. Decidendo quindi per la progressiva mutazione, un’edizione dopo l’altra, verso qualcosa di molto più personale nonché in effetti, semplice e redditizio.
Si può anche essere i piloti più famosi del mondo, trasformati in capi del circo sulla base di un’idea perfettamente calibrata e degna della massima attenzione popolare. Ma se quanto hai concepito richiede ogni volta il trasferimento di incalcolabili tonnellate di terra all’interno di stadi motoristici in grado di ospitare 70/80.000 persone, l’applicabilità di un simile spettacolo inizia necessariamente a ridursi. Ed è sulla base di una simile considerazione, che si è giunti progressivamente al moderno aspetto delle gare di Super Trucks…

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Un salto elastico dalla scogliera greca

Zakynthos bungee

A Zante, ah, Zacinto. Fiore di Levante. Ha una bandiera molto antica, l’isola verso cui sorrise Venere secondo il canto dei poeti, sopra cui campeggia in verde la figura di un eroe: Zakynthos, figlio di quel re Dardanus della sempre temuta Troia. Ne parlò brevemente Omero, del modo in cui questo discendente del Peloponneso ritornò infine nella terra dei suoi avi, per fondare la comunità che ricevette tradizionalmente l’uso del suo nome. E il motto insigne in lettere maiuscole dell’alfabeto greco, scritto sotto quella sagoma riconoscibile che recita: ΘΕΛΕΙ ΑΡΕΤΗ ΚΑΙ TOΛMH Η ΕΛΕΥΘΕΡΙΑ – théli aretí ke tólmi i elefthería – La libertà richiede virtù e coraggio. Indubbiamente, certe affermazioni sembrano trascendere l’epoca da cui provengono, immutate. Se pure stravolte nella grafìa ed il metodo impiegato per citarle, mantengono il significato ed il contesto. Un simile suono già risuona pure nelle manifestazioni più sfrenate del contemporaneo, come l’attimo incredibile in cui gente senza caratteristiche ulteriori, sospinta innanzi solamente dal bisogno di provare, lascia indietro i preconcetti e i freni inibitori, per giungere fino al ciglio di un dirupo e fare un altro passo, giù nel vuoto senza un fondo. Ovvero, sufficiente. A liberarsi eternamente, per schiantarsi e far finire tutto quanto con coraggio, sulle sabbie di un’illacrimata e foscoliana sepoltura; tranne che talvolta tutto torna indietro, almeno in parte per poi scendere di nuovo?
Dev’essere stata una scena dalle implicazioni preoccupanti. Tra i diversi momenti mostrati nell’appassionante super-cut della sessione organizzata dal gruppo polacco dei Dream Walker sulla spiaggia del Navagio, uno dei luoghi più riconoscibili dell’isola di soli 410 Km quadrati, ce ne sono alcuni in cui gli spalti invisibili sono gremiti d’innumerevoli imprevisti spettatori. E sembra di sentirlo quel sussurro, ritrasmesso da un orecchio all’altro: “Bungee Jumping, Bungee Jumping…” Ma chi può veramente dire quanti, tra i bagnanti, siano stati messi al corrente di quello che stava effettivamente per succedere, della “pioggia d’uomini” di cui parlava Geri Halliwell, nel suo celebre singolo del 2001. E se qualcuno invero, rilassato tra le acque, o steso in disparte sopra i bianchi granuli dei molti sassolini, non abbia finito per assistere con occhi spalancati alle battute d’apertura di un suicidio: ecco una persona, con vistosa imbracatura (ma di certo il sole può giocare strani scherzi) che si lancia spensierato da 200 metri d’altitudine, oltre le ruvide rocce calcaree della cala e verso il relitto rugginoso della MV Panagiotis, la nave di contrabbandieri ormai derelitta che da il nome a un tale luogo (Ναυάγιο=naufragio). Perché virtù e coraggio, in questo caso, non sono due princìpi contrapposti, ma lo scorrere fluido dello stesso sentimento. Si potrebbe anzi, addirittura dire: la virtù è coraggio, come viceversa e chi non risica, rimpiangerà di non aver fatto quell’ultimo passetto verso il basso che lo guarda da lontano.
L’iniziativa mediatica Dream Walker, talvolta riassunta con la tagline piuttosto auto-esplicativa de “Il giro del mondo in 80 salti” nasce dalla collaborazione di un grande numero di professionisti degli sport estremi e alcuni facoltosi sponsor, tra cui la compagnia di produzione video Cam-L e il produttore cinese di ricetrasmittenti radio Hytera, i cui prodotti vengono tanto spesso ed “accidentalmente” mostrati prima o dopo l’ultima grandiosa impresa. L’obiettivo descritto nella descrizione di ciascun video è semplice ed estremamente immediato, al punto che viene da chiedersi come non sia mai stato messo in pratica, su scala simile, da qualcun altro prima d’ora: riunire finalmente le due strade divergenti del volo umano verticale da un punto di partenza fisso e pre-esistente, ovvero il Bungee ed il B.A.S.E. Jumping (Buildings, Antenna, Span, Earth) adatti, rispettivamente, a chiunque abbia l’intenzione e il desiderio, oppure solo a chi ha fatto molta pratica con il paracadute.
Chi ha detto che saltare giù con il famoso agglomerato di stringhe di latex incapsulate non possa prescindere da ambienti estremamente controllati, come torri o ponti fatti dagli umani? Ecco invero l’esempio, in questo teatro naturale a strapiombo sullo splendido Mediterraneo, che è lo scenario a creare l’occasione. Ma ci sono innumerevoli altre acque ed altri mari, a questo mondo…

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