Miceti romani: la cesta magica d’iniqui aromi tra i verdeggianti prati di Villa Ada

Passeggiare per un grande parco della Città Eterna è un’esperienza potenziale di scoperta che conduce l’intelletto ai gusti e logiche dei secoli trascorsi. Così Villa Ada, lungo la Salaria tra i quartieri Trieste e del Pinciano, mostra eclettici edifici del ‘700, i resti di antiche torri di guardia e la famosa palazzina in stile neoclassico, appartenuta per due periodi distinti alla famiglia Savoia. Ma ciò che in molti tendono a dimenticare, per quanto concerne luoghi come questo la cui estensione raggiunge e supera i 150 ettari, è fino a che punto internamente a un simile distretto urbano possa figurare la natura selvaggia ragionevolmente incontaminata, in una finestra così straordinariamente vicina su quello che può essere ampiamente definito come il vero e proprio ecosistema italiano. Finché in mezzo all’erba ed i cespugli, mentre ci si aggira chiamando a se cani o bambini, non si scorge la scintilla variopinta di un qualcosa di… Sbalorditivo. Così titolano i portali di notizie cittadine, facendo riferimento allo sferoide reticolare, rosso fuoco e ricolmo di gelatina, che a quanto parrebbe si è d’un tratto palesato entro i confini di un siffatto luogo ameno. Senza mancare di far menzione del suo catartico “odore cadaverico”, dopo l’apertura ed apparente mutazione mistica da un uovo bianco alla temuta forma finale. Il cuore della strega, scelgono di definirlo con vago riferimento alla vigente stagione di Samhain, benché tale di definizione abbia un carattere di tipo folkloristico dalle acclarate origini mitteleuropee. Laddove nella nostra terra abbiano un’etimologia più chiara appellativi quali clatro, gabbiola, fuoco selvatico o perché no, fungo lanterna. Giacché non siamo innanzi, nonostante l’aspetto artificiale all’apice dell’emersione riproduttiva, ad un giocattolo o una palla di qualche arcana tipologia, bensì l’espressione visibile di quel micete che in particolari circostanze, non desidera altro che essere notato, invaso, consumato da creature artropodi di superficie. Facendo uso di quel particolare carattere, che a noialtri pare disgustoso ma per mosche, lepidotteri e scarabei costituisce l’oggettivo invito ad una festa, che possa condurre alla successiva diffusione delle salienti spore. Non è pianta, non è abile creatura, non ha mente e non ha organi per percepire il mondo. Eppure il Clathrus ruber, membro cosmopolita della famiglia dei basidiomiceti fallacei può contare sugli incalcolabili millenni d’evoluzione, che come le altre specie simili riesce a concedergli la prosperità in un’ampia varietà di contesti. Incluso quello, sotto l’occhio scrutatore di chi abita le moltitudini di case, che ne fa un’intruso irregolare del preciso piano dei luoghi di tranquillità ed introspezione romani…

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Un ufo alla deriva e la difficile missione per stimare il tempo di estinzione del Polo Nord

Spiacevole ma significativo si sarebbe rivelato il fato degli equipaggi della Erebus e la Terror, le due navi partite nel 1845 dall’Inghilterra, nella ricerca del leggendario passaggio a nordovest che avrebbe eliminato la necessità tanto frequente di circumnavigare il globo. Quando in agosto di quell’anno i rispettivi capitani, certi di poter varcare la baia di Baffin, rimasero bloccati in mezzo ai ghiacci. Trovandosi a dover abbandonare i rispettivi scafi, intraprendendo un viaggio a piedi destinato a culminare con il proprio annientamento tra i ghiacci dell’estremo settentrione terrestre. E non si può fare a meno di tornare con la mente, almeno in parte, a quel drammatico inizio della storia delle esplorazioni polari, quando si apprende il progetto intrapreso ormai da oltre mezza decade ad opera della fondazione francese Tara, tra gli ultimi “guardiani dell’oceano” che riescono a ottenere fondi dalle commissioni per il clima nazionale ed europea. Un’evoluzione, se vogliamo, dei viaggi ad alto rischio già compiuti nel 2004 e nel 2006 oltre la linea del 66° parallelo, dove gli alberi smettono di crescere, a bordo dell’eponimo schooner varato nel 1987 dal grande marinaio Sir Peter Blake. Grazie ad un’imbarcazione progettata dallo stesso architetto navale, Olivier Petit, ma in base a crismi totalmente diversi. Via lo scafo col profilo di un nocciolo di oliva, verso l’adozione di una forma ellissoide che assomiglia vagamente al cerchio di una stereotipica nave spaziale. Sormontata da una cupola geodetica, con significative strategie d’isolamento termico per l’equipaggio di 18 persone contenute all’interno. Questo per l’idea alla base dell’effettivo impiego futuro di tale implemento, ispirato a una tipologia di tradizionali, ed ormai quasi secolari missioni organizzate dagli scienziati russi; allorché come l’originale Papanin del 1937, e come la recente Severny Polyus, la nuova stazione polare francese impiegherà il proprio motore e 130 metri cubi di diesel prodotto sostenibilmente al fine di raggiungere i confini della compatta calotta glaciale artica. Incagliandosi intenzionalmente, non al fine di procedere, bensì trascorrere fino a 18 mesi in tali condizioni estreme trasportata dalle correnti oceaniche, senza la possibilità di ricevere rifornimenti e con temperature in grado di oscillare tra i 30 e 50 gradi sotto lo zero. Un’opportunità unica, e altrettanto rischiosa, di approfondire in modo straordinario le regole di un tale ecosistema, facendo il possibile per individuare un modo utile a fermare l’attuale processo di deriva climatica. Che potrebbe trasformare tutto questo, entro pochissime generazioni, in un ricordo lontano…

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Mustiolo, il più piccolo e peloso predatore degli angusti anfratti mediterranei

Un fremito nella penombra, un ticchettio sommesso. Le zampe che si muovono veloci e senza posa, per permettere alla testa d’inseguire il suo bersaglio: cibo, fame, ora di mangiare. Non c’è quiete nella vita del pachiuro; nato sotto il segno dell’argento vivo, quindi alleggerito dal peso poco necessario di quel metaforico metallo. Fino ad 1,8 grammi di media, la cifra sufficiente a contenere cuore, uno stomaco, un cervello. E cos’altro serve, a questo mondo, per prosperare? Un sistema riproduttivo, naturalmente. Che nel presente caso è la diretta risultanza di un sentiero particolarmente familiare. Ma che al tempo stesso appare fuori luogo, nel contesto cui appartiene quel minuscolo animale. Nessuno aveva mai sentito dire, d’altra parte, di un mammifero più piccolo di un’ampia quantità d’insetti. Prima che il pisano Paolo Savi, naturalista del XIX secolo, giungesse finalmente a classificare una creatura al tempo stesso pervasiva e assai difficile da catturare. Questo perché il Suncus etruscus, anche detto mustiolo o toporagno, ha un metabolismo tanto rapido da necessitare di nutrirsi ogni due ore, per un totale di 1,5, 2 volte il proprio peso corporeo nel corso di un singolo ciclo di 24 ore. Con la conseguente capacità di percepire il pericolo a una rapidità impressionante, per poi correre a nascondersi all’interno dei recessi più angusti. Spazi e intercapedini non solo parte dei paesaggi naturali, ma anche e soprattutto conseguenti dello stile di vita umano, come fessure tra i muri, cumuli di materiali ed ovviamente, gli oggetti che ingombrano dispense ed altri gastronomici recessi ove a nessuno, giammai, vorrebbe capitare d’individuarlo. Risultato preventivo che si ottiene, nelle sue particolari strategie, non tanto grazie alla vista tutt’altro che formidabile, né l’olfatto che risulta più che altro utile durante la caccia di artropodi come le formiche, vermi, gechi ed altre prede che compongono la sua dieta, bensì l’innata dote di riuscire a percepire le più insignificanti vibrazioni, attraverso le vibrisse minori e maggiori che si trovano lungo l’intero perimetro del suo agile corpo. Un vantaggio particolarmente funzionale, alla navigazione in stretti snodi e l’individuazione al loro interno di uno slargo da impiegare con funzione di nido, trattandosi di specie poco predisposta al movimento della terra. Così che creature di siffatta stirpe tendono a fare la propria comparsa momentanea, prevalentemente nelle ore notturne ma non solo, mentre corrono a velocità notevole da un punto sicuro ad un altro sperando di sfuggire all’occhio dei loro predatori più temuti: i gufi ed altri rapaci. Perciò anche la loro cattura da parte di amichevoli mani di scienziato, potrete facilmente immaginarlo, non è certo semplice da portare a coronamento…

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Il complicato morso del remipede nel buio cosmico della caverna

Nel paese dei non-vedenti l’uomo con un occhio solo è Re ma in particolari circostanze, egli non avrà bisogno neanche di tal singolo strumento per l’acquisizione della conoscenza. Potendo disporre di un naso abbastanza funzionale ed ovviamente, la personale dotazione di una quantità appropriata di potente veleno. L’arma iconica del predatore, nella stragrande maggioranza degli artropodi ma non il rilevante phylum, trovandoci di fronte ad un sovrano che costituisce l’essenziale, inappellabile rappresentante dei crostacei, come granchi, aragoste e quegli stessi gamberi costituenti l’essenziale parte della sua della sua dieta. Ma il remipede non è mai stato preoccupato di essere paragonabile ai suoi simili, in primo luogo perché ha una forte tendenza all’individualismo esistenziale, e d’altra parte in quanto si presenta come un verme di caverna non più lungo di 25-30 millimetri. Il che non sembrerebbe in alcun modo averlo reso svantaggiato all’antico evento primordiale di distribuzione delle zampe, se è vero che tende a possederne almeno una settantina al raggiungimento dell’età adulta, quando i segmenti che compiono il suo corpo possono venire contati a dozzine. Ecco ciò di cui stiamo parlando, essenzialmente: l’estetica e superficiale corrispondenza di un millepiedi, ma trasferita come per magia nelle profondità delle caverne carsiche vicine al mare, dei sistemi anchialini messicani. Questo il centro dell’areale della specie Xibalbanus tulumensis, fatta oggetto di un importante studio pubblicato a fine luglio da studiosi dell’Università di Colonia, sulla rivista scientifica BMC Biology con l’argomento delle “Varianti della xibalbina capaci di inibire i canali neurologici PKA-II 2d Erk1/2”. Connessioni nervose di primaria importanza, in altri termini, nell’organismo umano come qualsiasi altro, il che tende a dare una collocazione valida a queste creature nel teatro della farmacologia contemporanea. Potendo svolgere funzione ideale di principi attivi negli antidolorifici o cure possibili di gravi condizioni del cervello umano. Tutte questioni al mero stato di correnti ipotesi, senz’altro, eppur capaci di portare nuovamente sotto i riflettori queste insolite creature sia dal punto di vista tassonomico che il proprio particolare stile di vita, conforme ai crismi della cosiddetta stygofauna, o biosfera di cui fanno parte gli esseri acquatici nati e vissuti nelle remote profondità della Terra. Capaci di muoversi con sinuosa pervicacia ed una velocità non trascurabile, proprio grazie all’agile configurazione delle loro zampe corte e tozze, dalla funzione paragonabile a quella di altrettante pagaie possedute da un ipotetico sottomarino ad energia muscolare. Nient’altro che il secondo punto cardine, di una strategia che mette la sopravvivenza sopra un piedistallo, anche a costo di dover catturare laboriosamente prede rare ed altrettanto preziose, iniziando a digerirle già dal primo morso, infuso del potere di paralizzare e al tempo stesso dissolvere i tessuti viventi. Come fatto dalle mosche o dai ragni…

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