Il re volante della dama turca

Dama Turca

Una discendenza insigne, l’alto copricapo e un sigillo di giada. Ma il vero potere non era sul trono di Luoyang. “Finché avrò in pugno il mio falcione a tridente e la Lepre Rossa come cavallo, nessuno potrà mai catturare il grande e invincibile Lu Bu” La storia del mondo, da Oriente a Occidente, è piena di condottieri straordinariamente valorosi ed al tempo stesso, per qualche ragione ineffabile, tragicamente arroganti. Quando nel 192 d.C, con la dinastia Han ormai prossima alla caduta e un cambio di capitale alle spalle, il grande generale si ribellò contro il suo secondo padre adottivo Dong Zhuo, cancelliere e tutore del giovane Imperatore, non lo fece per una precisa mossa strategica, ma per l’amore di una giovane donna. Il nuovo ordine costituito della Cina, con a capo effettivo il ministro dell’interno Wang Yun, sarebbe durato appena due mesi, a causa di decisioni amministrative imprudenti e campagne spietate contro i vecchi nemici. Con il nuovo seggio del potere, Chang’an, ormai invaso dagli armigeri sanguinari delle regioni del nord, e quello precedente ormai in rovina, senza truppe fedeli rimaste al suo fianco, Lu Bu non si sarebbe mai perso d’animo. Con la moglie Diao Chan al seguito, la spada e il celebre destriero, che si diceva potesse correre veloce per 1000 miglia, avrebbe imperversato ancora a lungo attraverso gli anni turbolenti dell’epoca dei Tre Regni. Trasformatosi in una tigre senza morale né il senso della misura, causò innumerevoli battaglie, tradì tutto e tutti, distrusse paesi ed interi regni. Aveva, nel suo seguito, un’eccezionale consigliere: il sapiente Chen Gong. Non lo ascoltava praticamente mai. Un errore che fra tutti, alla fine, gli sarebbe stato fatale.
Dev’esserci un qualche tipo di equilibrio, tra la mente ed il braccio, chi comanda e chi invece comprende i limiti delle situazioni. Questa è senz’altro la lezione principale di ogni gioco strategico davvero degno di questo nome. Negli scacchi ci sono pedine formidabili, in grado di rovesciare l’andamento di un’intera battaglia. Ma persino loro non sono nulla, al confronto della mano di colui che le muove, degli occhi che vedono, della mente pensante dei giocatori. Considerate il diamante, una pietra talmente comune che viene impiegata in diversi campi. Nell’industria pesante, non è insolito utilizzare attrezzi da taglio sinterizzati con la polvere di tale elemento, il tipico frutto dei depositi di kimberlite e lamproite sottoposti alla pressione termica di un vulcano. Eppure una sola di queste pietruzze, quando appropriatamente lavorata e montata sopra un gioiello, può valere quanto una casa e tutto quello che c’è dentro. Come l’arma di un grande guerriero che può essere valida, se adeguatamente guidata. Oppure un semplice attrezzo da lavoro, dotato di ben poca nobiltà.
I sassetti manovrati da questi due signori di etnia curda non sono nulla, all’apparenza. Eppure rappresentano, grazie allo strumento della fantasia, eserciti in guerra, torri d’assedio e castelli, avviluppati dal turbine distruttivo del caos belligerante. Il giocatore di sinistra arranca e le perde quasi tutte, finché all’improvviso, l’ultima non diventa…Un diamante!

Leggi tutto

Finché non giunsero alla forgia di Damasco

Forgiare un martello
Torbjörn Åhman forgia un martello da forgia del peso di circa un Kg e mezzo

Ogni forma di tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. E come Arthur C. Clarke, l’autore di Odissea nello Spazio, ben sapeva questa cosa il Grande Yǔ, semi-mitico fondatore dell’antichissima dinastia cinese degli Xia (XXI-XVI secolo a.C.) e primo fabbro fonditore nella storia dell’umanità. Non a caso, tra i suoi molti titoli spiccavano traforatore delle montagne e il minatore felice che bonifica la terra. Secondo la fondamentale opera Memorie di uno storico, scritta dagli studiosi Sima Tan e Sima Qian durante il regno molto successivo dell’imperatore Wu (140 – 87 a.C.) questo grande civilizzatore aveva ricevuto in forma di tributo, dalle nove province del suo regno, altrettanti carichi di un prezioso metallo: il bronzo, fondamento delle arcaiche civiltà. Non contento di impiegarlo solamente per forgiarne umili spade o zappe, l’eroico governante fece dunque portare una significativa parte del materiale all’interno della sua officina personale. E proprio in tale luogo, lavorando giorno e notte per un tempo imprecisato, ne trasse nove enormi calderoni a tripode, riccamente decorati, ciascuno del peso di 30.000 Jin (7 tonnellate e mezzo). L’aspetto maggiormente affascinante di questi giganteschi oggetti rituali, destinati a diventare il modello dell’intera produzione bronzea della Cina antica, era il modo in cui presentassero dei fregi geometrici, e figure di draghi o altri esseri mitologici, non semplicemente realizzati a bassorilievo. Bensì tratteggiate in tre dimensioni, attraverso l’incorporamento sulla superficie metallica di una diversa qualità di metallo, con caratteristiche e colorazione in assoluto contrasto. È soltanto naturale, in un mondo che si perde tra le nebbie occulte della storia, identificare in un tale maestro dell’ingegneria il principio ultimo della divinità.
Nell’antichità d’Occidente, tuttavia, non siamo mai stati governati da un grande forgiatore. La civiltà greca, tra i suoi molti immortali, celebrava l’epica opera del dio Efesto, figlio di Ares del conflitto armato, e di Era, la personificazione femminile della Terra stessa. Egli aveva costruito, nella sua fucina sotto l’isola di Lemnos, ogni sorta di stupenda meraviglia: il carro del Sole, l’arco di Apollo, i sandali di Ermes, addirittura lo scudo del grande Zeus, ovvero la mitica Egida in grado di scatenare di tempeste. E inoltre riforniva di armamenti, fin dall’epoca della guerra di Troia, i principali semi-dei e tutti gli altri eroi dei piccoli e insignificanti umani. Era un genio e un fenomenale inventore, in grado di costruire, secondo alcune tradizioni, figure antropomorfe nel metallo e nella pietra, in grado di muoversi e parlare, veri e propri robot dei primordi, anticipatori dell’androide asimoviano. Ma anche un bruto sregolato, che venne cacciato dall’Olimpo dopo aver tentato di stuprare la sapiente Atena, precipitando lungo una catena fin dentro le viscere del mondo. Si parla sempre del creatore e dei suoi maggiori successi e fallimenti, dimenticandosi le umili origini del suo mestiere. Prima del primo fabbro dell’intero universo, non esistevano nemmeno gli strumenti del mestiere: nessun incudine o tenaglia, soltanto il fuoco eterno e periglioso. Persino il martello, con cui battere insistentemente il canto ritmico della tecnologia, era soltanto un aleatorio sogno nella mente dei sapienti.

Leggi tutto

Rombo di moto tra gli umidi canyon dell’Arizona

Lake Powell Jetski

Primo ottobre 1956: il presidente Dwight D. Eisenhower, adagiato sulla sua sedia regolabile in pelle di caribù, osserva un oggetto di forma circolare che un attendente della White House gli ha portato qualche ora prima. Un vistoso filo nero è stato fatto passare, con suo massimo fastidio, tutto attorno alla pregiata scrivania di legno mahajua, importata direttamente dall’arcipelago delle Filippine. Che strano dispositivo da collegare alla rete telefonica, dentro all’ufficio dell’uomo più potente del mondo! Come una delle invenzioni del proverbiale Wile E. Coyote, personaggio dei cartoni animati, tale pulsante attiva una bomba. Eppure, non c’è un senso drammatico del momento, nel modo in cui il comandante in capo della nazione, con gesto attentamente calibrato, avvicina l’indice destro al detonatore, accanto ad un prezioso calamaio di vetro svedese. Piuttosto, Eisenhower pare stanco, ed ansioso di tornare al suo vero lavoro, mentre i due rappresentanti dello United States Bureau of Reclamation, ente federale dedito alla gestione delle risorse idriche, osservano con entusiasmo quasi palpabile. E forse, a guardarli un po’ meglio, un sorriso leggermente forzato. Alla fine *CLICK – Il dito raggiunge il bersaglio. Dalle rispettive poltrone Chesterfield, rivestite con cuoio di Yarwood e punzonate con vistosi bottoni di bronzo, i due eleganti visitatori balzano sul tappeto: “Congratulations, Mr. President, Congratulations indeed!” Già il meno giovane dei due, un certo Floyd o Freud (?) Gli porge la mano. È rigida e sudaticcia. Cosa è successo? A quasi 3500 chilometri di distanza, presso l’arido confine tra gli stati dello Utah e dell’Arizona, riecheggia l’eco della deflagrazione. Ove prima campeggiavano rocce preistoriche, ornate di antichi graffiti indiani, adesso scorre una piccola parte del Colorado River, il celebre fiume che passa per il Grand Canyon. Perché non si possa dire che ciò che la natura costruisce, l’uomo non può disfare. Affinché i centri urbani di questo distretto, piccoli ma numerosi, possano ricevere un valido apporto di energia elettrica, affidabile, pulita. Mo-der-na. Questi tunnel cavernosi non sono che l’impressionante inizio: nel giro di 10 anni, in questo preciso luogo sorgerà la diga del Glen Canyon. E dietro di essa, si estenderà un enorme lago artificiale. Il secondo più grande degli Stati Uniti, con i suoi circa 30.000 chilometri cubi d’acqua. Il suo nome, se non altro, offrirà un valido spunto di approfondimento.
John Wesley Powell era stato un comandante della guerra di secessione, geologo e scienziato, fermamente dedito all’abolizione della schiavitù. Durante la battaglia di Shiloh (1862) nel verdeggiante Tennessee, stava guidando verso la vittoria la sua compagnia di artiglieri nordisti, quando il colpo di un fucile di grosso calibro lo raggiunse nella parte bassa del braccio destro. L’arto venne amputato e di lì a poco la guerra finì. Eppure, il suo maggiore contributo al mondo doveva ancora venire. Nel 1969, assieme ad altri 9 uomini, partì dal Wyoming verso le regioni recondite del vecchio West. L’itinerario l’avrebbe portato, assieme al fratello disturbato di mente, lungo il corso dei fiumi Green e Colorado, con la finalità di raccogliere il maggior numero possibile di dati sulla regione. Il viaggio fu lungo e difficile. Tre membri della spedizione, presso le rapide successive al Grand Canyon, si ammutinarono e cercarono di tornare alla civiltà, soltanto per essere uccisi dagli indiani Shivwits. Il resto giunse a destinazione ormai all’estremo stremo delle forze, presso quella che sarebbe diventata l’odierna Salt Lake City; da allora questa appassionante vicenda, largamente nota al popolo americano, è stata commemorata in due modi: il film prodotto da Walt Disney, Dieci uomini coraggiosi (1960) ed un labirinto di strette fessure, che conducono, infallibili, fino ad un’ampia polla, dall’acqua limpida e il paesaggio incontaminato. Un centro turistico di primo piano, questo vasto e labirintico lago Powell.
Nonché divertente. Offre ogni sorta di intrattenimento, come una Rimini sospesa tra i diversi deserti del continente americano. Vi sono riserve di pesca, porticcioli, centri sportivi. Vi si pratica il nuoto, il wakeboarding e ci si tuffa dalle alte rocce a strapiombo, poste tutte attorno, senza incorrere in particolari pericoli accessori (niente squali né megalodonti). C’è inoltre la possibilità, per chi non ha carenze di intraprendenza e capacità di guida, di intraprendere un piccolo viaggio di esplorazione, in memoria e celebrazione di quell’uomo che qui rischiò la vita, dopo averla già rischiata altrove, finendo per dare il nome ad un tale bacino. Si comincia prendendo in affitto una moto d’acqua, come il qui presente Christian Yellott, nel suo video da oltre un milione di visualizzazioni. Il resto vien da se, al ritmico suono del propulsore…

Leggi tutto

La prima semi-automatica della storia

Lorenzoni Pistol

Dannate chu-ko-nu! Da quando un ingegnoso cinese aveva preso un piccolo arco d’acciaio, l’aveva posto in orizzontale e montato sopra un affusto con leva, bastava l’intenzione e un po’ di mira… Per bucare dieci fieri condottieri, tutti assieme. Appena iniziata una guerra dei vessili, questa già finiva in una salva di quadrelli. Ma una balestra a ripetizione era pur sempre complicata. Caricarla richiedeva addestramento, quanto meno. Non soltanto un corno pieno di polvere, la bisaccia di sferette di metallo; che chiunque poteva proiettare, dopo un attimo, contro la carica dei cavalieri. Con l’immediata pressione di un grilletto ed un singolo, sonoro BAM?! A dire il vero, molti. Almeno nel caso di chi avesse a disposizione il revolver di Lorenzoni, la pistola a polvere nera qui messa in mostra, non senza cospicuo orgoglio, dal rappresentante dell’ottimo canale di YouTube Forgotten Weapons. Che rappresenta l’apice massimo di questa categoria di armi a lunga gittata, realizzatasi, dopo molti falsi tentativi, solamente nel XVII secolo. Benché, come spesso avviene, osservare un tale manufatto ci riporti molto indietro.
La forza di sette uomini, ovvero la tecnologia. Così era stato l’alto Medioevo: quando chi aveva un maggior numero di generali, capitani e validi sergenti, spesso prevaleva presso i campi di battaglia insanguinati. Non soltanto per la strategia. Guardate tanti splendidi cavalieri, con armatura variopinta e insegne trascinate al vento! Un lampo di luce sulla punta della lancia, il rombo del tuono sotto gli zoccoli dell’animale. Uno splendido apparire, indubbiamente. Di una guerra nella quale un solo capitano, dinnanzi ai fanti di un manipolo, valeva quanto multipli avversari: il primo per il rigido cimiero, impervio alle percosse dei giganti armati di bastone. Uno per la maglia di metallo, resistente al taglio degli stocchi o delle sciabole da lato. Due, per lo scudo impenetrabile alle punte dei forconi o di altre lunghe aste acuminate. E altrettanti, soprattutto per l’addestramento, frutto di una vita intera spesa sopra i campi di battaglia, invece che a zappare, seminare e raccogliere i fondamentali frutti della terra. Essere nobili, a quell’epoca, voleva dire mettersi al servizio delle proprie stesse mire combattive, con la dura lama, con la mazza e per la forza delle proprie convinzioni. Una, due, quattro volte. Il popolo seguiva, suo malgrado.  La prima e la seconda volta? E dopo…Giunse anche in Europa, trascinata dalla forza stessa dei conquistatori, una diabolica invenzione. La usavano i seguaci del temuto Genghis Khan, in feroci soluzioni belliche provenienti dal remoto Oriente e per il tramite di una tortuosa Via. Era polvere nera, quella! Mica Seta, colorata. Bombe a mano, esplosivi. E piccoli cannoni primitivi, tra cui alcuni, appoggiati su di un caratteristico sostegno ad Y, venivano puntati e detonati da una singola persona.

Leggi tutto