La stratosfera è quell’apostrofo azzurro che si trova tra le parole “Terra” e “spazio” usato dagli extraterrestri per spiare gli uccelli e tutti i loro derivati. Immaginate dunque la sorpresa, da parte del piccolo UFO di turno, nel momento in cui tra le nubi dovesse sbucare una Y di tale impressionante entità. 25 metri tra una stanghetta e l’altra, 10 di altezza considerando una simile entità grafica in senso verticale, benché essa sia stata effettivamente fotografata longitudinalmente, nell’atto di correre avanti a più della metà della velocità del suono (Mach 0,5). Niente male, per un carattere grafico privo di motore o sistemi di propulsione di altro tipo, non lo pensate anche voi? Il nostro ipotetico omino verdi in effetti, non avrebbe alcuna possibilità di prepararsi all’incontro. L’emissario degli esseri di superficie (i cosiddetti u-mani) sbucherebbe d’un tratto da sotto le nubi, continuando a salire e salire, sempre più su. Che cosa può spingere dunque, una aereo che non ha neppure i pedali, ad un’altezza ipotetica di circa 90.000 piedi (27 Km)? Anzi, lasciamo perdere il discorso futuro e parliamo di quello che, in effetti, è già successo: che cosa ha permesso all’aliante Perlan 2, dell’omonima compagnia finanziata dal colosso Airbus, di raggiungere domenica scorsa, 3 settembre, l’impressionante quota di 52.000 piedi (15 Km)? Sostanzialmente, la stessa cosa che ha permesso, negli anni, di stabilire ogni record pregresso relativo all’impiego di tali velivoli, ovvero il fenomeno meteorologico delle onde orografiche, un qualcosa che va ben al di là del mero concetto di corrente ascensionale. Per anni, ed anni, ed anni, gli aviatori hanno imparato ad evitare di spingersi in corrispondenza delle nubi lenticolari dalla forma bombata, poiché fonte di significative e pericolose turbolenze. Finché fu improvvisamente scoperto nel 1933, ad opera dei piloti di alianti tedeschi Hans Deutschmann e Wolf Hirth, che al di sotto di un tale marchio del cielo in tempesta vigeva un risucchio, talmente potente, che poteva letteralmente catapultare l’aereo ad altezze precedentemente ritenute impensabili persino per i più potenti aerei coévi.
L’origine di tutto questo, in effetti, non è poi così astrusa. Fin troppe persone dimenticano, forse per l’antica visione alchimistica del mondo suddiviso in quattro elementi distinti, che l’aria è un fluido, esattamente come l’acqua. E che quindi è altrettanto facile, nei fatti, cavalcarla con una tavola da surf. Con l’unica notazione che tale tavola dovrà avere, in effetti, una forma in grado di produrre portanza. Esattamente come quella del Perlan 2. Tutto quanto concerne il progetto di questo avveniristico exploit volante ha avuto origine nel 1992, quando Einar Enevoldson, ex ricercatore per la Nasa e pilota di test dal lungo curriculum pregresso, si trovava a camminare nei corridoi del Deutsches Zentrum für Luft (l’agenzia spaziale tedesca) e vide una di quelle immagini stampate con orgoglio dall’occupante di un ufficio, raffigurante l’immagine al LIDAR di un sistema onde orografiche, più alte di qualsiasi altre lui avesse mai conosciuto. In quel preciso momento, quindi, comprese che l’altezza di tale fenomeno era determinata dalla potenza vento, ed iniziò quindi a cercare il punto più ventoso, ed al tempo stesso elevato, dell’intera pianeta Terra. Fu una lunga ricerca. Che portò la prima versione di questa macchina dei sogni, nominata per l’appunto Perlan 1, sui cieli sopra la cittadina di El Calafate (22.000 abitanti) presso la punta estrema meridionale dell’Argentina, in un punto strategico in cui le possenti correnti d’aria provenienti dall’Oceano Pacifico si scontrano con l’elevazione significativa dei massicci andini. Ma c’era un altro importante fattore, in questa scelta specifica per il primo passo di un tale progetto: la vicinanza del Polo Sud. Ecco perché…
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L’ascensore senza cavi che rivoluziona i grattacieli
Sven si avvicinò alla finestra alta dal pavimento al soffitto, per scrutare lo sperone roccioso del fiume Neckar, incuneata tra la Foresta Nera e il massiccio del Giura. Il cielo limpido permetteva di vedere, a quasi 100 Km di distanza, alcuni dei palazzi più imponenti della distante Stoccarda. “Sa, me la sarei aspettata un po’ più… Carica di ululati.” Fece un sogghigno. Dopo tutto, l’abbreviazione per riferirsi ad uno dei più perfetti cani da guardia mai concepiti è proprio Rottweil, e tale è anche il nome sulla cartina geografica di tutto quel verde che lui stava scorgendo, adesso, al di sotto del suo gran paio di Waldlaufer. Ma la vera domanda, prima di porla alla guida della comitiva turistica a cui era stato assegnato, la considerò da ogni lato, rigirandola come fosse un cubo di Rubik nel profondo della sua anima propensa ai rimorsi. In effetti, non avrebbe mai voluto fare una figuraccia…. “Ma perché, perché mai mi dica signora, una cittadina da poco più di 24.000 abitanti dovrebbe ospitare un grattacielo alto 244 metri, con in cima la torre d’osservazione più alta della Germania?” Assumendo un’espressione enigmatica, la guida distolse lo sguardo dal resto degli ospiti, per focalizzare la sua attenzione su Sven: “Signore, una domanda alla volta. Signore, può togliere le mani e il naso dal vetro? La ringrazio. Vede, ne stavamo per l’appunto parlando. Ora se vuole gentilmente riunirsi allo scaglione di sua preferenza, stavamo tutti risalendo sugli ascensori. La spiegazione continuerà presso la sala controllo del piano intermedio. “La Test Tower poi, che nome insensato… Questi berlinesi!” Dallo sguardo dei suoi vicini, l’ospite svizzero si rese conto che stava parlando ad alta voce. Con una scrollata di spalle, contemplò la porta che si apriva ritmicamente sulla tromba già impiegata per raggiungere la sommità del palazzo. Ogni 30 secondi o giù di lì, cinque persone entravano dentro il cubicolo. Quindi, alla successiva apertura, sembravano sparite?! “Forse non avrei dovuto bere quella terza birra, al bar del centro visitatori.” Pronunciò ancora, prima di fare il passo necessario a tornare dentro il dispositivo già noto. La cui finestra, in fase di salita, aveva offerto una vista piuttosto monotona sulla parete interna della Test Tower ma che adesso, puntava dritta sul paesaggio antistante, all’estrema circonferenza dell’austero quanto insensato palazzo. Con la coda dell’occhio, quindi, vide qualcosa di strano: gli altri quattro passeggeri che questa volta, eseguendo probabilmente il contenuto di una spiegazione che lui non aveva seguìto, si reggevano al corrimano della cabina. “E perché mai, si attendono turbolenze?” Non ebbe neanche il tempo di farsi una risata, quando l’ascensore prese a muoversi in maniera lenta a graduale, ma non verso il basso. Esso stava in effetti puntando, inesorabilmente, dritto contro la vetrata antistante. Con un grido strozzato, Sven perse l’equilibrio. Già i tre volti di Cerbero, triplo Rottweiler incatenato al primo dei pali, digrignavano i denti e spalancavano le loro fauci squadrate…
Scende o sale? O va di lato? Questo potremmo trovarci a chiedere, in un giorno non troppo distante, salendo nell’ascensore di un grande palazzo o centro commerciale. Magari, a New York, Kuala Lumpur o Dubai. Perché ciò ispira lo stile urbanistico, nonché la reale utilità dovuta all’uso contemporaneo di migliaia di persone, del nuovo sistema MULTI della Thyssenkrupp, che potrebbe effettivamente rimuovere molte delle limitazioni architettoniche che hanno inevitabilmente gravato, da oltre 100 anni, sul proposito di costruire n qualsivoglia palazzo più alto della chioma di una sequoia. Il consenso della stampa internazionale in merito, probabilmente a seguito del solito articolo apripista del giornale inglese Daily Mail, ha preso a chiamarlo l’ascensore di Willy Wonka, vista la presenza di qualcosa di superficialmente simile nella più celebre fabbrica di cioccolato della storia del cinema. Benché personalmente, io trovi più calzante l’analogia dei sibilanti turbolift in uso sull’astronave Enterprise. Ma qualunque sia la similitudine che desideriamo impiegare, è inutile girare intorno al fatto che il nuovo progetto di una delle principali compagnie siderurgiche europee possa, in effetti, migliorare in modo significativo la vita di molte persone. Secondo uno studio del 2013 non meglio definito, ma citato espressamente sul sito della compagnia, usare un singolo ascensore per ciascuna tromba corrisponde in effetti al concetto di un solo vagone, che percorre ritmicamente un’intera linea ferroviaria tra due città. Negli uffici della Grande Mela, in media, i dipendenti trascorrono 16,6 anni di attesa dell’ascensore ogni 5,9 di utilizzo! Profilando lo scenario, effettivamente, di un ingorgo che inizia fuori dalla porta di casa, per raggiungere il luogo di lavoro, seguìto da un’altro, ancora più intenso, per raggiungere il piano desiderato. E sarà proprio qui che verrà combattuta la battaglia della futura ergonomia architettonica. Grazie a dei nuovi, inusitati alleati…
La singola cabina del MULTI, che vista dall’interno è del tutto indistinguibile da un comune ascensore, assomiglia in realtà concettualmente più ad un veicolo dotato di motore lineare magnetico, come il nuovo treno MagLev recentemente entrato in servizio a Shangai. Che muovendosi lungo la sua rotaia verticale, può raggiungere liberamente qualsiasi recesso recondito dell’edificio, mentre degli appositi punti di scambio, non troppo dissimili da quelli di un binario convenzionale, lo convertono dal moto verticale a quello orizzontale. Con un simile approccio, le possibilità diventano letteralmente infinite…
La nave che rimuove piattaforme petrolifere dal mare
Oltre la tenebra nel mare delle onde, una torre di metallo giace. C’è stata un’epoca in cui era utile. C’è stato un tempo in cui venne finanziata. Risorse ingenti furono investite, dalla Shell UK nell’ormai remoto 1976, per disporne in serie quattro, più un’altra finalizzata alla logistica, in una linea irregolare lungo il Bacino Est delle isole Shetland, nel Mare del Nord. Come una mostruosa zanzara, il parallelepipedo “Delta” a tre zampe ha quindi conficcato una trivella nel fondale del giacimento Brent, per dissetarsi del petrolio nascosto sotto i granchi e le aragoste. Per decadi, e decadi, si è abbeverato a questa fonte. E ora che non c’è più nulla, tranne il desiderio…. Abbandonata e arrugginita dal 2011, nel silenzio delle circostanze e senza la speranza di un domani, la piattaforma si è cristallizzata come una crisalide dismessa; finché le leggi internazionali, i decreti del governo inglese, o uno di quei rari sprazzi ragionevoli all’interno di una corporation con finalità di profitto, non avessero evocato l’epilogo di questa storia. Cessata la necessità, ciò che abbiamo è solamente il potenziale di un problema. Ma ci sono persone che vengono pagate, per risolvere i problemi.
Se lo scorso 28 aprile del 2017, per uno scherzo inappropriato del destino, qualcuno si fosse trovato ancora a bordo della piattaforma, ciò che avrebbe visto lo avrebbe portato a dubitare della propria stessa sanità mentale. Emergendo all’orizzonte, visibilmente schiarita per l’effetto dell’atmosfera, un’intera città che avanza, con due braccia sovradimensionate tese in avanti. Non era questa un’invasione aliena, o un miraggio sul modello delle fata Morgana, bensì l’inizio di una lotta fra titani, nella quale, in ultima analisi, avrebbe vinto quello dall’imponenza maggiore. Come poteva essere altrimenti? 23,500 Vs. 362.000 tonnellate, spinte innanzi da 12 motori diesel direzionabili da 8.225 cavalli ciascuno. In un universo parallelo, dove non esistono le considerazioni e ragionevolezza, la procedura in questo frangente sarebbe consistita unicamente nell’andargli contro e frantumarla, per poi divorare i pezzi e rigurgitarli nel mare. Mentre l’approccio materiale alla questione, attentamente pianificato per un periodo più che decennale dalla compagnia partner svizzera Allseas, fu ovviamente destinato ad assumere una strategia più ragionevole e risolutiva. Il nome dell’imbarcazione semisommergibile: Pieter Sch…anzi no, Pioneering Spirit. La sua funzione: sradicare cose enormi, quindi sollevarle e trasportarle fino a riva. Oppure metterne di nuove in posizione, per dare i natali a un nuovo capitolo di questa storia. Perché mai, vi chiederete…. Beh, le ragioni sono molte. Smontare una piattaforma petrolifera in alto mare è costoso, difficile e potenzialmente lesivo per l’ambiente. Se possibile, chiunque ne farebbe a meno e non sono in effetti niente affatto pochi, i rimasugli degli antichi giacimenti ancora adesso sparsi per il mondo, in attesa di un Rinascimento energetico che non arriverà mai. A partire dal 2017 quindi l’azienda in questione, principalmente operativa nel settore delle costruzioni marittime e la posa dei tubi sommersi, ha iniziato a concepire una sua personale arma di mercato, talmente inusitata da crearsi l’esclusiva di una nuova mansione.
Quindi, bando ai giri di parole. La Pioneering Spirit è allo stato dei fatti la nave (intesa come battello in grado di muoversi col suo motore) più grande del mondo dal punto di vista di tre criteri: larghezza (123,47 metri) capacità massima di trasporto (900.000 tonnellate) e volume (403,342 gt). Ma non è neanche questa, la ragione che la rende maggiormente originale. Bensì il metodo di funzionamento, ovvero la ragione stessa della sua costruzione…
I prossimi cento anni della portaerei Oriskany
L’inizio della fine ebbe luogo il 17 maggio del 2006, nel golfo del Messico 39 Km a sud di Pensacola, città della Florida con la più grande base aerea della marina statunitense. Una squadra di operativi altamente addestrati, con al seguito 230 Kg di esplosivo al plastico, è salita a bordo della USS Oriskany, anche detta la Possente “O”, trionfatrice d’innumerevoli complesse situazioni strategiche a partire dal 1950 e nel corso di entrambe le guerre di Corea e del Vietnam. Lungi dall’essere un’operazione segreta, la loro missione si è svolta sotto lo sguardo attento della Guardia Costiera, di un’imbarcazione della Polizia di Stato e della Commissione per la Conservazione dei Pesci e della Fauna Marina, oltre a svariati sceriffi della contea di Escambia e il resto delle frazioni amministrative circostanti. Gli agenti infiltrati, come altrettanti piccoli Solid Snake, hanno raggiunto i punti deboli della struttura e dello scafo, piazzando le loro bombe in 22 punti strategici individuati sulla base del progetto della nave. Quindi si sono calati sui loro gommoni, ed una volta a distanza di sicurezza, hanno inviato il segnale di detonazione. Chi ha detto che nessuna portaerei americana è stata affondata dalla fine della seconda guerra mondiale? Ciò non è successo IN BATTAGLIA. Se vogliamo implicare in questo termine, soltanto i momenti salienti di una campagna armata, in cui i possenti mezzi militari dei vari paesi cozzano ferocemente tra di loro, alla ricerca della più remota ed “importante” verità (chi è il più forte, chi è il più grande…) Ma una verità parimenti rilevante è che c’è un altro tipo di guerra, in cui la vittoria diventa semplicemente impossibile dopo il passare di un tempo sufficientemente lungo: l’eterno confronto tra le opere degli uomini e l’obsolescenza. Per un attimo l’aria sembrò vibrare, quindi concentrarsi in un vortice attorno al fatale luogo. Quindi tre pennacchi di fumo colossali presero forma a poppa, a prua e sopra il castello della nave. Molto lentamente, il titano dei mari lungo 271 metri iniziò ad inclinarsi in avanti, come ad emulare la storica tragedia del Titanic. Col trascorrere di interminabili minuti, scomparve la parte anteriore, quindi quella mediana. Infine, nulla restò più visibile dell’imponente oggetto. Come un lenzuolo verde-azzurro, il mare si chiuse sopra il suo nuovo tesoro. E quale prezioso dono, esso aveva ricevuto…
Il primo racconto di una visita subacquea a questa vittima dei tempi tecnologici si ha soltanto due settimane dopo, ad opera di Bryan Clark, presidente dell’organizzazione Coast Watch Alliance, dedita a conservare e proteggere l’ambiente naturale subacqueo del Golfo del Messico. Immergendosi a una profondità di 21 metri, fino alla torre centrale del vascello, e poi da lì fino al ponte di volo sottostante (44 metri dalla superficie) egli ha potuto constare le prime battute di una vera e propria invasione. All’interno del relitto, migliaia e migliaia di granchi avevano trovato la loro nuova casa, nella speranza vana di sfuggire all’assalto dei pesci predatori. I quali, a loro volta, si erano tirati dietro altri esemplari più grandi! La vita dell’Oceano si stava adattando. E la possente “O”, che aveva offerto supporto dall’alto durante il difficile periodo dell’assalto ai ponti di Toko-ri, nel più recente conflitto dimenticato dalla Storia, e poi lanciato numerosissime missioni aeree durante la crisi del Vietnam Meridionale all’interno del corridoio Hanoi-Haiphong, subendo più perdite di qualsiasi altro vascello impegnato nell’Estremo Oriente, aveva finalmente trovato il suo nuovo equipaggio. Ella, finalmente destinata all’ultimo riposo, non si sarebbe mai più mossa da lì.
L’affondamento della USS Oriskany, più grande nave del mondo mai trasformata in una scogliera artificiale, non fu presa certamente alla leggera. Nave purtroppo per lei già nata vecchia, perché facente parte dell’ultima tornata di portaerei di classe Essex ordinate nel 1942, al culmine del conflitto nel Pacifico contro l’Impero Giapponese, essa raggiunse l’epoca del varo unicamente 4 anni dopo, già dopo il concludersi delle gravose ostilità. A quel punto, modernizzata per lo meno in parte nel corso di altri 4 anni, ricevette dei potenziamenti che sarebbero diventati il modello di quelli applicati sul resto dei natanti della sua classe. E soltanto nel 1950, finalmente, poté conoscere la libertà dei flutti marini. Per rendervi conto di quale anacronismo tecnico stiamo parlando, pensate questo: fino al 1957, i suoi aerei venivano lanciati con catapulte idrauliche, dal più incredibile dei ponti di volo. Perché esso era stato integralmente ricoperto di prezioso legno di teak. Con la successiva rimozione di questo elemento, più di un celebre ammiraglio deve aver avuto l’occasione di rinnovare a poco prezzo il pavimento di casa sua…