Lo strumento scientifico dal peso di 456 tonnellate

Sul ponte della portaerei USS Carl Vinson, proprio accanto alla torre di comando, stava per succedere qualcosa di molto particolare. Il pannello metallico di un JBD (Jet Blast Defector) era stato sollevato, ma nessun aeroplano sembrava pronto al decollo. Dinnanzi allo scudo meccanico, invece, era stato disposto un motore a reazione, collegato ad un grosso serbatoio di carburante e saldamente montato su un’impalcatura assicurata alla nave. Al segnale di un tecnico, gli addetti alle segnalazioni si radunarono ai margini della scena, per assistere al fatidico momento: quindi, un boato. La fiamma abbagliante, e il calore incandescente, così concentrati in un singolo punto, per 10, 20, 30 secondi. Un tempo che sembrava non passare mai, mentre chiunque avrebbe potuto pensare, senza le cognizioni dell’esperienza acquisita, che la protezione metallica dovesse fondersi da un momento all’altro per il mero bailamme infernale. Ma il direttore dei lavori, con il suo tablet e la cuffia da isolamento del suono, non sembrava in alcun modo impressionato: “Porta la forza a 60 kN, per piacere” Segnalò coi gesti al suo assistente, come da prassi collaudata in un altro migliaio di test…. Come, potreste chiedervi. Come è possibile? Come può essere che costoro riescano a misurare, con una simile precisione, energie tali da scagliare una piattaforma d’armi ai confini con l’atmosfera, a una velocità di tre volte quella del suono? La risposta è in svariate decine di cilindri in polimeri piezoelettrici, incorporati in un blocco di metallo all’interno del JBD. Il cui nome, collettivamente, è trasduttore di forza. E la cui storia inizia nel Maryland, all’interno di un’altra torre, dall’aspetto decisamente particolare…
Quantità infinitesimali accuratamente misurate su bilance elettroniche, prima di essere poste sotto l’occhio scrutatore di un microscopio. Pinzette di precisione, che sollevano il granello, che lo spostano sul piattino, dentro il quale si aggiunge una singola goccia di liquido colorante: non è forse questo, il metodo scientifico? La presa di coscienza delle minime quantità, alla ricerca della precisione definitiva. E se vi dicessi che esiste un laboratorio, invece, dove la prima cosa non determina la seconda? Ovvero, in cui si lavora sugli atomi, ma miliardi e miliardi di atomi, congregati in un’unica torre d’acciaio dal peso di un milione di libbre inglesi. Certo, perché qui siamo negli Stati Uniti d’America. Dove un buon scienziato riceve le misure nel sistema imperiale britannico, le converte alla maggiore efficienza di quello decimale per lavorarci. E poi le riporta alle misure originarie, al fine di presentare i risultati al Congresso. Perché è questo che vuole la tradizione. E in fondo, per un vero ingegnere non fa differenza. Mentre ciò che conta è la suprema, assoluta, inconfutabile precisione di un dato. Attraverso metodi e strumenti, talvolta, dall’alto grado di specificità. Questa, dopo tutto, è la risposta ad un’esigenza sentita soprattutto negli anni ’60 dello scorso secolo, durante le fasi culmine della corsa per arrivare alla Luna. Quando nessuno ancora immaginava che fosse possibile realizzare una simile impresa: trovare una cifra esatta alla singola unità di forza, su una quantità totale massima di 4.448.222 Newton (come dicevamo per l’appunto, un milione di libbre). Grazie a quella che potrebbe essere definita, per analogia, come una sorta di enorme bilancia. Ma serve in effetti a calibrarne delle altre, molto più piccole e facilmente integrabili in alcuni dei più potenti meccanismi mai costruiti dall’umanità. Passiamo quindi a descriverne il funzionamento: si tratta, essenzialmente, di una catena di pesi. Che possono essere sollevati in sequenza, a seconda delle necessità, all’interno di un palazzetto di 10 piani facente parte del NIST, l’Ente Nazionale per gli Standard e la Tecnologia. Struttura che ricevette nel 1889 un preziosissimo blocco di una lega speciale d’iridio e platino, dalla forma cilindrica ed il nome di K20. Il quale a seguito di quel fatidico momento, sarebbe diventato il punto di riferimento del chilogrammo americano. Ma quando ne hai uno, si sa, ne vuoi di più grandi…Il che comportava, essenzialmente, di realizzarne due copie esatte e soppesarle con un singolo peso corrispondente. E poi prendere due di quelle cose, per metterle contro un’altra ANCORA più grande. E così via, fino all’equivalente a 10 furgoni in un singolo blocco, però non più grande della botola di accesso ad un sommergibile da battaglia. Il cui peso fosse chiaramente noto, fino all’equivalente della massa di un nickelino!

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Il più strano test d’ingresso a medicina e chirurgia

Kurashiki General

Il mondo è pieno di situazioni del tipo “Se vuoi essere X, dovrai essere pronto a fare Y” nelle quali il primo termine è un qualcosa di profondamente rilevante o desiderabile, mentre il secondo, un’ardua prova di coraggio, abilità e capacità di cogliere il momento nella sua sostanza più fondamentale. Gli esami…Gli esami non si esauriscono. Sembra strano, dover porre ostacoli sul sentiero di chi desidera sopra ogni cosa fare il bene dei suoi simili. Ma se proviamo a guardarci attorno, non esiste a questo mondo una figura mantenuta in più alta considerazione di un dottore, medico curante, oppure il praticante della chirurgia. Una persona come tutte le altre, che tuttavia nel punto cardine della propria vita, ha scelto di percorrere la strada di colui o colei che salva vite o le trasforma, riuscendo in qualche modo a renderle migliori. Per non parlare, inoltre, del guadagno niente affatto indifferente. Molti, per non dire quasi tutti, aspirerebbero a una simile carriera. Occorre, dunque, diventare (molto) selettivi. In base a tale considerazione nasce, assai probabilmente, il nuovo segmento internettiano fatto produrre dal rinomato Kurashiki Central Hospital (KCH) della prefettura di Okayama, fatto produrre con l’aiuto della compagnia pubblicitaria internazionale TBWA. Siamo non lontano dal grande ponte di Seto che collega la più grande isola dell’arcipelago del Giappone, lo Honshu, alla quarta terra emersa di quei luoghi per estensione, lo Shikoku. In una città estremamente celebre, fin dall’epoca della riapertura del paese dopo il prolungato periodo di segregazione voluto dallo shogunato Tokugawa (1603 – 1867) per il ruolo fondamentale avuto come centro dei commerci della regione, al punto da incorporare nel suo stesso nome l’ideogramma che si legge kura (倉) oggi usato come antonomasia per un certo tipo di tradizionale magazzino portuale. I cui esemplari, dalle caratteristiche pareti dipinte di nero, sono custoditi con la massima cura, assieme ad un intero quartiere storico rimasto pressoché immutato. Eppure l’importanza delle tradizioni, persino in questi luoghi, non può prescindere assolutamente dal coraggio di sfidare le acquisite convenzioni; in campo scientifico, come in quello della medicina? Ovvio. Doveroso. Specie nelle sale che furono fatte costruire a partire dal 1923, su volere e coi finanziamenti di Magosaburo Ohara, industriale operativo nel settore tessile, che secondo quanto narrato sul sito ufficiale dell’istituzione (anche in inglese!) “Aveva scelto di investire i suoi guadagni per il bene collettivo.” E chissà cosa direbbe oggi, nell’assistere ad un tale irreverente esame, in cui un linguaggio quasi televisivo, per non dire ludico, viene impiegato per selezionare la prossima generazione di tecnici specializzati in vari aspetti dell’organismo umano. Che poi sia tutta una finzione, piuttosto che una realtà parziale, costruita fin nei minimi dettagli per il nostro pubblico divertimento, questo è un punto da determinare. Ma forse, qualche volta, sarebbe meglio godersi semplicemente lo spettacolo e la visione del creativo che l’ha concepito…
La pubblicità, pubblicata in due lingue in occasione delle prove pratiche per gli studenti di medicina che intendano iniziare un tirocinio fra queste mura (un modus operandi, se vogliamo, già piuttosto originale) inizia con l’immagine di una chiara allegoria: le pagine di un testo di medicina, sfogliato su di un tavolo dall’aspetto piuttosto disordinato. “Teoria!” Declama il narratore fuori campo: “Il suo studio non può essere trascurato. Ma quando saremo in sala operatoria, non saranno i LIBRI, a salvarci.” E via d’immagini di repertorio, con alcuni flash tratti da varie procedure tratte dagli archivi della facoltà. Mentre la voce prosegue: “Abbiamo scelto, dunque, di CAMBIARE le regole del gioco…”

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