Lo strano spirito del jogging sveglia la città di L.A.

Ready to Monday

“Cosa intendi, giornata nostalgica degli anni ’80?” Alle 7:30 della mattina di lunedì, il caffè Starbucks all’angolo tra Melrose e Stanley nel quartiere losangelino di West Hollywood è più pieno di quanto possa esserlo nell’intero resto della settimana. L’aria condizionata scombobula l’ambiente con l’alito di centomila orsi polari. Eleganti manager in giacca e cravatta, studenti sulla via per l’università, operai che si preparano a un’intera giornata di lavoro nel cantiere sotto il duro sole della California… L’amichevole P. Stevenson, come suo solito, porta la lunga barba in una treccia bionda, gli occhiali da sole ed un vistoso paio di bretelle a strisce bianche e nere. Il suo improbabile cappello pare alzarsi su e giù ritmicamente, mentre lui cerca in qualche modo di trasmettere il suo naturale senso d’entusiasmo per la vita: “Ma si, ma si! Non la senti la musica, com’è? Il cassiere deve aver sintonizzato la radio sul canale dei revival: questo è puro Synthpop, A-ha! Sono gli A-ha!” Si a pensarci bene…Tra il frastuono ed il vociare della gente, a Marlon parve di udire a un tratto i riconoscibili accordi di Take on Me, la canzone di quel gruppo norvegese che aveva fatto faville all’epoca più o meno quando si conobbero i suoi genitori. We’re talking away… I don’t know what I’m to say… “DAVVERO? Ehi senti, non è che la cosa mi interessi particolarmente. “Oggi da Walmarts devo fare l’inventario. È già tardi, fuori fa caldo e per di più ho soltanto quattro giorni per prepararmi al prossimo colloquio alle Poste. Non avevi detto…Di avere qualcosa per me?” L’intero caffè parve d’un tratto più distante, mentre le voci del popolo lavoratore presero a svanire in dissolvenza. La musica parve prendere finalmente il sopravvento, per lo meno nelle orecchie dei due interlocutori: So needless to say, I’m odds and ends…I’ll be stumbling away… “Aspetta, taci, ascolta. Senti molto bene quello che ho da dire mio buon Marlon, perché non lo ripeterò di nuovo. Questa-è-la-tua-occasione” A sottolineare la gravità delle sue parole, P. Stevenson alzò il dito della mano destra accanto al volto, mentre si chinava a raccogliere con la sinistra la sua borsa con il simbolo della pace, precedentemente nascosta sotto lo sgabello del bancone. Quindi, da essa estrasse…Un libro. Dalla copertina rossa, con due gambe maschili dotate di scarpe da corsa e la maestosa scritta in bianco, dai caratteri desueti: “The Complete Book of Running” di James F. Fixx. Se in quel momento Marlon avesse potuto vedersi allo specchio, avrebbe stentato a riconoscersi. Le sopracciglia arcuate in modo quasi comico, la bocca rivolta con enfasi verso il basso, le labbra in fuori a formare una specie di broncio da cartone animato. Le froge del naso spalancate come le branchie di uno squalo-membro, lo sgualembro. In caccia. Di spunti nuovi per l’accrescimento personale… “Braavo, ora inizio a riconoscerti. Amico mio! Questa cosa che sto tenendo in mano, non è un testo come gli altri. Tu hai di fronte niente meno che… La prima edizione del libro con cui nacque il jogging. Scritto dall’inventore della corsa per l’allenamento in senso attuale, che morì soltanto tre anni prima dell’uscita di questa canzone, subendo un infarto a seguito della sua escursione mattutina. Ironico, nevvero? Io ce l’ho qui, per te. Te l’ho trovato online.” BAM! Un colpo dato con il piatto della mano sul bancone in plexiglass fece tremare i due bicchieri più vicini, mentre la montagna di schiuma sopra quello che da queste parti amano definire “cappuccino” parve pendere da un lato alla maniera di una piccola torre di Pisa. Strani sguardi dall’addetto del locale e dallo yuppie alternativo alla loro destra, con orologio d’oro e cravatta firmata, probabilmente sulla via per qualche prestigioso studio cinematografico nella Fernando Valley. Alzatosi di scatto in piedi, Marlon riprese subito il controllo della sua espressione. Con un gran sorriso fece il gesto di battere il cinque al suo ex-compagno di scuola, che prontamente ricambiò: “Io, io, non ho parole…” Il tono quasi lacrimoso, lo sguardo commosso: “Sei un vero amico, dai qui. Si è fatto tardi e devo andare via.” In un solo grande sorso, il commesso già in divisa trangugiò quello che rimaneva del suo mega-choco-frappuccino con stracciatella. Quindi prese il libro e scappò via, felice.
Peccato per il resto della mattinata: un’esperienza grama. Il caporeparto Alvin, come suo solito, che insiste per controllare ogni minimo aspetto delle operazioni, ma poi non fa niente per assistere personalmente i sottoposti. I colleghi Jason, Jim e Jaynor che nonostante tutto, paiono perfettamente adattati a questa vita di silenzi nella cattedrale di cemento, il fragoroso centro commerciale. L’unica consolazione per Marlon, il costante avvicinarsi della pausa pranzo, e l’occasione di potersi dedicare finalmente all’interesse che è riuscito a coltivare negli ultimi tempi: la lettura di testi teorici sull’esperienza ginnica degli ultimi ’30 anni. Se davvero voleva essere un postino, per lasciare un tale posto privo di soddisfazioni, avrebbe dovuto imparare a correre e tenersi in forma. Dare, in ogni attimo della propria giornata, l’assoluto meglio di sé. Pensierosamente, gli riuscì di concludere il suo breve pranzo dalla eatery sita all’altro lato del parcheggio. Quindi, già dirigendosi verso la sala dipendenti, mentre camminava tra i frigoriferi del suo negozio aprì il libro di Fixx e prese a leggerlo con trasporto. La corsa è uno stato di grazia del corpo e dello spirito, che permette di ritrovare la propria stessa anima di fanciulli… A-ha, Marlon sorrise al termine desueto. A te, che hai in mano questo libro. A te che stai camminando tra i banchi di Walmart, voltati e guarda molto attentamente in mezzo alla sezione cibi messicani… Il suo intero corpo percorso da un brivido, il lettore s’immobilizzò.

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Fuoco e fango: l’epoca dei rally privi di limitazioni

Rally Group B

Da questa raccolta di spezzoni provenienti dalla prima meta degli anni ’80, traspare il gusto di un’intero quinquennio degli sport motoristici in cui la frenesia sembrava essersi guadagnata il predominio delle aspettative di ognuno: degli spettatori, avidi di adrenalina e del pericolo che essi stessi tentavano di richiamare su di se, dei manager della FIA (Federation Internationale de l’Automobile) che vedevano gli incassi e sponsorizzazioni gravitare verso l’iperboreo, grazie ad una spettacolarità delle gare totalmente priva di precedenti. E poi di loro, chiaramente, i piloti. Che apparentemente dimenticata la loro stessa mortalità, salivano a bordo di auto mostruosamente potenti ed instabili, per scagliarsi come caccia-bombardieri da una portaerei e andare a perdersi tra le viuzze, lo sterrato e gli alberi della versione reale dell’inseguimento con le hover-moto della luna forestale di Endor, nell’allora recente terzo film di Guerre Stellari. Nomi come Timo Salonen di Peugeot, il finlandese che con 7 vittorie fu il miglior pilota della categoria, o come Walter Röhrl della Lancia e Stig Blomqvist della Audi, che oggi albergano negli annali stessi di un simile mondo, sotto a ciò che tanto tempo fa è stato, come un sogno evaporato al Sole della più terribile realtà: finché Henri Toivonen, nel 1986, non finì fuoristrada morendo assieme al copilota Sergio Cresto su quella fatale curva del (folle) rally di Corsica, ponendo tristemente la parola fine su di una visione del mondo delle corse che alla fine della fiera, non poteva in alcun modo appartenere a questo mondo. Ma di avvisaglie ce n’erano state parecchie, addirittura troppe, sia prima che durante la rivoluzionaria introduzione del cosiddetto Gruppo B.
Era il 1982. Le agili vetture concepite per affrontare le gare cronometrate su strada dei gruppi 4 e 5, prodotte alcuni dei principali marchi su scala globale, riscuotevano un buon successo di pubblico e televisivo. Eppure sembrava, a tutti gli effetti, che mancasse ancora qualcosa. Ciò sembrarono allora pensare i vertici decisionali delle federazioni rilevanti ed in particolare Jean-Marie Balestre, personaggio a capo fin dal 1973 della Federazione degli Sport Automobilistici di Francia (FFSA) e che fu strumentale nella trasformazione di quest’ultima nell’oggi più che mai rilevante FIA. Un uomo dal passato incerto, che durante la seconda guerra mondiale aveva fatto parte delle SS francesi ma che nel 1968, dopo aver dimostrato di essere stato in realtà una spia sotto copertura, aveva ricevuto la Legion d’Onore per i servizi offerti alla Nazione (nonostante questo, negli anni ’70 fu paparazzato mentre indossava un’uniforme nazista, in una strana anticipazione dello stesso scandalo che avrebbe colpito il suo successore Max Mosley nel 2008). E proprio sua fu l’idea, quell’anno, di riunirsi a colloquio con le principali case automobilistiche, per definire assieme il piano di fattibilità di quello che doveva diventare uno sport completamente rinnovato, in grado di attrarre una quantità di pubblico che fosse “superiore alla Formula 1”. Le automobili partecipanti, dunque, non sarebbero più state limitate dal bisogno di appartenere ad un reale ciclo produttivo su larga scala, ma unicamente prodotte in un numero minimo di 200 esemplari. Ogni anno, quindi, la casa produttrice avrebbe potuto aggiornare il modello e renderlo maggiormente competitivo, producendone soltanto altri 20 esemplari. Nei fatti, dunque, la prassi che si ritrovò adottata era quella di produrre un primo ciclo di auto “quasi normali” e quindi fin da subito la versione più competitiva ed inaccessibile al pubblico generalista. Uno di questi veicoli nella sua configurazione più performante poteva superare, molto facilmente, i 300.000 dollari di allora, mentre la versione ad uso stradale era spesso priva di rifiniture e per molti versi risultava incompleta. Nonostante questo, simili auto andarono letteralmente a ruba, ed ancora oggi sono altamente ricercate dai collezionisti, per il design particolare, i materiali avveniristici e le soluzioni ingegneristiche ormai completamente sorpassate. Il Gruppo B aveva creato, a tutti gli effetti, dei mostri.
Le motivazioni furono, all’inizio, di natura prettamente economica: un tipo di gare che fossero più popolari avrebbero costituito la migliore vetrina concepibile per i nuovi modelli di vetture sportive, ed ogni azienda, chiaramente, esiste soprattutto per produrre e guadagnare. Ma a giudicare da ciò che venne dopo, era innegabile che questa visione di breve durata avesse anche una base estetica di fondo: come una radice in gomma infissa nell’asfalto fertile del mondo delle idee, in grado di condurre l’umanità al volante verso nuove vette, precedentemente inesplorate. Guardate un po’ voi…

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